Sono comuni le
lamentele da parte di condomini (o di loro inquilini), che affermano che il
loro appartamento è insufficientemente riscaldato (o, in alternativa,
surriscaldato). Naturalmente, il problema può sorgere solo quando l’impianto è
centralizzato. E la domanda è sempre la stessa: come posso ribellarmi?
Va premesso che la legge non stabilisce un livello minimo di temperatura da serbare nei locali: al contrario fissa solo quello massimo (20 gradi più due di tolleranza per inesatta taratura dell’impianto, secondo il Dpr sul risparmio energetico).
Tuttavia, essendo
l’impianto di riscaldamento un bene comune, non c’è dubbio che la sua custodia
competa al condominio e, per lui, all’amministratore. Inoltre, responsabile del
danno causato cose che ha in custodia (articolo 2051 del codice civile) è
l’amministratore in prima persona, e il condominio in seconda battuta. Pensiamo
ad esempio a una malattia causata, o anche solo aggravata, dal mancato
riscaldamento.
Dal fatto che
l’impianto sia un bene comune, deriva anche che il suo funzionamento è regolato
dal principio generale di uguaglianza dei condomini, principio per il quale
tutti i servizi comuni devono essere goduti dai condomini in maniera uguale. Se
un proprietario è ben riscaldato e un altro no, si ha uno squilibrio.
Quindi, se
l’inconveniente è eliminabile senza creare danno agli altri appartamenti, come
quasi sempre accade, si ha diritto di
chiedere che vengano prese le misure necessarie, anche nel caso in cui occorra
affrontare una spesa consistente.
Non può essere portata
come scusa dal condominio il fatto che la stessa quantità di calore viene
erogata a tutti. Infatti un appartamento
al primo o all’ultimo piano, o in posizione più esposta “consuma” più energia: a ciò si provvede con
un’adeguata ripartizione delle spese (i cosiddetti millesimi calore).
Unica eccezione quando
gli squilibri di calore derivano da circostanze che non è agevole eliminare con
una corretta gestione dell’impianto: si pensi ad esempio a un attico sottoposto
a fortissimi sbalzi di temperatura durante la giornata a seconda della presenza
o meno di agenti atmosferici, come sole o pioggia (Cassazione, 10 giugno 1981,
n. 3775).
Se i lavori di
revisione dell’impianto impongono di aggiungere in un determinato appartamento
elementi radianti ai caloriferi, occorrerà dare una scorsa al regolamento
condominiale contrattuale. Nel caso in cui il regolamento preveda il calcolo
dei millesimi in base agli elementi radianti si provvederà alla revisione delle
tabelle calore. Se invece il regolamento calcola i millesimi solo in base alla
superficie o alla cubatura dell’appartamento, il condomino serba il suo diritto
ad esser maggiormente riscaldato, ma non pagherà una lira di più. Gli altri
dovranno consolarsi con la constatazione che, dopotutto, gli appartamenti ai piani medi godono del
“furto di calore” degli appartamenti circostanti.
La revisione dei
millesimi calore va approvata all’unanimità: se non la si raggiunge, i
condomini danneggiati possono rivolgersi al Giudice.
E’ del tutto
impossibile, per il proprietario dell’appartamento applicarsi un’autoriduzione
delle spese, perfino se è casa sua è lasciata completamente al freddo. Lo ha
chiarito, più volte, la Cassazione (sentenze Sezioni unite n. 10492/96, n.
5813/1998, n. 10560/2001). In sostanza, la giurisprudenza ha affermato che il singolo condomino non ha firmato un
contratto con prestazioni corrispettive con il condominio. Solo in questo caso
avrebbe la possibilità di sospendere (come è previsto dal codice civile) la sua
prestazione, se il condominio è inadempiente.. Tuttalpiù si potrà far causa e
chiedere anche eventuali danni (economici, ma anche “esistenziali”).
Viceversa, i
proprietari di sottotetti o una mansarde non serviti dall’impianto di
riscaldamento centralizzato non possono pretendere il collegamento all’impianto
una volta che hanno reso i locali abitabili. Infatti l’impianto non è stato
costruito per servire anche questi locali (Cassazione, n. 7730/2000).
Ovviamente, se l’assemblea condominiale delibera all’unanimità il potenziamento
dell’impianto e la nuova suddivisione dei millesimi, essi potranno avere il
diritto di lamentarsi dell’insufficiente erogazione.
Un caso particolare è
quello del “surriscaldamento” dell’appartamento. Infatti, si potrà far ricorso
al Dpr 26 agosto 1993, n. 412, che impone sanzioni da 1 a 5 milioni di vecchie
lire se si superano i 22 gradi nei propri locali. Non solo: se il valore limite
è superato di molto, ci si può appellare anche all’articolo 844 del codice
civile che vieta tra l’altro anche le immissioni intollerabili di calore.
“avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi”.
Silvio Rezzonico, presidente
Confappi (Confederazione piccola proprietà immobiliare)