Cir_Entrate_21_3_02_25 CIRCOLARE N. 25/E Roma, 21 marzo 2002 Oggetto: Articolo 2, recante“Oggetto della giurisdizione tributaria”, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. Modifiche introdotte dall’articolo 12, comma 2 della legge 28 dicembre 2001, n. 448. 1. PREMESSA L’articolo 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002) ha sostituito l’articolo 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, recante: “Oggetto della giurisdizione tributaria”. Tale modifica ha esteso, a decorrere dal 1° gennaio 2002, l’ambito della giurisdizione speciale tributaria a tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, al fine di assicurare un’uniforme tutela giurisdizionale in materia tributaria. L’assenza di norme transitorie e di abrogazioni esplicite induce ad esaminare talune questioni, in specie per quanto concerne gli esatti limiti del disposto ampliamento della giurisdizione ed il raccordo fra la nuova e la vecchia disciplina. 2. AMPLIAMENTO DELLA GIURISDIZIONE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE L’ambito della giurisdizione delle commissioni era già stato ampliato con il citato d.lgs. n. 546 del 1992; la normativa in commento porta ora a compimento il processo di riforma, realizzando l’unità della giustizia tributaria. Nonostante la devoluzione di numerosi tributi, tassativamente individuati dal citato articolo 2, alla giurisdizione delle nuove commissioni tributarie, residuava infatti la generale giurisdizione del giudice ordinario in materia di imposte e tasse non specificamente attribuite al giudice tributario. La versione novellata dell’articolo 2 supera la precedente limitazione prevedendo che “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi ed ogni altro accessorio”. Conseguentemente le controversie relative a qualsiasi tributo sono ora regolate dalle disposizioni sul processo tributario. Per effetto della nuova competenza, a norma del comma 2 dell’articolo 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, tutti gli atti autonomamente impugnabili, notificati successivamente all’entrata in vigore della modifica in commento, devono contenere l’indicazione del termine, delle modalità e della commissione tributaria cui è possibile ricorrere. E’ opportuno ricordare che, in applicazione del disposto di cui al comma 3 dello stesso articolo 19, ciascuno degli atti ivi richiamati può essere impugnato solo per vizi propri, sicché, ad esempio, in sede di ricorso avverso cartella di pagamento preceduta da avviso di accertamento o da provvedimento di irrogazione di sanzioni non si possono più sollevare questioni relative all’atto presupposto. Si rileva che, per effetto del tenore generale della nuova disposizione, ogni tributo, anche di nuova istituzione, rientrerà automaticamente nella giurisdizione tributaria, senza alcuna necessità di espresse disposizioni relative al contenzioso. La competenza del giudice tributario si estende alle questioni aventi ad oggetto “le sovrimposte, le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio”. In proposito non vi sono novità rispetto al passato, fatta eccezione per le sanzioni amministrative, che verranno esaminate nel paragrafo 3. Per quanto riguarda, infine, le controversie catastali, non è stata introdotta alcuna novità; per esse viene confermata la competenza degli organi di giustizia tributaria. Infatti, il comma 3 della precedente versione dell’articolo 2 in esame è stato riprodotto nel comma 2 del testo della norma novellata. 3. SANZIONI AMMINISTRATIVE La precedente formulazione dell’articolo 2 limitava la giurisdizione delle commissioni tributarie alle sole sanzioni tributarie non penali; il nuovo testo demanda invece alle commissioni tributarie tutte le controversie in materia di sanzioni “comunque irrogate da uffici finanziari”. Sono pertanto devolute alla giurisdizione tributaria anche le sanzioni amministrative non tributarie irrogate dagli uffici finanziari, vale a dire le sanzioni non strettamente correlate alla violazione di norme disciplinanti il rapporto tributario. La disposizione appena richiamata non va interpretata, tuttavia, nel senso che la commissione tributaria possa conoscere indistintamente tutte le controversie interessate da sanzioni irrogate dall’Amministrazione finanziaria, qualunque sia la loro natura. Avuto riguardo alla speciale collocazione delle commissioni tributarie nell’ambito del sistema giurisdizionale, è da ritenere che le sanzioni impugnabili presso le suddette commissioni debbano comunque risultare connesse con violazioni di disposizioni riconducibili all’ordinamento giuridico-tributario e attinenti alla gestione dei tributi. A titolo esemplificativo, fra le sanzioni amministrative non tributarie ora attribuite alla competenza delle commissioni si possono indicare quelle previste:  dall’articolo 7-bis del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, in caso di omessa o tardiva trasmissione delle dichiarazioni da parte dei soggetti incaricati, individuati dall’articolo 3, comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322;  dall’articolo 39 del medesimo d.lgs. n. 241 del 1997, in relazione alle violazioni in materia di visto di conformità, di asseverazione e di certificazione tributaria;  dal capo IV del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112, per violazioni dei doveri derivanti dal rapporto concessorio commesse dai concessionari del servizio di riscossione dei tributi. In relazione a quest’ultimo punto si deve pertanto ritenere che, limitatamente alle controversie concernenti le sanzioni, non trovi più applicazione l’articolo 7, comma 1, lettera a) della legge 21 luglio 2000, n. 205 - che ha sostituito l’articolo 33 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 - secondo cui tutte le controversie relative ad un pubblico servizio, qual è quello di riscossione dei tributi, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. E’ il caso di sottolineare che l’attribuzione alla giurisdizione tributaria delle sanzioni amministrative, non strettamente correlate alle violazioni di norme disciplinanti il rapporto tributario, non conferisce a dette sanzioni natura di violazioni tributarie. Restano, quindi, inapplicabili alle sanzioni amministrative non tributarie le disposizioni previste dal decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Tra le sanzioni amministrative che, invece, non rientrano nella competenza delle commissioni tributarie si possono indicare, sempre a titolo esemplificativo, quelle comminate dagli uffici finanziari - ai sensi dell’articolo 6, comma 1 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e dell’articolo 53, comma 9 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 - nei confronti dei soggetti pubblici o privati che abbiano irregolarmente conferito incarichi a dipendenti pubblici. Per vero, tali sanzioni non derivano da una pretesa impositiva e non hanno connessione con obblighi tributari. Restano in ogni caso escluse dalla giurisdizione tributaria le penalità aventi natura privatistica, previste in convenzioni o atti negoziali stipulati dall’Agenzia delle entrate. 4. TRIBUTI DI COMPETENZA DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE Per quanto riguarda i tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate che vanno ad aggiungersi a quelli già di competenza dei giudici tributari, si segnalano in particolare i seguenti:  Imposta di bollo (decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642);  Tasse sulle concessioni governative (decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641);  Tasse sui contratti di borsa (regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3278);  Imposta sugli intrattenimenti e soppressa imposta sugli spettacoli e tributi connessi (decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640);  Tasse automobilistiche (decreto del Presidente della Repubblica 5 febbraio 1953, n.39);  Canone di abbonamento alla televisione (regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito in legge 4 giugno 1938, n. 880). In relazione al soppresso contributo per il servizio sanitario nazionale, già la circolare 18 dicembre 1996, n. 291/E aveva chiarito che le relative controversie rientravano nella giurisdizione tributaria, in quanto detto contributo, “essendo dichiarato, accertato e riscosso secondo le modalità previste per …i tributi diretti (cfr. articolo 14, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413), non può essere sottratto alla giurisdizione dell’organo preposto all’esame delle liti relative ai tributi medesimi”. L’esplicita previsione di cui all’articolo 2 in commento elimina qualsiasi incertezza in merito. 5. CONTROVERSIE ESCLUSE Restano escluse dalla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti gli atti dell’espropriazione forzata tributaria successivi alla notificazione della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di intimazione di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi i rimedi previsti dal titolo II del citato decreto. Si tratta in specie dell’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi (articolo 57), dell’opposizione di terzi (articolo 58), nonché delle controversie in materia di risarcimento dei danni derivanti dall’esecuzione (articolo 59). 6. DECISIONE IN VIA INCIDENTALE DELLE QUESTIONI PREGIUDIZIALI Ai sensi dell’articolo 39 del d.lgs. n. 546 del 1992, il processo è necessariamente sospeso nei soli casi in cui sia stata presentata querela di falso o debba essere decisa una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio. Al riguardo la circolare 23 aprile 1996, n. 98/E aveva chiarito che “in ordine ad ogni altra questione (diversa da quelle di cui all’articolo 39 n.d.r.) che si presenti come pregiudiziale per la decisione della lite fiscale, deve esprimersi incidenter tantum il giudice tributario”. Come è noto, in relazione all’articolo 39 citato è stata sollevata questione di legittimità costituzionale per contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, nel presupposto di una disparità di trattamento tra coloro che, in ipotesi di pregiudizialità, possono chiedere ed ottenere la riunione dei giudizi pendenti dinanzi allo stesso giudice tributario e coloro ai quali tale possibilità è preclusa in quanto i giudizi pendano dinanzi a giudici appartenenti a distinti uffici giudiziari. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 31 del 26 febbraio 1998, ha dichiarato infondata tale questione asserendo che il legislatore possiede un’ampia discrezionalità nel conformare gli istituti processuali, “fermo il limite della non irrazionalità delle sue scelte”. La Corte non ha ravvisato alcuna “irrazionalità” nella limitazione della sospensione per pregiudizialità nel processo tributario, in quanto in tal modo è stata soddisfatta sia l’esigenza di giudizi più rapidi che quella di una contestuale riduzione dell’arretrato delle commissioni tributarie. L’orientamento manifestato con la citata sentenza è stato successivamente ribadito in altre pronunce. In ordine alla problematica in esame la Corte di Cassazione, con sentenza n. 14281 del 30 ottobre 2000 (conformi: n. 4058 del 21 marzo 2001; n. 4509 del 10 aprile 2000), ha affermato il principio secondo cui nel processo tributario la sospensione, in ipotesi di pregiudizialità del giudizio civile o penale o amministrativo rispetto al giudizio tributario (c.d. pregiudizialità esterna) è obbligatoria solo nei casi contemplati nell’articolo 39 del d.lgs. n. 546. Per converso, in ogni altra ipotesi di pregiudizialità esterna, la sospensione non può essere disposta. Di contro, nelle ipotesi di pregiudizialità interna, cioè nei casi in cui il rapporto di pregiudizialità intercorre fra controversie tributarie, la Cassazione ha individuato talune limitate ed eccezionali fattispecie nelle quali, per evitare il rischio di giudicati contrastanti e di inutili reiterazioni di iniziative processuali, ha ritenuto applicabile al processo tributario l’articolo 295 del codice di procedura civile, che prevede la sospensione, non considerando un ostacolo la formulazione limitativa dell’articolo 39 citato. In particolare, la menzionata sentenza chiarisce che “il fenomeno della pregiudizialità, intesa come progressione logica delle questioni da affrontare per giungere alla soluzione di una controversia, può riguardare ‘punti’ pregiudiziali (cioè, un antecedente logico non controverso), ‘questioni’ pregiudiziali (cioè, una controversia ‘incidentale’ che si presenta sulla strada della decisione e che il giudice, appunto, può decidere incidenter tantum) o ‘cause’ pregiudiziali (cioè, controversie che devono essere risolte con sentenza che possa, poi, acquistare efficacia di giudicato)”. E’ solo in quest’ultimo caso, di “causa” e non di “questione” pregiudiziale, che la Cassazione ha reputato obbligatoria la sospensione del processo. Il nuovo testo del comma 3 dell’articolo 2 in commento sancisce ora esplicitamente che “il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipenda la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio” di cui al citato articolo 39. La nuova disposizione sembra superare l’orientamento della Corte di Cassazione, in quanto attribuisce al giudice tributario la possibilità di decidere in via incidentale ogni questione pregiudiziale, senza che assuma rilevanza l’autorità giudiziaria presso cui pende tale questione. Sono fatte salve, comunque, le due ipotesi di sospensione obbligatoria previste dall’articolo 39 e confermate dalla nuova formulazione dell’articolo 2 in esame. Non può escludersi che, attesa la delicatezza della materia, la Corte di Cassazione si pronunci nuovamente in tema di sospensione necessaria nel processo tributario. In ogni caso, anche per la Suprema Corte resta fermo il principio secondo cui il giudice, ove ne ricorrano i presupposti, debba procedere alla riunione dei giudizi e, per converso, ricorrere alla sospensione del processo solo nei casi in cui non sia possibile la riunione. Ciò posto, gli uffici, dopo aver sollecitato la riunione delle cause tutte le volte in cui ciò sia possibile e fino a quando la stessa non venga disposta, devono curare la difesa ed assolvere l’onere probatorio in ciascun giudizio in modo completo, fornendo quindi al giudice anche gli elementi per decidere le eventuali questioni incidentali, evitando il rinvio ad atti e documenti contenuti in altri fascicoli processuali. 7. ABROGAZIONI IMPLICITE Il principio dell’esclusività della giurisdizione tributaria ha determinato il venir meno della generale competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria in materia di imposte e tasse, finora sancita dall’articolo 9, comma 2 del codice di procedura civile. La nuova normativa non ha abrogato esplicitamente le norme disciplinanti il contenzioso relativo ai singoli tributi prima esclusi dalla giurisdizione tributaria. Queste disposizioni generalmente prevedevano la possibilità di proporre ricorso amministrativo e di adire successivamente il giudice ordinario. La Corte Costituzionale ha più volte censurato tali previsioni nella parte in cui condizionavano l’azione giudiziaria all’esperimento del preventivo ricorso amministrativo. Benché le norme censurate non siano state modificate dal legislatore, nella prassi e nella giurisprudenza esse sono state interpretate nel senso di consentire al contribuente la possibilità di adire il giudice ordinario anche senza aver preventivamente instaurato il contenzioso amministrativo, considerato facoltativo ed alternativo. Tanto premesso, si ritiene che il novellato articolo 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 esclude la possibilità di continuare ad avvalersi dei rimedi amministrativi. Sul punto l’Avvocatura Generale, interpellata al riguardo, ha argomentato che “la stessa configurazione del giudizio tributario ivi delineato – strutturato come un giudizio di impugnazione da proporsi necessariamente nel rispetto di un breve termine perentorio decorrente dalla notifica dell’atto ‘espresso’ (cfr. ora art. 21 co. 1 D.lgs. n. 546) – vale a confermare la esclusione della ammissibilità, nelle materie tributarie ivi considerate, di un ricorso amministrativo (sia pure facoltativo e concorrente), non essendovi alcuna disposizione che consenta di raccordare temporalmente tale ipotetico (ma ripetesi, neppure menzionato) ricorso e la sua decisione con il ricorso giurisdizionale avanti le Commissioni, da proporsi nell’indicato termine di decadenza – come tale non suscettibile di interruzione e neppure, in difetto di diversa disposizione, di sospensione (art. 2964 c.c.) – e che, in difetto di specifica previsione, non potrebbe neppure farsi decorrere dalla notifica della decisione stessa …”. Si deve, quindi, ritenere che gli atti di cui all’articolo 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 acquistano definitività se entro sessanta giorni dalla notifica non siano impugnati presso la commissione tributaria provinciale; ad impedire tale evento non può valere un ricorso gerarchico o in opposizione. A sostegno della tesi secondo cui per i tributi attratti nella giurisdizione tributaria non è ammissibile una tutela amministrativa, si ricorda che già in passato il legislatore, quando ha ampliato la competenza delle commissioni tributarie, ha espressamente eliminato la possibilità per il contribuente di instaurare un contenzioso amministrativo. L’articolo 71, comma 1 del d.lgs. n. 546 del 1992, infatti, ha escluso una duplice forma di tutela per tutti i tributi assoggettati, a decorrere dal 1° aprile 1996, alla giurisdizione delle commissioni tributarie, abrogando esplicitamente le relative norme che disciplinavano, anteriormente alla data di insediamento dei nuovi organi di giustizia tributaria, i ricorsi amministrativi (ad esempio, in materia di Iciap, di imposta comunale sulla pubblicità e di diritti di affissione). Soccorre, infine, anche un’argomentazione letterale. Il vigente articolo 2 assegna “tutte le controversie” al giudice tributario, lasciando così intendere che non vi può essere una controversia tributaria risolta in via amministrativa. Qualche perplessità potrebbe porsi per il ricorso amministrativo contro il provvedimento dell’ufficio locale di irrogazione delle sanzioni amministrative nei confronti del concessionario del servizio di riscossione dei tributi, disciplinato dall’articolo 54 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112. Questa norma dispone che avverso il detto provvedimento il concessionario, entro sessanta giorni dalla notificazione, può alternativamente definire la controversia con il pagamento di metà delle somme richieste o ricorrere in opposizione alla competente Direzione regionale che, entro i successivi sessanta giorni, decide con provvedimento definitivo immediatamente esecutivo. Si ritiene tuttavia che, non sussistendo elementi che differenzino sostanzialmente il ricorso di cui all’articolo 54 dagli altri ricorsi amministrativi, anche in questa ipotesi la tutela amministrativa sia venuta meno. Per tale motivo il provvedimento dell’ufficio locale è da considerarsi definitivo e contro lo stesso ora può solo esperirsi il ricorso alla commissione tributaria provinciale individuata in base alla sede dell’ufficio. Resta ferma per il concessionario, che non intenda avvalersi della tutela in sede giurisdizionale, la possibilità di avvalersi del beneficio relativo al pagamento di metà della sanzione irrogata. 8. DIRITTO TRANSITORIO Come già anticipato, il nuovo testo dell’articolo 2 in esame è entrato in vigore il 1° gennaio 2002. In assenza di norme transitorie, l’articolo novellato si applica a tutti i ricorsi presentati a partire da tale data. Ai sensi dell’articolo 5 del codice di procedura civile, applicabile in base al richiamo di cui all’articolo 1, comma 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, la giurisdizione si determina avuto riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda. Tale principio trova applicazione anche per gli atti notificati anteriormente al 1° gennaio 2002, sempre che - prima di tale data – gli stessi non siano stati impugnati (anche con la proposizione di ricorso amministrativo) in base alla disciplina previgente e che - alla stessa data - non sia ancora decorso il termine stabilito per l’impugnazione. Il disposto di cui al citato articolo 5 del codice di procedura civile, ai sensi del quale non hanno rilevanza sul processo già iniziato i successivi mutamenti della legge relativi alla giurisdizione, induce inoltre a ritenere che tutti i giudizi già incardinati dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria alla data del 31 dicembre 2001 proseguono presso quest’ultima in quanto non vengono influenzati dalla novella in rassegna. In ordine alle controversie amministrative pendenti alla data del 1° gennaio 2002 si è dell’avviso, difettando una diversa regolamentazione, che le stesse continuino ad essere decise in sede amministrativa. Avverso la decisione amministrativa si potrà ricorrere secondo le regole del processo tributario. Parte del relativo giudizio (legittimazione passiva) deve ritenersi l’organo che ha deciso il rigetto del ricorso amministrativo. Sul tema l’Avvocatura “osserva che – secondo principi affermati anche dalla Cassazione (sia pure per fattispecie diverse, cfr. Cass. nn. 3404/01; 2798/97; 5746/93; 1399/90) – la decisione di rigetto del ricorso gerarchico, proveniente dall’autorità superiore, sostituisce ed assorbe il provvedimento impugnato: con la conseguenza che, nella successiva sede giurisdizionale, l’atto va impugnato nei confronti dell’autorità che ha emesso la decisione stessa”. La competenza territoriale della commissione tributaria sarà determinata, ai sensi dell’articolo 4 del d.lgs. n. 546 del 1992, facendo riferimento alla sede dell’ufficio (organo amministrativo) chiamato in giudizio. Eventuali ricorsi amministrativi presentati successivamente al 31 dicembre 2001, non essendo più ammessi, non impediscono che il provvedimento contestato – in assenza di tempestivo ricorso alla competente commissione tributaria - diventi definitivo, con conseguente obbligo per l’ufficio impositore di procedere alla relativa riscossione. In questi casi resta, ovviamente, salva la potestà di annullamento d’ufficio in presenza dei relativi presupposti; a tal fine si ricorda che nelle more dell’istruttoria finalizzata all’eventuale esercizio dell’autotutela e in presenza di un oggettivo impedimento all’immediato annullamento dell’atto (ad esempio, necessità di acquisizioni istruttorie; necessità del parere della Direzione regionale, eccetera), gli uffici possono concedere la sospensione della riscossione ai sensi dell’articolo 2-quater, comma 1-bis, del decreto legge 30 settembre 1994, convertito dalla legge 30 novembre 1994, n. 656. In presenza di ricorso erroneamente proposto, gli uffici comunicheranno all’interessato che, per effetto della modifica normativa entrata in vigore il 1° gennaio 2002, il ricorso amministrativo non è più ammesso.