Elettricità:
le regole per una buona messa a terra
Un individuo in buone condizioni di salute può resistere a una tensione pari a 50 volt per un tempo massimo di 5
secondi. Ecco perché un impianto elettrico in ordine è uno dei perni
fondamentali attorno a cui ruota la sicurezza in casa Fili in buono stato, prese
non sovraccaricate di apparecchi e con alveoli
schermati (anche per evitare che i bambini ci infilino dentro dita o pezzi di
ferro) sono ovviamente consigliabili. Ma il vero
baluardo contro gli incidenti è un altro: l’impianto di messa a terra. Esso si basa
su un semplice principio. La corrente tende sempre a scaricarsi nel terreno con
la maggiore rapidità possibile. Attraversando cioè il
migliore conduttore che incontra sulla sua strada. É senza
dubbio preferibile che si tratti di un filo metallico, piuttosto che un corpo
umano. Se realizzato a regola d’arte,
l’impianto di messa a terra è in grado di rendere la scossa, se non
inesistente, perlomeno senza gravi conseguenze.
E’ composto, sinteticamente, di tre
elementi. Il primo è una rete di conduttori di corrente che sbocca sul terreno.
Il secondo è l’interruttore magnetotermico,cioè l’apparecchio
che installa l’azienda elettrica, che tutti hanno e che quasi sempre fa corpo
insieme al contatore della luce. Il terzo è l’interruttore differenziale (conosciuto volgarmente come"salvavita”),
che ha funzioni in pratica molto simili a quello magnetotermico, ma è molto più sensibile alla differenza di
tensione che provoca la scossa. Tale differenza si misura in milliampere: pertanto
un salvavita da 20 milliampere è più sensibile di uno da 40 milliampere. Dal
momento che il corpo umano può sopportare senza fastidio uno “sbalzo” di 30
milliampere, è proprio questa, o una inferiore, la
sensibilità consigliata.
Obblighi di legge. La legge impone la messa a terra (sia in
condominio, che nel proprio appartamento) per gli edifici costruiti dopo il 12
marzo 1990 o per quelli interamente ristrutturati, sempre dopo questa data. Per
gli edifici che sono invece stati costruiti prima si permette uno strappo alla
regola: è sufficiente che ogni unità immobiliare sia collegata a un salvavita che
abbia una sensibilità di perlomeno 40 milliampere. Questa eccezione alla
regola è motivata da ragioni di “realpolitik”: mentre
il salvavita è di per sé abbastanza poco costoso, il fatto di costruire
dall’inizio una rete di conduttori per la messa a terra in un edificio vecchio
è una spesa notevole. Vi era quindi la fondata preoccupazione che molti si rifiutassero di affrontarla, preferendo l’illegalità alla
sicurezza.. Tuttavia la messa a terra ridiviene sempre obbligatoria quando in
condominio c’è un portiere o quando in casa lavora una domestica: la impongono
le norme sulla sicurezza del lavoro.
Rischi della
protezione parziale. Il salvavita, se è
l’unica protezione che si adotta, non è in grado di impedire certe
folgorazioni, anche mortali. Non interviene quando:una
persona tocca contemporaneamente due elementi in tensione ed è isolata da terra
(per esempio si trova su una scala di legno per avvitare una lampadina o ha
scarpe con suole di para). Può essere inefficace, inoltre, se non tutti gli
appartamenti di uno stabile hanno adottato il salvavita e, ad esempio, si crea
differenza di tensione su una tubatura dell’acqua utilizzata da uno dei
condomini per scaricare a terra con un collegamento improvvisato. Allora una
semplice doccia può avere quasi un effetto"sedia elettrica” anche per chi
è orgoglioso possessore di un interruttore differenziale. Infine, in caso di incidenti, si possono avere responsabilità civili e
penali, perché l’impianto senza messa a terra resta realizzato non a regola d’arte.
Spesso anche le compagnie di assicurazione si
rifiutano di pagare.
Messa a terra: come è fatta. Consiste
in una serie di “dispersori” infissi nel terreno. Si tratta di picchetti posti
agli angoli dell’edificio o di piastre metalliche che formano un anello attorno
al palazzo. Se oltre alla messa a terra esiste anche il salvavita in ogni
appartamento è possibile risparmiare, sostituendo ai picchetti con un “dispersore
modulare”, una piastra metallica a cui sono saldate in
perpendicolare due o tre lastre che va interrata a mezzo metro dalla superficie
e sostituisce 6 o più picchetti.
Dai dispersori si
dipartono dei cavi che raggiungono un morsetto o una sbarra (detta collettore
principale), da cui riparte una rete di altri cavi che
avvolgono come una ragnatela il palazzo. Essi si collegano alle tubazioni
metalliche (gas, acquedotto), alle putrelle dell’edificio e a certi apparecchi
(ascensore, caldaia centralizzata, antenne tv). Finiscono poi nelle prese dei
singoli appartamenti (dopo essere passate per il contatore) ,
sotto forma di un filo che deve essere bicolore (in genere giallo-verde), a
differenza di quelli del"neutro” e della "fase” che sono monocolori. Cosi fatta, la messa a terra ha anche funzioni anti-fulmine.
Salvavita:
consigli per l’uso.
- Se l’impianto
della casa è “vecchio”, preferire un salvavita non troppo sensibile (30
milliampere vanno bene): altrimenti scatta anche per
piccole dispersioni di corrente.
- Il salvavita va
testato una volta al mese, premendo il tasto che
riporta una T maiuscola (quasi nessuno lo sa). Facendolo oltre a riscontrare se
è ancora in vita, si dimezzerà la sua possibilità di guasto. In alternativa vi
sono differenziali un po’ più costosi che eseguono automaticamente questo test.
- Talora i salvavita
scattano per eventi imprevedibili, come un fulmine, sovraccarichi temporanei o
disturbi passeggeri nella rete. Se non si è in casa, ciò può provocare notevoli
fastidi (scongelamento del freezer, disattivazione dell’antifurto, la perdita
di programmazione dell’impianto di riscaldamento o di irrigazione,
il fermo della pompa di un acquario). L’inconveniente si evita acquistandone
uno del nuovo tipo, “a riarmo automatico” In sostanza entro uno o due minuti al
massimo l’apparecchio riattiva la corrente, a meno che ci si trovi
davanti a un blocco causato da problemi permanenti. Comunque,
dopo la terza riaccensione inutile, il dispositivo va
in blocco.
L’impianto
elettrico in bagno
In ogni bagno
esistono quattro "zone di rispetto”, in cui mantenere certe precauzioni
negli impianti e nelle apparecchiature elettriche. In tutte non possono
esistere fili elettrici a vista, anche se protetti da guaina: solo incassati
nel muro o coperti da tubi plastici.
Ecco le altre precauzioni:.
Zona 0 |
Corrisponde alla zona dove scorre l’acqua. Per esempio l’incavo della vasca da bagno o del lavandino, e
tutta la cabina doccia. |
Niente apparecchi elettrici, prese o spine |
Zona 1 |
Corrisponde alla parte sovrastante la doccia o la vasca,
fino a soffitto. |
Niente apparecchi elettrici, prese
o spine. Solo scaldabagni. |
Zona 2 |
Corrisponde a
un’area di 60 centimetri attorno alla doccia o alla vasca. |
Possibile installare scaldabagni e anche
lampade, purché queste ultime abbiano isolamento doppio o rinforzato e perciò
siano contrassegnate con il marchio del doppio quadrato. Niente interruttori o spine. Sì alle
lavatrici, ma solo se esiste un diaframma che le separi dalla vasca o dalla
doccia (per esempio, un muro piastrellato) |
Zona 3 |
Corrisponde a
un’ulteriore area circostante di 2,4 metri. In altre parole il suo limite
estremo è a un raggio 3 metri dalla vasca o dalla
doccia. |
Sì a interruttori, prese o spine
ma purchè uno degli elementi dell’interruttore o
della presa (placca o telaio porta apparecchi) sia in materiale isolante. Sì
alle lavatrici. |
Fonte:
Ufficio Studi Confappi-Federamministratori