Non esiste ancora in Italia una cultura di difesa
del consumatore. Poco sfruttate le possibilità delle legge europea
Clausole vessatorie e compravendite immobiliari
L’inibitoria è un’arma spuntata nelle mani delle
associazioni del Consumatori
L’acquisto di una casa è probabilmente il più costoso sacrificio
che debba affrontare una famiglia. Di conseguenza, è anche l’affare con i
rischi più alti: il cittadino va spesso a confrontarsi con qualcuno che ne sa
più di lui e potrebbe, se non è onesto, truffarlo. Per esempio l’agenzia
immobiliare oppure l’impresa edile che vende immobili in costruzione o
interamente ristrutturati.
Come difendersi? Una prima tutela è offerta dal codice civile,
soprattutto nei cinque articoli introdotti dalla legge 52/1996 (dal 1469-bis al
1469 sexies), che elencano una serie di clausole sospette : il contratto serba
valore ma la clausola no, diviene inefficace. Gli articoli vanno ad integrare
altre norme già esistenti (tra le più importanti, gli art. dal 1337 al1342 del
codice). Sono volti a proteggere i privati, definiti come “consumatori”, nei
rapporti con coloro che esercitano qualsiasi tipo di attività, a loro volta
definiti come “professionisti”.
Queste norme di tutela hanno come campo d’azione l’intero universo
dei rapporti consumatore-professionista e non solo il mondo delle transazioni
immobiliari. E’ pertanto ovvio che vadano interpretate, quando ci si confronta
con i rapporti che sorgono con la compravendita di case (per esempio quelli che
intercorrono con la banca che fa il mutuo, la compagnia di assicurazione che lo
garantisce, l’impresa edile, l’agente immobiliare, il venditore di
multiproprietà). Non vi sono infatti limiti alla fantasia di chi predispone
contratti.
Quando una clausola è vessatoria. Un codicillo contrattuale è considerato dalla legge “vessatorio”
o “abusivo” quando crea un esagerato vantaggio a favore del professionista e un
corrispondente svantaggio del consumatore. (volutamente evitiamo il dibattito
formale su quale delle due definizioni andrebbe usata). L’articolo1469-bis
elenca una serie di casi di clausole vessatorie, tendendosi, come è logico,
molto sulle generali. Si tratta comunque di una lista di autorevoli esempi, che
non intende essere esauriente. Da questo elenco è però possibile trarre una
serie pressoché infinita di patti contrattuali che possono a buon diritto
essere accusati di vessatorietà. La valutazione in concreto tocca al giudice.
Clausole comunque valide. Una clausola che di per sé è vessatoria può, nonostante ciò,
essere valida. Lo è quando è frutto di una trattativa individuale tra
consumatore e professionista. Infatti la clausola favorevole al solo
professionista può essere bilanciata da un’altra clausola, che avvantaggia il
solo consumatore. Neanche la trattativa, comunque, pone in salvo alcune patti
che restano comunque nulli (limiti alla responsabilità in caso di danno o morte
del consumatore, divieto di chiamare in causa il professionista se non ha
rispettato il contratto, per esempio).
Prova e dubbi. Se
il contratto consiste in un modulo o un formulario prestampato è sempre il
professionista che deve dimostrare che la trattativa c’è stata. Viceversa, se è
stato predisposto per l’occasione, è il consumatore a doverlo fare. Quando
esiste un clausola vessatoria, gli basterà sottolineare che non ve ne sono
altre che lo avvantaggiano in modo particolare.In tal caso di dubbi
sull’interpretazione, l’articolo 1469-quater del codice civile afferma che
“prevale l'interpretazione più favorevole al consumatore”.
Ecco un elenco ragionato delle clausole considerate come
“vessatorie” dal codice civile, raggruppate a seconda del loro tipo. Comunque
sono considerate vessatorie tutte le clausole che "determinano a carico
del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi
derivanti dal contratto", anche diverse da queste.
Esclusione o limitazione della responsabilità del
professionista, (se esiste):
1)
in caso di
danno o morte del consumatore;*
2)
quando il
contratto è firmato da persone incaricate dal professionista;
3)
se non
sono rispettate particolari formalità;
4)
eccezioni
al contratto determinate solo dalla volontà del professionista.
Obblighi esagerati del consumatore:
1)
Penali
eccessive, se il contratto non è rispettato;
2)
Disdetta
in tempi troppo anticipati per evitare il rinnovo del contratto.
1)
Accettazione
di nuove clausole che il consumatore non ha avuto la possibilità di conoscere
prima della conclusione del contratto;*
2)
Modifica
unilaterale delle clausole, o delle caratteristiche del prodotto o del servizio
fornito, senza giustificato motivo previsto nel contratto;
3)
Possibilità
per il professionista di stabilire se il bene venduto o il servizio prestato è
proprio quello previsto dal contratto;
4)
In caso di
dubbio sulla clausola, solo il professionista può interpretarla;
5)
Possibilità
per il professionista di sostituire a sé un'altra persona o ditta nei rapporti
contrattuali, se ne consegue minore tutela dei diritti del consumatore;
6)
Limitazione
della possibilità di compensare i debiti con i crediti del consumatore;
7)
Quando il
professionista prende degli impegni che può cambiare a sua volontà.
Recessi dal contratto
1)
Possibilità
solo per il professionista di recedere dal contratto;
2)
Recesso
del professionista senza ragionevole preavviso, tranne che per giusta causa:
Incrementi prezzi
1)
Prezzo del
prodotto o del servizio stabiliti al momento della consegna;
2)
Aumento
del prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore possa recedere se é
eccessivo.
Caparre
1)
Somma
anticipata a garanzia dell’esecuzione da parte del consumatore, senza che il
professionista sia costretto a restituirne il doppio, se non adempie alle sue
obbligazioni;
2)
Possibilità
per il professionista che recede dal contratto di trattenere anche solo in
parte la caparra per prestazioni da lui non ancora adempiute.
Cause legali
1)
Limiti
alla possibilità di chiamare in causa il professionista perché non rispetto del
contratto*
2)
Vantaggi
per il professionista in eccezione alle leggi che regolano il processo civile
(onere di prova, decadenze eccetera). Clausole che prevedono che la lite sia
decisa da una commissione arbitrale, invece che dal giudice.
3)
Sede
del foro competente sulle controversie in località diversa da quella di
residenza o domicilio del consumatore.
* Clausole comunque nulle, anche se c’è stata una trattativa.
Fonte: Ufficio Studi Confappi-Fna
La legge 52/1996 prevede anche un formidabile strumento a vantaggio
del consumatore: la cosiddetta “azione inibitoria” che può essere esercitata
dalle associazioni rappresentative dei consumatori e dei professionisti” e
dalle Camere di commercio, che possono agire anche nel caso in cui il contratto
non sia impugnato da nessun consumatore.
Con “associazioni rappresentative” si intendono quelle riconosciute
annualmente a livello nazionale, con decreto (attualmente 13 sigle). Vi si
aggiungono quelle riconosciute a livello comunitario, per le azioni a tutela
dei propri cittadini nel territorio italiano. Il diritto all’inibitoria non toccherebbe
a quelle riconosciute da leggi regionali (per esempio la n. 26/2002 della
Liguria, la n.1/2000 della Toscana, la n. 30/2001 dell’Abruzzo e la n. 11/1985
della Lombardia).
Con l’azione inibitoria non coi si limita a vietare al
professionista di utilizzare le clausole che sono state messe all’indice: si
vuole escluderle anche dalle condizioni generali di contratto, utilizzate per
tutta la clientela. Il giudice può perfino ordinare che il provvedimento sia
pubblicato, come dice la legge “ in uno o più giornali, di cui uno almeno a
diffusione nazionale”.
Tutto ciò in teoria. Nella realtà, le inibitorie promosse da
associazioni dei consumatori e Camere di Commercio sono assai rare. Per
complessi motivi (economici, soprattutto). Le associazioni dei Consumatori,
infatti, non possono avere fini di lucro: non potrebbero quindi assumere le
vesti di avvocati del consumatori, facendosi liquidare la parcella anche in
caso di soccombenza. Anche vincendo, non si trovano nella condizione di
ottenerne guadagni economici o di farsi liquidare i relativi danni (come accade
invece in altri Paesi Europei). Perciò le poche inibitorie richieste dalle
associazioni più combattive, come ad esempio quelle proposte da Adusbef nei
confronti degli istituti di credito o delle compagnie di Assicurazione, hanno
avuto quasi sempre lo scopo di far da cassa di risonanza a una battaglia, anche
ottenendo scarsi risultati immediati: non appare al contrario conveniente
difendere materialmente il cittadino-utente in un “normale” contratto,
immobiliare o meno, contro un impresa.
Perdipiù non sembra che le Camere di commercio abbiano sportelli
aperti al cittadino, per la verifica se una clausola è corretta o meno. Le
Camere sono state attive solo sul fronte della grandi utenze (banche, assicurazioni,
telefonia, forniture municipali, Poste), costituendo tavoli d’intesa per la
verifica preventiva della contrattualistica, ma mai (a quanto ci risulta),
utilizzando lo strumento dell’inibitoria.
Non tutti i tribunali, infine, hanno compreso lo spirito delle
nuove leggi. Vi è chi ha assimilato l’inibitoria prevista dall’articolo
1469-sexies con quella dell’articolo 700 del codice di procedura civile la cui
concessione si prevede l’esistenza di “pregiudizi imminenti e irreparabili”.
Viceversa l’articolo 1469-sexies parla di “giusti motivi d’urgenza”. Una
formula ambigua: c’è chi propende per la concessione dell’inibitoria quando le
clausole rivestono una dannosità sociale, e chi invece pretende che esista un
pregiudizio grave e immediato per il consumatore, senza il quale l’inibitoria
non avrebbe motivo di essere concessa.