Manutenzione ogni due o quattro anni secondo l’età o la potenza dell’impianto

 

Test caldaie, tempi allungati

 

Non più ogni dodici mesi, ma ogni due o quattro anni i controlli sulle caldaiette singole, da annotare sull’apposito libretto. Certamente un bel risparmio per il cittadino, che non sarà più costretto a pagare con troppa frequenza i tecnici che eseguono la verifica e una battaglia vinta per le associazioni dei consumatori (in primo piano, Adiconsum), che sostenevano che si esagerava. Ma, secondo alcuni, una disposizione criticabile, perché dirada le verifiche proprio sugli impianti termoautonomi, che sono quelli più a rischio di incidenti. Infatti i generatori calore condominiali sono in genere gestiti dall’amministratore del palazzo che non ha alcun interesse a non effettuare le verifiche, dal momento che non le paga di tasca sua, e perdipiù è solito delegarle a una ditta esterna (il cosiddetto “terzo responsabile dell’impianto calore”) che per contratto deve eseguirle regolarmente.

I termini. A stabilire l’allungamento dei tempi è il decreto legislativo 18 agosto 2005, n. 192 che, a dire il vero, prevede criteri quantomeno ambigui. Infatti vi si afferma che il primo criterio per stabilire la tempistica dei controlli sono le istruzione tecniche redatte dal costruttore dell’impianto, il secondo sono le norme dell’Ente di unificazione (Uni) e solo in loro mancanza si ricorre alle scadenze stabilite dal decreto. Che sono, più in dettaglio:

a) ogni quattro anni per le caldaie appena installate con potenza inferiore a 35 Kw (per intendersi, gli impianti termoautonomi);

b) ogni due anni per quelle con più di otto anni di età;

c) ogni anno per le caldaie con potenza uguale o superiore a 35 Kw;

d) un ulteriore controllo semestrale, ma solo del rendimento energetico, per quelle oltre 350 Kw di potenza termica.

Ambiguità. Benché in teoria a prevalere siano le istruzioni tecniche del costruttore (che, a scanso di responsabilità, prescriverà verifiche frequenti) e in seconda battuta le norme Uni (di cui i proprietari ignorano il più delle volte perfino l’esistenza) , la pratica insegna che ci si rifà sempre alle scadenze di legge, anche perché le istruzioni sono spesso introvabili.  

Comuni e province destituiti L’altra radicale  novità del decreto è di por fine alle competenze dei comuni sopra i quarantamila abitanti e alle province, per la restante parte del territorio nazionale, che gestivano i controlli a tappeto sulle caldaie esistenti.. Più precisamente, si tiene ancora in vita il vecchio sistema per due anni. Dopo questo biennio tale ruolo sarà assunto  dalle Regioni (che attualmente, non hanno alcun ufficio preposto). Esse hanno campo d’azione libero. Per esempio, potranno decidere di delegare di nuovo a Comuni e province questo compito. Oppure di tenere per sé l’incarico. O infine di attribuire i controlli ad altri enti.

Copertura dei costi. Non è finita. E’ messa in forse anche la copertura dei costi delle verifiche, che la legge n. 10 attribuiva senz’altro all’utenza. Si utilizza una formula ambigua: “le regioni assicurano che la copertura dei costi avvenga con una equa ripartizione tra tutti gli utenti finali così da garantire il minor onere e il minor impatto possibile a carico dei cittadini”. Dietro alle nuova norme si intravede senz’altro la pressione di alcune associazioni dei consumatori, che da anni denunciano l’ingiustizia della cosiddetta “tassa caldaie” che sono costretti a pagare anche i cittadini che hanno un impianto perfettamente in ordine.

Competenze regionali. “Non discuto se chi tutela i consumatori ha ragione o meno” ribatte Bruno Villavecchia, per anni a capo dei controlli comunali alle caldaie in provincia di Milano e ora a direttore dell’ Agenzia milanese mobilità e Ambiente: “Resta il fatto che le strutture comunali e provinciali perdono la certezza di avere una sicura fonte di finanziamento, l’utenza, perché qualsiasi criterio adottato diverrà contestabile, perché poco equo. D’altra parte mi pare poco probabile che le Regioni siano disposte ad accollarsi, anche solo in parte, il costo dei controlli. Ma, soprattutto, il nuovo decreto demolisce il lavoro messo in piedi da comuni e province, costato anni di impegno. Al posto degli attuali uffici di controllo locali ne dovranno sorgere di nuovi, strutture prive di esperienza e di personale qualificato e perdipiù dipendenti da un ente, come la Regione, che ha un ruolo essenzialmente normativo e non di lavoro sul campo”.

Nuovi obblighi burocratici.  Il decreto, infine, istituisce un ulteriore compito burocratico: il tecnico addetto deve, dopo la manutenzione, non solo compilare le apposite pagine del libretto che il proprietario deve conservare in casa (detto “libretto di impianto”, per le caldaie sotto i 35 kw e “libretto centrale” per quelle di potenza superiore) ma anche redigere un apposito ““rapporto di controllo tecnico” anch’esso “sdoppiato” a seconda delle stesse potenze termiche. Sia il rapporto che il libretto vanno conservati dal proprietario della caldaia (o dall’amministratore condominiale se il riscaldamento è centralizzato) e vanno esibiti in caso di verifiche. Bisogna aggiungere che i due documenti sono, almeno in parte, identici, dimostrando in ciò l’attrazione fatale verso moduli e formulari di chi sforna le norme.

 

 

Tariffe ridotte per chi autocertifica la manutenzione

 

Il meccanismo attuale delle verifiche agli impianti termici

 

Le verifiche di rendimento degli impianti termici sono attualmente delegate alle province, fatta eccezione per i comuni sopra i 40 mila abitanti che le gestiscono in proprio.  Ci sono voluti anni di gestazione, ma ora funzionano a pieno ritmo in molte grandi città (per esempio Milano, Torino, Bologna, Firenze, Roma, Napoli) nonché in molti altri capoluoghi e province (citando a caso, in un elenco che non è certo esaustivo, Bergamo, Brescia, Caltanissetta, Catanzaro, Chieti, Cremona, Cuneo, Ferrara, Foggia, Mantova, Massa , Modena, Grosseto, Imperia, Lucca, Pavia, Pescara, Pistoia, Perugia, Prato, Reggio Calabria, Rimini, Savona, Trento Udine ,Varese, Vercelli, Verona Vicenza) anche se non mancano “buchi” importanti , soprattutto al Sud (dove peraltro il problema degli impianti di riscaldamento è meno pressante). In talune province (per esempio, in quelle piemontesi) sono stati affidati all’Agenzia regionale dell’ambiente, mentre altre (quella di Milano) hanno preferito creare propri uffici.

Cosa si controlla. I criteri di legge sono questi: i tecnici hanno l’incarico di verificare ogni due anni che tutti gli impianti termici abbiano rendimenti che rientrano nei parametri di legge, che le manutenzioni ordinarie vengano effettuate con la periodicità prevista e che la documentazione di impianto (i libretti di impianto o centrale) sia presente e aggiornata. Tuttavia nel caso in cui il proprietario di un impianto termoautonomo (sotto i 35 Kw di potenza) invii all’organo preposto un documento di autodichiarazione compilato dal suo manutentore (l’allegato H al dpr 551/99), l’impianto stesso riceve una sorta di attestazione di qualità (diversamente denominata a seconda delle località, per esempio come bollino “verde”, “calore pulito” o “caldaie sicure”). Solo il 5% degli impianto così certificati sono sottoposti a controlli.

Cultura del risparmio. Gli enti locali si sono ben presto resi conto che i loro scopo non era tanto colpire i trasgressori , cioè gli utenti con impianti non a norma o privi della necessaria documentazione, quanto quello di creare una cultura della manutenzione. Perciò se una visita aveva un esito negativo, si è spesso preferito, anzichè irrogare le sanzioni di legge, dare un periodo di tempo all’utilizzatore per adeguarsi alle norme o per procurarsi il necessario libretto di impianto, per poi ripassare per la verifica definitiva (che in ben pochi casi si è conclusa con l’ordine di disattivare l’impianto, restato insicuro o sotto i rendimenti previsti).

Costi dei controlli Ovviamente la rete delle verifiche ha un costo, che la legge n. 10/1991 aveva deciso fosse a carico dell’utenza. Al lato pratico si è deciso quasi dappertutto di “spalmare” tale costo su tutti gli utenti, creando una sorta di “tassa caldaie”. L’invio dell’autocertificazione ha un costo ridotto e convenzionato (variabile da 5 a 9 euro per le caldaie termoautonome). Viceversa il controllo degli impianti non autocertificati , che è sempre a carico dell’utente, ha un costo che è, in media, di dieci volte superiore(vedi tabella 1).

Prezzi convenzionati. Comuni e province, inoltre, hanno firmato con associazioni di categoria e singoli artigiani convenzioni che stabiliscono tariffe massime per le operazioni di manutenzione, per ridurre i costi all’utenza (vedi tabella 2).

 

Controlli degli impianti termici termoautonomi: i costi per l’utente (euro)

 

Città

Presentazione della autocertificazione*

Controllo su impianto senza autocertificazione

Provincia**

Presentazione della autocertificazione*

Controllo su impianto senza autocertificazione

Roma

5,00

85,00

Napoli

7,75

77,00

Milano

5,16

54,00

Vicenza

9,00

80,00

Bologna

4,00

85,00

Roma

7,50

75,00

Venezia

6,00

78,00

Caltanissetta

9,50

48,00

Napoli

7,75

77,00

Torino

7,00

60,00

Brescia

5,16

61,17

Chieti

7,75

94,54

Salerno

16,00

80,00

Savona

8

61,97

 

Costi convenzionati di un contratto di manutenzione biennale*

(due verifiche annuali e un controllo di combustione biennale, caldaia fino a 35 kw)

 

 

Città

Euro (Iva inclusa)

Provincia

Euro (Iva inclusa)

Milano

165,27

Roma

135,00-175,00

Venezia

155,00-165,00

Genova

151,00

Firenze

161,14

Verbania

110,00

Bologna

196,8

Pavia

160,00

Padova

204,00

Cosenza

120,00

Napoli

130,00

Caltanissetta

120,00

Rimini

152,00

Bologna

164,00

 

 

Torino

145,00

 

* I costi sono quelli massimi adottati da un elenco di imprese convenzionate con il Comune o con la Provincia (per i comuni sotto i 40 mila abitanti). Solo una parte dei comuni e delle province hanno stipulato convenzioni

Fonte: Indagine a campione Confappi-Federamministratori

 

 

I criteri per essere “a norma”

 

Sicurezza da coniugare al risparmio

 

Quando un impianto di riscaldamento è “a norma”? Prima di rispondere, occorre chiarire che i criteri per stabilire l’adeguatezza sono due. Il primo attiene alla sua sicurezza, cioè al pericolo di scoppi, incendi o avvelenamenti dell’aria interna ai locali che lo ospitano. Il secondo, invece , al risparmio e al rendimento energetico, cioè alla sua capacità di produrre calore senza consumare troppo combustibile e senza inquinare l’aria delle città.

Le esigenze di sicurezza e quelle di risparmio energetico possono essere in netta contraddizione tra di loro. Basta un po’ di buon senso, infatti, per capire che il risparmio energetico perfetto si ottiene sigillando completamente tutti gli infissi di un appartamento, per conservare il calore. Una misura che può presentare rischi altissimi per la sicurezza, in quanto viene a mancare la necessaria aerazione dei locali in cui si vive. Perciò le norme esistenti cercano un intelligente compromesso tra queste due diverse istanze.

L’impianto sicuro. Che sia alimentato a metano, a gasolio, a gas propano liquido, a carbone o a legna, un impianto di riscaldamento funziona attraverso un ciclo: la combustione avviene grazie all’ossigeno prelevato all’esterno dell’apparecchio e sempre all’esterno vanno scaricati i fumi che ne derivano. Qualsiasi ostacolo frapposto a questo ciclo (poco ossigeno disponibile, scarico intasato) è causa di incidenti.

I casi di camini intasati esistono, ma sono più rari. La gente rischia più spesso la propria vita aerando poco i locali, cioè fornendo poco ossigeno alle fiamme che bruciano. Dalla combustione, anziché formarsi anidride carbonica, si forma allora il micidiale ossido di carbonio. Si tratta di un gas del tutto inodore, capace di uccidere nel giro di dieci minuti una persona in buona salute, dopo averle causato una progressiva spossatezza di cui la persona colpita non è spesso in grado di capire il motivo. Se si sta dormendo, capita di non accorgersi di quello che succede. Se si è svegli, si può attribuire il malessere ad altre cause (per esempio un intossicazione del cibo). E così si rischia di morire stupidamente, quando sarebbe bastato aprire una finestra per salvarsi. Ecco perché le norme tecniche danno largo spazio ai problemi dell’aerazione dei locali e degli scarichi dei fumi.

Particolari attenzione è posta perciò alle caldaie che si riforniscono di ossigeno prelevandolo dai locali in cui sono poste, attraverso una finestrella aperta. Esse, innanzitutto, non possono essere poste indeterminati locali a rischio (camere da letto, bagni). Inoltre anche nelle altre stanze (cucine e soggiorni) debbono essere praticate delle apposite aperture sempre aperte per aerazione, che danno all’esterno dell’edificio, il cui diametro deve essere proporzionale alla potenza non solo della caldaia ma anche di tutti gli altri apparecchi che bruciano ossigeno nello stesso locale (per esempio una piastra di cottura a gas). Quando l’apertura è impraticabile nel locale che ospita il generatore calore, va fatta in un altro adiacente (purché non si tratti di una camera da letto o di un locale comune del palazzo). , In tal caso occorrerà maggiorare la fessura tra porta e pavimento dell’infisso che separa le due stanze: l’ampiezza della fessura deve essere perlomeno uguale a quella prevista per l’apertura.

Viceversa le caldaie termoautonome di nuova concezione (il cosiddetto “tipo C”), che pesano l’aria dall’esterno attraverso appositi condotti, possono essere disposte ovunque.

Le caldaie devono poi devono avere un apposito dispositivo blocchi il loro funzionamento se i camini di scarico non “tirano”. I rischi da intossicazione da gas sono infine ridotti odorizzando chimicamente il metano. Il gas è, di per sé, inodore: il tipico puzzo che si avverte è dato dall’aggiunta di sostanze che segnalano a chi lo usa le fuoriuscite, in modo da permettergli di aerare i locali.

L’impianto efficiente. Per essere efficiente un impianto deve avere un generatore con una buona resa termica (misurabile con un apposito apparecchio), deve subire regolari manutenzioni (i particolare, la pulizia degli ugelli), deve scaricare fumi a temperatura non eccessiva e deve essere ospitato in un ambiente, opportunamente coibentato. I generatori che non superano le prova di rendimento debbono essere, per legge, sostituiti. .

 

Altri ceck

Un’attestazione per gli erogatori

 

I controlli  di comuni e province non sono le uniche verifiche esistenti sugli impianti calore: vi sono anche quelle gestite dalle aziende di distribuzione del metano, che per ora riguardano solo i nuovi allacciamenti del contatore, ma che presto dovrebbero coinvolgere anche agli altri impianti , prima quelli ristrutturati o modificati e poi tutti quelli esistenti.

In sostanza le aziende del gas, prima di attivare la fornitura, chiedono agli utenti di inviare, insieme alla domanda, un’attestazione di corretta esecuzione dell’impianto da parte dell’installatore. Lasciano poi un certo periodo di tempo dopo l’attivazione (un mese, prorogato provvisoriamente fino a sei da una recente delibera dell’Autorità del gas) per spedire anche la dichiarazione di conformità dell’impianto stesso, che l’ installatore è obbligato dalla legge a compilare  non appena consegna il lavoro finito al suo cliente. Se la dichiarazione non perviene, l’erogazione del metano viene sospesa.

Questa procedura, applicata oggi a tutti gli impianti nuovi, dovrebbe  essere resa obbligatoria anche per quelli ristrutturati a partire da ottobre 2007. Infine da ottobre 2008 partiranno anche verifiche documentali a campione sugli impianti esistenti. I cittadini che riceveranno la richiesta, saranno insomma costretti a spedire la documentazione che certifica la sicurezza alle aziende distributrici, pena l’interruzione della fornitura.

Ci si può chiedere il perché esistano due tipi di ispezioni sugli impianti di riscaldamento, la prima gestita dagli enti locali e l’altra dalle aziende di distribuzione.  Alla domanda risponde Franco Castorina , segretario nazionale del Comitato italiano gas, l’ente che detta le regole tecniche: “Non si tratta di una duplicazione. Infatti i controlli gestiti dagli enti locali sul campo, appartamento per appartamento, dovrebbero riguardare esclusivamente il rendimento degli apparecchi termici, ed essere effettuati ai sensi delle norme sul risparmio energetico (legge n. 10 del 1991, Dpr 412/1993). Al contrario le verifiche di competenza dei distributori del gas dovrebbero accertare la sicurezza dell’impianto di riscaldamento, ai sensi della legge n. 40 del 1990 e delle norme dettate dal Cig, il Comitato italiano gas”.

Ribatte Bruno Villavecchia, dell’Agenzia milanese Mobilità e Ambiente: “In pratica le cose non stanno affatto così. Infatti le leggi sul risparmio energetico non trascurano affatto il fattore sicurezza.  Tant’è vero che, per esempio, nei libretti da tenere insieme alla caldaia è fotografato tutto l’impianto, comprese le aperture di aerazione che devono essere praticate nei muri dei locali che ospitano le caldaie. E così i tecnici comunali si sono spesso sentiti autorizzati a sigillare gli impianti insicuri, senza ritenere di aver commesso un abuso di potere. Del resto è davvero assurdo che un controllore che si trovi di fronte a un impianto pericoloso si scrolli di dosso ogni responsabilità a proposito, appellandosi alle sue  competenze burocratiche. Quindi la duplicazione esiste, eccome”.

Sia come sia, il contrasto tra controllori sul campo e verificatori via posta non è per ora ancora esploso (tranne che in dibattiti e circolari): in futuro, però, quando partiranno le verifiche delle aziende di distribuzione del gas coinvolgeranno anche gli  impianti esistenti, sarà inevitabile.  

 

 

Percentuale di impianti a gas esistenti da sottoporre a verifica

 

 

 

Anni termici (periodo compreso tra l’1/10 e il 30/9 dell’anno successivo)*

impianti obbligatoriamente da verificare

impianti che si possono verificare

%

Stima numero annuale impianti

%

Stima numero annuale impianti

2007-2008

1%

185.000

3%

550.000

2008-2009

2%

370.000

4%

740.000

anni successivi

3%

550.000

5%

925.000

 

Tutti gli impianti nuovi  sono comunque sottoposti a verifica dall’ottobre 2004

Fonte: Ufficio Studi Confappi (su stima Uni-Cig di 18,5 milioni di impianti termici)

 

Costi per l’utente delle verifiche sugli impianti a metano

 

(addebitati dal distributore del gas al venditore e da quest’ultimo “caricato” in bolletta all’utente finale

 

 

Tipo di prestazione

euro

Accertamento impianto portata termica fino a 34,8 Kw

40

Accertamento impianto portata termica da 34,8 Kw a 116 kw

50

Accertamento impianto portata termica oltre 116 kw

60

Mancato invio da parte del cliente finale della documentazione richiesta dal distributore nei tempi previsti

15

Sospensione della fornitura gas

30

Verifica da parte del comune sugli impianti di utenza*

60

 

* su impianti controllati dal distributore nell’anno precedente, con esito positivo, o impianti per i quali l’utente finale non ha avuto l’assenso all’allacciamento

** vedi tabella 3. La penale non  va caricata in bolletta all’utente finale.

 

I documenti da avere

 

 

Oltre a un impianto efficiente e sicuro, occorre per legge fornire ai cosiddetti "verificatori" una serie di documenti

 

Potenza impianto

Documenti da esibire

Tutti gli impianti

Libretto di impianto o centrale(DPR 412/93). Libretto d'uso e manutenzione (UNI 10389)

Tutti gli impianti realizzati dopo il 13/3/1990

Dichiarazione di conformità rilasciata al termine dei lavori di installazione, modifica e/o straordinaria manutenzione su impianti di riscaldamento e su impianti per il trasporto e l'utilizzo del gas (con allegati e progetti ove richiesto).

Potenza minore a 35 Kw realizzati prima del 13/3/1990

Data realizzazione edificio o attestazione del proprietario data di realizzazione dell'impianto (documentazione o dichiarazione sostitutiva di atto notorio). Verifica della rispondenza dell'impianto ai requisiti di sicurezza (UNI 10738) con giudizio di positività apposto sull'allegato II al D.M. 26/11/98

Potenza superiore a 35 kw

Pratica ISPESL (D.M. 01.12.1975 ).

Potenza superiore a 116 kw

Pratica VV.FF. ai fini del rilascio del Certificato Prevenzione Incendi (DM 16/2/1982)

Potenza superiore a 232 kw

Patentino per il conduttore di impianti

 

Fonte: Elaborazione Ufficio Studi Confappi-Federamministratori

 

 

Certificazione energetica

 

Tutti i nuovi edifici, entro il 7 ottobre 2006, dovranno essere dotati di un “Attestato di certificazione energetica”. I contratti di  e compravendite o quelli di locazione, in cui tale attestato non fosse trasmesso al nuovo proprietario o all’inquilino, saranno  nulli. La certificazione avrà valore per dieci anni, passati i quali dovrà essere rinnovata.

Anche questa novità e contenuta nel decreto legislativo 9 agosto 2005 n. 192 e non fa che attuare una direttiva dell’Unione Europea (la 2002/91/CE).

L’attestato certifica, attraverso criteri tecnici stabiliti negli allegati al decreto n. 192, che l’edificio ha certe prestazioni  minime di rendimento per la climatizzazione estiva e invernale, la fornitura di acqua calda, la ventilazione e anche l’illuminazione.

Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano potranno dettare norme proprie che sostituiscano quelle nazionali, ma dovranno comunque tener conto di quelle previste a proposito dall’Unione Europea.