Cir_Interni_12_4_97_27 DIREZIONE GENERALE PER L’AMMINISTRAZIONE GENERALE E PER GLI AFFARI DEL PERSONALE Ufficio Studi per l’Amministrazione Generale e per gli Affari Legislativi circolare n.27 Prot. n: M/2107/A Roma, 12 aprile 1997 OGGETTO: Art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Comunicazione dell’avvio del procedimento. 1. Si è avuto modo di acquisire notizia di diversi casi in cui il giudice amministrativo ha censurato provvedimenti prefettizi sotto il profilo della omessa comunicazione dell’avvio del procedimento ex art. 7 della legge n. 241/1990. In alcuni casi la circostanza è stata rilevata in sede di decisione di merito sul ricorso, in altri come elemento ritenuto di per sé idoneo a giustificare la provvisoria sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato. Anche in sede di esame dei ricorsi gerarchici avverso i provvedimenti di revoca della patente di guida ex art. 120 del codice della strada, si è dovuto prendere atto delle eccezioni opposte dal ricorrente con riguardo alla violazione del richiamato art. 7. In ragione di ciò, si ritiene opportuno richiamare l’attenzione delle SS.LL. su taluni indirizzi ai quali la giurisprudenza si è andata uniformando nell’applicazione della disposizione di legge in esame. Dopo una iniziale fase di incertezza, si è consolidata la tendenza della giurisprudenza, sostenuta anche dalla dottrina, a configurare la omissione della comunicazione di che trattasi come vizio di violazione di legge, in grado di riflettersi sulla legittimità del provvedimento relativo e, per ciò, di determinarne l’annullamento in sede di tutela giurisdizionale. La norma e l’obbligo che ne consegue per la p.a. hanno una portata tendenzialmente generale, riguardando la generalità dei procedimenti amministrativi, fatta sola esclusione per le ipotesi derogatorie espressamente disciplinate dalla stessa legge n. 241/1990 e per altre che la giurisprudenza ha iniziato ad enucleare in via interpretative. Sotto il primo profilo, prescindendo dalla esclusione disposta dall’art. 13 per taluni atti particolari (atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione), occorre evidenziare come sia consentito derogare all’obbligo della comunicazione “ove sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento”. Le “ragioni di impedimento” legittimamente deducibili a giustificazione dell’omissione debbono essere oggettive (cioè, non imputabili alla stessa amministrazione procedente), determinanti (nel senso che il ritardo nella conclusione del procedimento sia in grado di compromettere l’interesse pubblico di volta in volta perseguito), non derivanti da difficoltà altrimenti ovviabili e specifiche (riferite, cioè, al caso concreto). Ovviamente, proprio perché l’omissione è giustificabile soltanto per la presenza di particolari condizioni, è necessario che queste ultime siano dedotte nel contesto della motivazione del provvedimento conclusivo del procedimento. Non sembra, infatti, che “le particolari esigenze di celerità” possano essere riferite a categorie astratte di procedimenti, individuate aprioristicamente in relazione alla natura ed alla rilevanza degli interessi perseguiti dal provvedimento conclusivo. Si richiama, in proposito, la sentenza n. 210/1995 del 29-31 maggio 1995 della Corte Costituzionale che, con riguardo al provvedimento del Questore di rimpatrio al comune di residenza ex art. 2 della legge n. 1423/1956, ha escluso, condividendo gli indirizzi espressi dalla giurisprudenza amministrativa, che la natura del provvedimento possa giustificare una sottrazione generalizzata dello stesso all’obbligo di notiziazione del suo avvio, fatta salva la possibilità di dedurre in singole fattispecie circostanze idonee a comprovare “le particolari esigenze di celerità”. La stessa Corte (sentenza n. 57/1995) ha affermato che “il coinvolgimento dei soggetti interessati e il momento di partecipazione che ne deriva si pongono come fase indefettibile di un procedimento che può concludersi con la applicazione di una misura afflittiva”. Ne consegue che la pubblica amministrazione è legittimata a derogare all’obbligo della comunicazione soltanto in presenza di specifiche circostanze, ragionevolmente deducibili a giustificazione di una particolare esigenza di celerità del procedimento. A parte tale ipotesi derogatoria, la norma (comma 2 dell’art. 7) fa espressamente salva la facoltà dell’amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione della comunicazione dell’avvio del procedimento, provvedimenti cautelari (sequestro, sospensione, etc.), cioè provvedimenti per loro stessa natura provvisori. E’ evidente che, in questo caso, non viene meno l’obbligo della comunicazione, consentendosi soltanto l’adozione, nelle more, della misura cautelare. Oltre alle ipotesi derogatorie testè esaminate, che trovano il loro fondamento nella esplicita previsione normativa, la giurisprudenza ha avviato un processo di progressiva enucleazione di altre fattispecie procedimentali sottratte all’obbligo della comunicazione in questione. Si tratta di fattispecie, in alcuni casi chiaramente individuate, in altri ancora oggetto di approfondimento da parte della giurisprudenza. Tra le prime, sono da annoverare certamente quelle relative al procedimento espropriativo, al procedimento disciplinare, nonché al procedimento di applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie. Con specifico riguardo a quest’ultima fattispecie, la garanzia offerta dalla contestazione immediata o dalla notificazione del verbale di accertamento dell’illecito, secondo le disposizioni generali recate dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, può certamente essere ritenuta assorbente di quella assicurata dalla legge n. 241. Se, dunque, sembra ormai acquisito l’orientamento favorevole alla esclusione dell’obbligo di cui trattasi nelle ipotesi in cui l’ordinamento già preveda “strumenti partecipativi diversi e peculiari”, lo stesso non può ancora dirsi per i procedimenti strumentali all’adozione di atti vincolati, per quelli per i quali l’effettiva possibilità dell’interessato di partecipare al procedimento si realizzi comunque di fatto a prescindere dall’espletamento dell’adempimento formale, e per le altre fattispecie individuate, ai fini dell’esclusione, da pronunce giurisprudenziali non ancora sufficientemente stabilizzate. In ragione di ciò, ed in attesa del consolidarsi degli indirizzi giurisprudenziali, si evidenzia la necessità che, fuori delle ipotesi derogatorie espressamente previste dalla legge e richiamate al punto 3 della presente circolare e dei procedimenti di per sé muniti di adeguate garanzie partecipative, l’adempimento formale di che trattasi venga comunque curato, così prevenendo ogni rischio di invalidazione dell’atto finale da parte del giudice amministrativo. Tutto ciò premesso, si evidenzia l’opportunità di richiamare, nelle forme ritenute più opportune, l’attenzione dei funzionari preposti ai diversi uffici, perché curino gli adempimenti loro rimessi dalla legge, garantendo in tal modo, con la applicazione degli istituti partecipativi, la trasparenza delle procedure e la salvaguardia degli atti dell’Amministrazione dai rischi di censure giurisdizionali. Si gradirà un cenno di intesa. IL DIRETTORE GENERALE (Marino)