Circ Fin 19 11 98 n 267 E Sanzioni in materia di imposta di registro e di imposta sulle successioni e donazioni. Premessa Gli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 473, emanato in attuazione della delega di cui all'art. 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, disciplinano, rispettivamente, le sanzioni amministrative in vigore dal 1' aprile 1998 per le violazioni in materia di imposta di registro e di imposta sulle successioni e donazioni. La revisione del sistema sanzionatorio nelle predette materie é stata operata mediante modificazioni ed integrazioni delle previgenti disposizioni, in coerenza con la parallela riforma compiuta con il d.lgs. n. 471 del 1997 in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione. Le disposizioni recate nei predetti articoli 1 e 2, a parte le innovazioni di carattere terminologico (consistenti nella sostituzione delle parole "soprattasse" e "pene pecuniarie" con l'espressione "sanzioni amministrative"), non differiscono da quelle contenute, rispettivamente, negli articoli 69 e seguenti del Testo Unico approvato con d.P.R. n. 131 del 1986 e negli articoli 50 e seguenti del d.lgs. n. 346 del 1990, se non per l'avvenuto adeguamento, nei limiti consentiti, delle nuove misure proporzionali a quelle previste in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto e per l'aggiornamento di quelle non rapportate all'ammontare del tributo. Sono state invece espressamente abrogate le previgenti disposizioni riguardanti l'omissione e la tardività di pagamento, in quanto sostituite dalla previsione di carattere generale di cui all'art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997. Ovviamente, in sede di applicazione e di determinazione delle sanzioni in questione si devono necessariamente tenere conto delle disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie contenute nel d.lgs. n. 472 del 1997 e successive modificazioni ed integrazioni. Tanto premesso, si passano ora in rassegna le principali fattispecie di violazioni in materia di imposta di registro e di imposta sulle successioni e donazioni. 1. Sanzioni in materia di imposta di registro 1.1. Omissione della richiesta di registrazione o della presentazione della denuncia L'art. 69, comma 1, del T.U., nel testo in vigore fino al 31 marzo 1998, puniva con la pena pecuniaria da una a tre volte l'imposta dovuta le violazioni agli obblighi fondamentali su cui si basa il sistema applicativo dell'imposta di registro, ossia l'omessa richiesta di registrazione degli atti rilevanti ai fini del tributo e la mancata presentazione delle denunce di eventi successivi alla registrazione, che diano luogo ad ulteriore liquidazione d'imposta. In caso di richiesta di registrazione o di presentazione delle denunce con ritardo non superiore a trenta giorni, era prevista dal comma 2 dello stesso articolo la riduzione ad un quarto (con minimo di lire cinquantamila) della suddetta pena pecuniaria che, pertanto, nell'ipotesi, variava dal venticinque al settantacinque per cento dell'imposta dovuta. Dal 1' aprile 1998, il citato art. 69, come stabilito dall'art. 1, comma 1, lett. b) del decreto legislativo n. 473 del 1997, assoggetta le violazioni di cui trattasi alla sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell'imposta dovuta (ossia alle stesse misure previste per l'omessa dichiarazione in materia di IVA e imposta sui redditi) mentre non contempla l'ipotesi della tardiva richiesta di registrazione o della tardiva presentazione delle denunce. Come si vede, per l'ipotesi dell'omissione risulta aumentato il limite minimo e diminuito il limite massimo della sanzione. Di ciò gli uffici devono tenere conto in sede di determinazione delle sanzioni relativamente alle violazioni commesse prima del 1' aprile 1998, in base agli articoli 3, comma 3, e 25, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 472 del 1997. In particolare, si evidenzia che anche per le violazioni commesse anteriormente al 1' aprile 1998, la sanzione (ancora da irrogare) non può oltrepassare il limite del duecentoquaranta per cento e se già irrogata in misura eccedente, con provvedimento non definitivo alla suddetta data, dovrà essere rideterminata in favore del trasgressore. Va rilevato, inoltre, che per la violazione in esame é ammessa la definizione agevolata, ai sensi dell'art. 16 comma 3, o dell'art. 17, comma 2, del citato decreto n. 472, mediante il pagamento del quarto della sanzione risultante, rispettivamente, dall'atto di contestazione o di irrogazione, entro sessanta giorni dalla notificazione di tali atti. 1.2. Insufficiente dichiarazione di valore L'art. 71, comma 1, del T.U., nel testo vigente fino al 31 marzo 1998, disponeva che quando il valore dei beni o diritti di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 51 definitivamente accertato ridotto di un quarto, supera quello dichiarato, doveva essere applicata la pena pecuniaria da metà a due volte l'imposta dovuta sulla differenza tra i due valori. Per i beni e i diritti di cui al comma 4 dell'art. 52, la pena pecuniaria anzidetta si applicava anche se la differenza non fosse stata superiore al quarto del valore definitivamente accertato. Il comma 2 dell'art. 71 prevedeva, poi, il raddoppio della penalità (che, pertanto, variava da una a quattro volte la differenza d'imposta) in caso di valore definitivamente accertato in misura superiore al doppio di quello dichiarato. Dal 1' aprile 1998, il citato art. 71, come sostituito dall'art.1, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 473, punisce la violazione in esame con un'unica sanzione, variabile dal cento al duecento per cento della maggiore imposta dovuta, ossia con le stesse misure previste per l'infedele dichiarazione in materia di IVA e di imposte sui redditi. Rispetto alla precedente formulazione risulta, quindi, aumentata la misura minima, confermata la misura massima ed eliminata l'aggravante prevista del previgente comma 2. Tali variazioni devono essere considerate dagli uffici in sede di determinazione delle sanzioni relativamente a violazioni commesse prima del 1' aprile 1998, in base alle disposizioni contenute negli articoli 3, comma 3, e 25, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 472 del 1997. In particolare, si evidenzia che per le violazioni che realizzano l'ipotesi dell'aggravante, la sanzione da irrogare non può comunque oltrepassare il nuovo limite del duecento per cento e, se già irrogata in misura eccedente, con provvedimento non definitivo alla data del 1' aprile 1998, dovrà essere rideterminata. Anche per la violazione in questione vale quanto già detto al precedente punto 1.1 a proposito della possibilità di definizione agevolata, ai sensi dell'art.16, comma 3, o dell'art.17, comma 2, del d.lgs. n. 472. Ancora, va evidenziato che la nuova disposizione mantiene la distinzione, già contenuta nella previgente norma, tra i beni e diritti di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 51 (beni immobili o diritti reali immobiliari, aziende o diritti reali su di esse) e i beni e diritti elencati al comma 4 dell'art. 52 (terreni e fabbricati iscritti in catasto con attribuzione di rendita, ad esclusione dei terreni per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria). La differenziazione assume rilevanza agli effetti sanzionatori perché per i beni e diritti della prima tipologia la sanzione si rende applicabile solo se il valore accertato, ridotto di un quarto, supera quello dichiarato, mentre per i beni e diritti della seconda specie la sanzione é dovuta anche nel caso in cui la differenza tra i due valori non superi il quarto. In altre parole, mentre per i primi é stabilita una tolleranza pari a un quarto, stante le obiettive difficoltà cui il contribuente può incontrare nel determinare il valore venale di tali beni (che può differire dal prezzo convenuto), per i secondi non é ammessa alcuna esimente in quanto sussiste la facoltà di sottrarsi alla rettifica dell'ufficio, dichiarando valori o corrispettivi non inferiori a quelli risultanti dalla cosiddetta "valutazione automatica o catastale". 1.3 Occultazione di corrispettivo Se l'insufficiente dichiarazione di valore é da ritenere l'infrazione più largamente praticata nel settore dell'imposta di registro, l'occultazione di corrispettivo costituisce, senza dubbio, la forma più grave di violazione. Ed invero, nell'ipotesi dell'occultamento il proposito di sottrarsi all'integrale pagamento dell'imposta dovuta é realizzato con un comportamento intenzionale e cioé con la denuncia consapevole all'Erario di un corrispettivo inferiore a quello pattuito. Data la peculiarità della violazione, si comprende come l'occultamento sia sempre punibile quale che sia la divergenza (anche minima) tra corrispettivo denunciato e quello pattuito. Si comprende, inoltre, come l'accertamento dell'infrazione comporti sempre l'applicabilità della relativa sanzione anche quando, in ipotesi, non resti alcuna imposta da riscuotere, per essere stato il tributo integralmente recuperato a seguito del giudizio di congruità sul valore dichiarato. L'infrazione di cui si discute é disciplinata dall'art. 72 del T.U. che, nel testo vigente fino al 31 marzo 1998, disponeva che, salva l'applicazione dell'art. 71, se in un atto o in una denuncia fosse stata occultata parte del corrispettivo convenuto, si applicava la pena pecuniaria da quattro a otto volte la differenza tra l'imposta dovuta e quella già riscossa in base al corrispettivo dichiarato. Il riferimento all'art. 71 si giustifica tenendo presente che vi sono fattispecie impositive nelle quali l'occultamento può coesistere con l'insufficiente dichiarazione di valore, come accade, per esempio, allorché in un atto di compravendita sia stato dichiarato un valore più basso di quello accertato dall'ufficio (tenuto conto eventualmente della tolleranza prevista) e comunque inferiore al corrispettivo convenuto. In una evenienza del genere, l'art. 72 summenzionato faceva salva l'applicazione dell'articolo precedente; pertanto, si rendevano dovute entrambe le sanzioni. Dal 1' aprile 1998 il quadro normativo é profondamente mutato atteso che, ai sensi del nuovo art. 72 (quello sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. d del d.lgs. n. 473), per un verso, risultano dimezzate rispetto al passato le misure edittali della sanzione (che varia quindi dal duecento al quattrocento per cento la differenza d'imposta) e, per altro verso, viene previsto che dalla penalità da applicare a seguito dell'occultamento debba essere detratto l'importo della sanzione eventualmente irrogata per l'insufficiente dichiarazione di valore. Essendo decisamente più favorevole di quella previgente, la nuova disposizione trova applicazione anche per le violazioni commesse anteriormente al 1' aprile 1998, sempreché ovviamente a tale data non sia già divenuto definitivo il provvedimento irrogativo della sanzione o non sia intervenuta sentenza passata in giudicato. In merito alla possibilità di definizione agevolata della violazione, si rimanda ai chiarimenti forniti in tema di insufficiente dichiarazione di valore. 1.4. Tardività di pagamento Com'é noto l'art. 70 del T.U. d.P.R. n. 131 del l986 assoggettava alla soprattassa del 20 per cento il tardivo pagamento dell'imposta, intendendo per tale quello effettuato dopo la scadenza del termine di sessanta giorni dalla notifica dell'avviso di liquidazione. Anche se tale norma risulta espressamente abrogata dall'art. 1, lett. g), del d.lgs. n. 473, l'infrazione in parola resta ugualmente punibile con la sanzione del trenta per cento prevista in via generale dall'art. 13, comma 2, del d.lgs. n. 471, per "ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto" fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo. Essendo più gravosa della previgente, la nuova misura non può, com'é evidente, essere applicata retroattivamente. In ordine alla sanzione di cui trattasi, sembra necessario fornire qualche precisazione circa il momento in cui deve intendersi perfezionata la tardività del pagamento, anche al fine di individuare correttamente il dies a quo per l'avvio del procedimento di irrogazione. Si chiarisce al riguardo che la violazione non sempre può ritenersi realizzata per effetto dell'infruttuoso decorso del termine di sessanta giorni dalla notifica dell'avviso di liquidazione (o di accertamento) con il quale viene richiesta l'imposta. Occorre, infatti, tenere presente che in determinate ipotesi la legge prevede che il ricorso di parte avverso l'atto dell'ufficio sospende (in tutto o in parte) l'obbligo del pagamento. In tali evenienze, entro i limiti in cui opera la sospensione ope legis non può considerarsi verificato il presupposto per l'applicazione della sanzione. Si consideri, per esempio, il caso delle imposte suppletive. Al riguardo l'art. 56, comma 1, lett. b), del T.U. del 1986, stabilisce che esse sono riscosse per intero dopo la decisione della Commissione tributaria centrale o della Corte d'appello o dell'ultima decisione non impugnata. Analogamente l'art. 68, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992 dispone che dette imposte devono essere corrisposte per intero dopo l'ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso in Cassazione. Stando così le cose, é evidente che non si può parlare di ritardo ingiustificato (come tale sanzionabile) nei confronti di chi, ricevuta la notifica dell'avviso di liquidazione, invece di pagare provveda ad esperire ricorso davanti alla commissione tributaria provinciale. Non così, ovviamente, se oltre al pagamento il contribuente ometta anche di presentare ricorso o se l'avviso sia conseguente ad una sentenza passata in giudicato o impugnabile solo davanti alla Cassazione. In tali casi, l'omesso pagamento comporta senz'altro l'applicazione della sanzione. Quanto detto per l'imposta suppletiva circa gli effetti sospensivi del ricorso, vale solo in parte per l'imposta complementare liquidata a seguito del maggior valore accertato. In tale caso, infatti, il citato art. 56 del T.U. prevede, alla lettera a), che un terzo del tributo liquidato dall'ufficio deve comunque essere pagato entro sessanta giorni dalla notifica, anche in presenza di ricorso. Pertanto l'omesso pagamento nei termini realizza l'infrazione punibile con la sanzione del trenta per cento, commisurata sulla frazione d'imposta in ordine alla quale non si é verificata la sospensione. Lo stesso dicasi per le frazioni d'imposta riscuotibili progressivamente in pendenza di giudizio. La sanzione in esame va, poi, applicata in ogni caso allorché il tardivo pagamento riguardi l'imposta principale richiesta ai sensi dell'art. 54, comma 5, del T.U. (registrazione d'ufficio) oppure l'imposta complementare conseguente a decadenza da benefici tributari. Tanto chiarito, é anche opportuno precisare che la base di commisurazione della sanzione in questione é costituita esclusivamente dall'imposta, senza che possano configurarsi casi di punibilità di tardivi pagamenti aventi per oggetto somme dovute a titolo di sanzione o interessi. Deve, pertanto, ritenersi superata la risoluzione ministeriale n. 98/E del 30 aprile 1997 nella parte in cui dispone che la sanzione per tardivo pagamento (all'epoca quella prevista dall'art. 70 del T.U.) possa essere applicata agli importi relativi alle sanzioni di insufficiente dichiarazione di valore. Ancora, va ricordato che la sanzione di cui si discute può essere irrogata mediante iscrizione a ruolo, senza previa contestazione, ai sensi dell'art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 472 e che, per la stessa, non può operare la definizione agevolata prevista dal comma 2 dello stesso art. 17 e dal comma 3 dell'art. 16. É invece consentito il ravvedimento spontaneo di cui all'art. 13 del decreto appena citato, con riduzione della misura della sanzione al 3,75 per cento se la regolarizzazione interviene nei trenta giorni o al 5 per cento se la stessa avviene entro un anno dalla commessa violazione. 1.5 Omessa o irregolare tenuta o presentazione del repertorio L'art. 73 del T.U. del 1986, nel testo vigente fino al 31 marzo 1998, assoggettava alla pena pecuniaria da lire cinquantamila a lire duecentomila sia l'omessa o irregolare tenuta del repertorio da parte dei pubblici ufficiali (notai, cancellieri, ecc.) sia l'omessa o tardiva presentazione dello stesso agli uffici. Era, inoltre, prevista la possibilità di sospensione dall'esercizio delle funzioni (senza peraltro alcuna indicazione circa la durata della stessa) per i pubblici ufficiali che avessero omesso di regolarizzare il repertorio entro il termine stabilito dall'Amministrazione finanziaria o avessero presentato lo stesso con un ritardo superiore a trenta giorni. Il nuovo testo dell'art. 73, in vigore dal 1' aprile 1998, diversifica invece l'ipotesi dell'omessa o tardiva presentazione da quella riguardante l'omessa o irregolare tenuta del repertorio con la previsione di distinte sanzioni pecuniarie; inoltre, fissa il limite temporale massimo (sei mesi) della sanzione accessoria. 1.5.1 Omessa o tardiva presentazione del repertorio Il comma 1 del nuovo art. 73 prevede che per l'omessa presentazione del repertorio entro il mese successivo a ciascun quadrimestre solare, i pubblici ufficiali sono puniti con la sanzione amministrativa da lire duemilioni a lire diecimilioni. Se la presentazione del repertorio avviene con ritardo superiore a sessanta giorni, gli stessi pubblici ufficiali possono essere sospesi dalle funzioni per un periodo non superiore a sei mesi (comma 3 del nuovo art. 73). In ordine alle predette disposizioni, si osserva quanto segue: la nuova sanzione pecuniaria, in quanto più gravosa rispetto a quella previgente, é applicabile solamente con riferimento alle violazioni commesse dal 1' aprile 1998; l'ipotesi della tardiva presentazione del repertorio viene assimilata in toto a quella dell'omissione, con riferimento alla sanzione pecuniaria; non così, invece, per quel che concerne la misura accessoria, dal momento che il ritardo non eccedente i sessanta giorni impedisce l'applicazione della stessa; l'omessa presentazione del repertorio é regolarizzabile entro tre mesi, ai sensi dell'art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 472, senza alcun pagamento ovvero entro un anno, ai sensi della disposizione prevista nel comma 1, lettera b) dello stesso articolo 13, con riduzione della sanzione a lire 333.000 (un sesto del minimo), tenendo presente, tuttavia, che tra i motivi preclusivi del ravvedimento si deve comprendere anche la conoscenza formale da parte del pubblico ufficiale del rapporto predisposto dall'ufficio per l'applicazione della sanzione accessoria; per l'irrogazione delle sanzioni pecuniarie deve essere seguito il procedimento disciplinato dall'art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997 e la controversia può essere definita ai sensi del comma 3 dello stesso art. 16. 1.5.2 Omessa o irregolare tenuta del repertorio Il comma 2 del nuovo art. 73 prevede che, per la mancata o irregolare tenuta del repertorio, i pubblici ufficiali sono puniti con la sanzione amministrativa da lire un milione a lire quattromilioni. Se la regolarizzazione del repertorio non avviene nel termine stabilito dall'Amministrazione finanziaria, i pubblici ufficiali possono essere sospesi dalle funzioni per un periodo non superiore a sei mesi (comma 3 del nuovo art. 73). In ordine alle predette disposizioni, si osserva quanto segue: la nuova sanzione pecuniaria, in quanto più gravosa rispetto a quella previgente, é applicabile solamente con riferimento alle violazioni commesse dal 1' aprile 1998; la mancata o irregolare tenuta del repertorio é suscettibile di regolarizzazione spontanea entro tre mesi senza alcun versamento oppure entro un anno con riduzione della sanzione a lire 167.000, tenendo presente, tuttavia, che tra i motivi preclusivi del ravvedimento si deve includere anche la diffida alla regolarizzazione del repertorio. 1.6 Altre infrazioni Il nuovo art. 74 del T.U., introdotto con l'art. 1, lettera f), del d.lgs. n. 473 del 1997, conferma la punibilità di chi dichiara di non possedere, rifiuta di esibire o sottrae comunque all'ispezione le scritture contabili rilevanti ai fini della valutazione di aziende o di diritti reali su di esse, e di chi non ottempera alle richieste avanzate dagli uffici ai sensi dell'art. 63, ai fini dell'applicazione dell'imposta. In entrambe le ipotesi viene prevista una sanzione da lire cinquecentomila a lire quattromilioni che, essendo più elevata rispetto alle misure stabilite dai commi 2 e 3 del previgente testo, si renderà applicabile unicamente alle violazioni commesse dal 1' aprile 1998. Non sono state, invece, riproposte le disposizioni di cui ai commi 1 e 4 del previgente art. 74 che sanzionavano, rispettivamente, la presentazione alla registrazione in termine fisso di un atto privo dell'indicazione della data ed ogni altra violazione degli obblighi e dei divieti stabiliti nel Testo unico. Conseguentemente, le sanzioni previste dai predetti commi 1 e 4 del previgente art. 74 non sono più applicabili a norma dell'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, mentre dovranno essere annullati i provvedimenti a suo tempo emessi e non divenuti definitivi alla data del 1' aprile 1998. 2. Sanzioni in materia di imposta sulle successioni e donazioni 2.1. Omissione della dichiarazione in presenza di imposta dovuta L'art. 50 del d.lgs. n. 346 del 1990, nel testo in vigore fino al 31 marzo 1998, puniva l'omessa presentazione della dichiarazione di successione, compresa quella sostitutiva, con la pena pecuniaria da due a quattro volte l'imposta liquidata o riliquidata dall'ufficio, prevedendo altresì che per l'omissione riguardante la dichiarazione integrativa la pena pecuniaria in questione era commisurata alla maggiore imposta liquidata dall'ufficio. In caso di presentazione della dichiarazione con un ritardo non superiore a trenta giorni, era prevista la riduzione a un quarto delle misure edittali della pena (con un minimo di lire ottomila) che, pertanto, nell'ipotesi, erano comprese tra il cinquanta e il cento per cento dell'imposta. Il ritardo superiore a trenta giorni era, invece, equiparato all'omissione. Dal 1' aprile 1998 il citato art. 50, come sostituito dall'art. 2, lett. d), del d.lgs. n. 473, conformandosi a quanto previsto in materia di registro, assoggetta la violazione dell'omissione alla sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell'imposta liquidata o riliquidata dall'ufficio, mentre non contempla più l'ipotesi della tardiva presentazione della dichiarazione. La sanzione in parola si applica anche quando l'omissione riguarda la dichiarazione sostitutiva o quella integrativa, previste per l'ipotesi in cui, dopo la presentazione della dichiarazione principale, sopravvenga un elemento che dia luogo ad un mutamento nella devoluzione ereditaria o del legato, ovvero all'applicazione dell'imposta in misura superiore. Le dichiarazioni in parola, com'é noto, devono essere presentate entro sei mesi dalla data dell'evento sopravvenuto di cui all'art. 28, comma 6, del d.lgs. n. 346 o dalla diversa data in cui l'obbligato dimostri di averne avuto notizia. Sembra importante precisare che le dichiarazioni integrative di cui trattasi non vanno confuse con quelle che il contribuente può eventualmente presentare successivamente alla prima dichiarazione per ovviare alla incompletezza o infedeltà della stessa. Ove queste ultime siano presentate oltre l'ordinario termine previsto, la sanzione applicabile é quella per infedele dichiarazione prevista dall'art. 51 (di cui si dirà al successivo punto 2.3) eventualmente ridotta ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. n. 472 del 1997. Occorre, altresì, ricordare che le dichiarazioni redatte su un modello difforme da quello approvato con specifico decreto ministeriale e quelle non sottoscritte da almeno uno degli obbligati o da un suo rappresentante negoziale, sono nulle e, quindi, da considerare omesse agli effetti sanzionatori. Ancora é da tenere presente che l'art 32, comma 1, del d.lgs. n. 346 del 1990, considera omesse anche le dichiarazioni mancanti di taluni dati o allegati che non siano regolarizzati entro sessanta giorni dall'invito dell'ufficio. Al riguardo, va tuttavia sottolineato che, a seguito delle previsioni contenute nel nuovo comma 3 dell'art. 51 del citato decreto (delle quali si dirà più diffusamente in seguito), l'equiparazione della mancata regolarizzazione all'omissione non riguarda più le indicazioni di cui all'art. 29, lettera n-bis) e i prospetti di cui all'art. 30, lettera i-bis). La misura recata dall'art. 50 risulta più favorevole rispetto a quella prevista in passato (limitatamente al caso di omissione) e, pertanto, trova applicazione anche per le successioni apertesi prima del 1' aprile 1998, purché a tal data non sia già definitivo il provvedimento con il quale é stata irrogata la previgente sanzione. É, inoltre, ammessa la definizione agevolata della violazione di cui trattasi, ai sensi dell'art. 16, comma 3, o dell'art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, con riduzione a un quarto della sanzione determinata dall'ufficio. Ancora va rilevato che, nell'ipotesi di più coeredi, non opera il concorso di persone, in quanto trova applicazione la disposizione derogativa contenuta nella seconda parte dell'art. 9 del d.lgs. n. 472 del 1997. Va, pertanto, irrogata una sola sanzione della quale i coeredi rispondono in solido. Da ultimo va evidenziato che la sanzione non va commisurata all'ammontare dell'imposta o della maggiore imposta dovuta in astratto ma, come già in passato, a quello da corrispondere in concreto, a seguito delle riduzioni e delle detrazioni di cui agli articoli 25 e 26 del d.lgs. n. 346. 2.2. Omissione della dichiarazione in assenza di imposta dovuta Nel caso in cui l'omissione riguardi una dichiarazione per la quale non é dovuta imposta (es. successione in linea retta con asse ereditario non superiore a lire duecentocinquanta milioni), si applica la sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire duemilioni, secondo quanto dispone il secondo periodo del nuovo art. 50. Tale misura non può essere applicata retroattivamente, in quanto più elevata rispetto alla pena pecuniaria da lire sessantamila a lire trecentomila stabilita dalla previgente norma. É ammessa la definizione agevolata ai sensi dell'art. 16, comma 3, e dell'art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 472 con riduzione a un quarto della sanzione determinata dall'ufficio. 2.3. Infedeltà della dichiarazione L'art. 51 del d.lgs. n. 346 del 1990, vigente fino al 31 marzo 1998, distingueva l'ipotesi dell'incompleta da quella dell'infedele dichiarazione di successione, assoggettando la prima alla stessa sanzione prevista per l'omissione, ossia alla pena pecuniaria da due a quattro volte la maggiore imposta liquidata, mentre per la seconda era prevista la pena pecuniaria da una a due volte la maggiore imposta liquidata. Tali misure erano ridotte a metà se la maggiore imposta non fosse risultata superiore al quarto dell'imposta totale e non si applicavano in caso di differenza d'imposta non superiore a lire cinquantamila. Inoltre, come in materia di registro, la sanzione non si applicava relativamente al maggior valore accertato dei beni e dei diritti diversi da quelli per i quali é consentita la valutazione catastale, se il valore definitivamente accertato non avesse superato di un quarto quello dichiarato. Ancora, nell'ipotesi di indicazione in dichiarazione di passività in tutto o in parte insussistenti, sulla base di attestazioni non conformi a verità, era dovuta una pena pecuniaria da due a quattro volte l'imposta corrispondente, a carico dei soggetti obbligati a presentare la dichiarazione che avessero sottoscritto le attestazioni. Tale penalità non era riducibile e si aggiungeva a quella dovuta per l'infedele dichiarazione. Con la stessa sanzione erano anche puniti i creditori o altri soggetti che avessero sottoscritto o rilasciato altri documenti di prova, non conformi a verità, di passività indicate nella dichiarazione. Le novità riscontrabili nel nuovo testo dell'art. 51, come sostituito dall'art. 2, lett. e), del d.lgs. n. 473, non sono poche. Anzitutto si é cercato di determinare con maggiore precisione le fattispecie sanzionate, rinunciando alla mera enunciazione dei concetti di incompletezza e infedeltà della dichiarazione. Infatti, per la prima ipotesi (incompletezza) si é fatto riferimento all'omessa indicazione di "dati o elementi rilevanti per la liquidazione o riliquidazione dell'imposta", per la seconda fattispecie alla indicazione di tali dati "in maniera infedele". Al riguardo si ritiene comunque utile ricordare che la dichiarazione é "incompleta" se nella stessa non sono stati indicati tutti i beni e i diritti compresi nell'attivo ereditario, compresi quelli alienati negli ultimi sei mesi di cui all'art. 10 del decreto n. 346. La dichiarazione é invece "infedele": a) se i beni e diritti compresi nell'attivo ereditario vi sono indicati per valori inferiori a quelli determinati secondo le disposizioni degli articoli da 14 a 19 e dell'art. 10 dello stesso decreto legislativo; b) se vi sono indicati, sulla base di attestazioni o altri documenti non conformi a verità, oneri e passività del tutto o in parte inesistenti; c) se non vi sono indicate donazioni anteriori o vi sono indicate per valore inferiore a quello determinato secondo le disposizioni dell'art. 8, comma 4. In secondo luogo sono state unificate le ipotesi di incompleta, di infedele dichiarazione e di passività inesistenti, prevedendo per esse la medesima sanzione dal cento al duecento per cento della differenza d'imposta (sempre al netto delle riduzioni e delle detrazioni di cui agli articoli 25 e 26). É stata confermata la tolleranza di un quarto per i beni non valutabili con il sistema automatico, mentre invece non é stata riproposta l'attenuante (riduzione a metà) nel caso di maggiore imposta non superiore al quarto dell'imposta totale, né l'esimente per l'ipotesi della maggiore imposta non superiore a lire cinquantamila. Per effetto di tali previsioni, la nuova disposizione non sempre risulta più favorevole rispetto a quella previgente. Pertanto sarà compito degli uffici stabilire, caso per caso, se in ordine alle successioni apertesi prima del 1' aprile 1998 debba o meno essere applicata la nuova misura, ai sensi dell'art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 472. Un caso in cui la nuova norma risulta sicuramente più vantaggiosa (per il trasgressore) é quello della indicazione in dichiarazione di passività inesistenti, atteso che, nella specie, la previgente sanzione era esattamente il doppio di quella attuale. A proposito di tale fattispecie, é opportuno ribadire, anche se ciò non risulta in maniera esplicita dalla nuova disposizione, che l'ipotesi di infedeltà si realizza soltanto con l'indicazione di passività in tutto o in parte inesistenti, che risultino da attestazioni o altri documenti, non conformi a verità, allegati alla dichiarazione. Viceversa, non costituisce infrazione punibile l'indicazione di passività non documentate o non previste come deducibili dalla legge; le stesse, infatti, vengono automaticamente escluse dall'ufficio in sede di liquidazione dell'imposta principale. La stessa sanzione dal cento al duecento per cento si applica, con riferimento all'imposta corrispondente, a chi rilascia o sottoscrive attestazioni o altri documenti rilevanti per la determinazione delle passività deducibili, contenenti dati o elementi non rispondenti al vero. Rientrano nella fattispecie in parola anche i documenti non conformi a verità, rilasciati a copertura delle spese mediche e funerarie. Ovviamente il nuovo testo dell'art. 51 non contiene alcuna norma che disciplini in maniera specifica la definizione agevolata della violazione di infedele dichiarazione. La stessa, infatti, può essere definita con la riduzione a un quarto, secondo la regola generale stabilita dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del d.lgs. n. 472. Si evidenzia, infine, che l'infedeltà può riguardare anche le dichiarazioni sostitutive o integrative presentate ai sensi dell'art. 28, comma 6, del d.lgs. n. 346. 2.4 Omissioni e infedeltà di dati o elementi formali Il nuovo comma 3 dell'art. 51 stabilisce che se l'omissione o l'infedeltà attengono a dati o elementi non incidenti sulla determinazione del tributo, é dovuta la sanzione da lire cinquecentomila a lire duemilioni. La stessa sanzione si applica per l'inosservanza degli obblighi formali introdotti dal D.L. 28 marzo 1997, n. 79, convertito dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, ossia per la mancata allegazione alle dichiarazioni dei documenti prescritti o dei prospetti rilevanti ai fini della liquidazione delle imposte ipotecaria e catastale, di bollo, delle tasse ipotecarie e dell'imposta sostitutiva di quella comunale sull'incremento di valore degli immobili, ovvero nel caso di inesattezze o irregolarità dei prospetti medesimi. La sanzione é ridotta a metà (varia, quindi, da lire duecentocinquantamila a lire un milione) se gli interessati provvedono alla regolarizzazione nel termine di sessanta giorni dalla richiesta dell'ufficio. Come già anticipato al precedente punto 2.1, poiché le violazioni ai suddetti obblighi sono ora autonomamente sanzionate, la mancata regolarizzazione riguardante i suddetti documenti e prospetti non realizza più l'ipotesi dell'omessa dichiarazione, come prevedeva l'art. 32, comma 1, del d.lgs. n. 346. Anche la sanzione di cui trattasi può essere definita in via agevolata ai sensi dell'art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 472. 2.5 Tardività di pagamento L'art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 346 del 1990 prevedeva in caso di mancato pagamento dell'imposta di successione nel termine previsto, l'applicazione della soprattassa pari al 20 per cento dell'importo non pagato o pagato in ritardo. Il comma 2, poi, stabiliva la riduzione a metà della soprattassa anzidetta nell'ipotesi di pagamento avvenuto nei trenta giorni dalla scadenza del termine. Anche tale norma, come l'omologa in materia di registro, risulta espressamente abrogata dall'art. 2, lett. h), del d.lgs. n. 473 e, tuttavia, l'infrazione in parola resta ugualmente punibile dal 1' aprile 1998 con la sanzione del trenta per cento, prevista in via generale dall'art. 13, comma 2, del decreto legislativo n. 471. Al riguardo, valgono le osservazioni formulate al precedente punto 1.4 in materia di registro, alle quali per brevità si rimanda. Si precisa che la sanzione del trenta per cento si rende applicabile anche nei casi di mancato o insufficiente versamento, nei termini previsti dall'art. 31 del d.lgs. n. 346 del 1990, dei tributi autoliquidabili connessi all'imposta di successione (imposte ipotecaria e catastale, di bollo, delle tasse ipotecarie e dell'imposta sostitutiva di quella comunale sull'incremento di valore degli immobili). 2.6 Violazioni in materia di beni culturali Il comma 1 dell'art. 53 del d.lgs. n. 346, come sostituito dall'art. 2, lett. f), del d.lgs. n. 473, punisce l'erede o il legatario, al quale sono stati devoluti beni culturali, che dopo aver fruito dell'esclusione dall'attivo ereditario dei beni di cui all'art. 13, comma 1, o della riduzione prevista dall'art. 25, comma 2, commette fatti od omissioni che comportino la perdita dei suddetti benefici, ai sensi del comma 4 del richiamato art. 13, ossia: aliena in tutto o in parte i beni culturali esclusi dall'attivo prima che sia decorso un quinquennio dall'apertura della successione; tenta l'esportazione non autorizzata degli stessi; muta senza autorizzazione la destinazione degli immobili; non assolve gli obblighi prescritti per consentire l'esercizio del diritto di prelazione dello Stato. Ove si verifichi una delle suddette ipotesi, l'erede o legatario é punito con la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento dell'imposta o della maggiore imposta dovuta in dipendenza della inclusione nell'attivo ereditario dei beni (prima non compresi) e della esclusione della riduzione (in precedenza accordata). Poiché la nuova misura é più favorevole rispetto alla pena pecuniaria da due a cinque volte prevista dalla vecchia norma, trova applicazione il principio del favor rei purché non vi siano provvedimenti definitivi alla data del 1' aprile 1998. Trovano applicazione anche le norme di carattere generale sul ravvedimento e sulla definizione agevolata. 2.7 Violazioni relative all'art. 48 Il comma 2 del citato art. 53, anch'esso sostituito dall'art. 2, lett. f), del d.lgs. n. 473, prevede l'applicazione di una specifica sanzione amministrativa nei confronti: a) degli impiegati dello Stato e degli enti pubblici territoriali nonché dei pubblici ufficiali (con esclusione dei giudici e degli arbitri) che abbiano compiuto atti del loro ufficio relativi a trasferimenti per causa di morte senza avere previamente acquisito la certezza dell'avvenuta presentazione della dichiarazione di successione o dell'intervenuto accertamento dell'ufficio, o ricevuto la dichiarazione scritta degli interessati circa l'insussistenza dell'obbligo tributario; b) dei giudici e degli arbitri che omettono di comunicare all'ufficio del registro competente, entro quindici giorni, le notizie relative ai trasferimenti per causa di morte apprese negli atti del processo; c) dei debitori del defunto e dei detentori di beni che gli appartenevano, i quali provvedono al pagamento delle somme dovute o alla consegna dei beni detenuti, senza aver avuto dagli eredi, dai legatari o dai loro aventi causa la dimostrazione che i suddetti crediti o beni siano stati indicati in dichiarazione o che in ordine agli stessi non sussisteva l'obbligo di dichiarazione o sia intervenuto accertamento dell'ufficio; d) dei debitori del defunto che omettono di comunicare con lettera raccomandata all'ufficio del registro competente, entro dieci giorni, l'avvenuto pagamento dei crediti di cui all'art. 12, lettere d) ed e); e) dei responsabili delle banche, delle società e degli enti che emettono azioni, obbligazioni e simili, i quali abbiano eseguito annotazioni nelle loro scritture contabili od effettuato operazioni concernenti i titoli trasferiti mortis causa, senza avere la prova che i suddetti titoli siano stati indicati in dichiarazione o che in ordine agli stessi non sussisteva l'obbligo di dichiarazione o sia intervenuto accertamento dell'ufficio; f) dei soggetti che omettono di trasmettere all'ufficio del registro competente, entro quindici giorni, le dichiarazioni dagli stessi ricevute relative alla inesistenza dell'obbligo di presentare la dichiarazione di successione. Nelle suddette ipotesi si rende dovuta la sanzione dal cento al duecento per cento dell'imposta o della maggiore imposta dovuta in relazione ai beni e diritti ai quali si riferisce la violazione. Da notare che, ai sensi del comma 4 dello stesso art. 53, la sanzione in parola é raddoppiata (e varia, quindi, dal duecento al quattrocento per cento) se la violazione é commessa da pubblici ufficiali o pubblici impiegati, ovvero da banche, società di credito o di intermediazione o dalle Poste italiane Spa. Fino a prova contraria, si presumono autori della violazione i legali rappresentanti delle banche, società o enti. Ove non si verifichi l'ipotesi aggravata, trova applicazione il principio del favor rei, tenuto conto che la precedente norma assoggettava le infrazioni della specie alla pena pecuniaria da due a quattro volte l'imposta. Il comma 3 dell'art. 53 prevede l'applicazione di una sanzione da lire cinquecentomila a lire quattromilioni (la stessa misura prevista dalla passata disposizione) qualora non vengano osservate le particolari formalità previste dall'art. 48, comma 6, per l'apertura delle cassette di sicurezza. La sanzione si applica nei confronti dei soggetti indicati nel citato comma 6 ovvero nel successivo comma 7, e nei riguardi dei concedenti o depositari. La stessa si raddoppia nell'ipotesi prevista dal citato comma 4 dell'art. 53. 2.8 Altre violazioni Ai sensi del citato comma 3 dell'art. 53, é applicabile la sanzione da lire cinquecentomila a lire quattromilioni nei confronti di chi: a) non ottempera alle richieste dell'ufficio formulate ai sensi dell'art. 47 o lo fa comunicando dati incompleti o infedeli; b) dichiara di non possedere, rifiuta di esibire o sottrae all'ispezione documenti o scritture, ancorché non obbligatori, dei quali risulti con certezza l'esistenza; c) rifiuta di sottoscrivere l'attestazione di sussistenza dei debiti, non risultanti da altre fonti documentali, di consegnare agli obbligati alla dichiarazione i titoli della passività o non permette che ne sia fatta copia autentica, di consegnare o di rilasciare agli stessi gli estratti e le copie autentiche di cui all'art. 23 e all'art. 30, comma 1. Anche la suddetta sanzione si raddoppia se la violazione é commessa dai soggetti indicati nel comma 4 dell'art. 53. Rispetto alle misure previgenti, sono state aumentate le sanzioni minime e massime per le violazioni indicate alle lettere a) e c), mentre sono state diminuite quelle per le violazioni indicate alla lettera b). Tali variazioni devono essere considerate dagli uffici in sede di determinazione delle sanzioni per le violazioni commesse prima del 1' aprile 1998, in base alle disposizioni di cui agli articoli 3, comma 3, e 25, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 472 del 1997. Anche per il tributo successorio non é stata riproposta la disposizione preordinata a sanzionare le violazioni di carattere residuale. Conseguentemente, le sanzioni previste dal comma 6, primo periodo, del previgente art. 53 non sono più applicabili a norma dell'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, mentre dovranno essere annullati i provvedimenti a suo tempo emessi e non divenuti definitivi alla data del 1' aprile 1998.