Impianto di riscaldamento: le norme base di sicurezza

 

La sicurezza di un impianto di riscaldamento è legata a numerosissimi fattori: se l’impianto è singolo o centralizzato, innanzitutto, con quali combustibili funziona (gasolio, metano, gpl sono i più diffusi), dove è situata la caldaia, che tipo di scarichi dei fumi ha, da dove pesca l’aria per la combustione. Limiteremo questa indagine agli impianti più diffusi: le caldaie individuali a gas metano (fino a 35 kw di potenza). Quelle centralizzate sono in genere affidate a una ditta responsabile della loro sicurezza e che ha tutto l’interesse nel tenerle in efficienza (a spese del condominio). Le principali prescrizioni delle centralizzate riguardano i locali che le ospitano e dipendono dal tipo di combustibile con cui sono alimentate (metano o, più spesso, gasolio).

Caldaie singole. Di per sé un impianto termoautonomo non ha rischi maggiori rispetto a uno centralizzato. Eppure è causa della maggior parte degli incidenti mortali di cui si ha conoscenza. Gli incidenti sono causati in genere da imperizia, trascuratezza e scarsa cura del proprietario e non dal cattivo funzionamento degli apparecchi.

I timori più diffusi riguardano la fuoriuscita dei gas, con pericolo di scoppio o intossicazione. Ma il gas è fortemente odorizzato, e il più delle volte ci si accorge in tempo del fatto che invade i locali e si apre la finestra, evitando di accendere fiammiferi o di premere interruttori. Il nemico più insidioso è un altro: l’ossido di carbonio. Gli apparecchi a gas funzionano infatti grazie a un ciclo: prelevano ossigeno dall’esterno, lo bruciano e scaricano i fumi di combustione. Qualsiasi ostacolo frapposto a questo ciclo (poco ossigeno disponibile, scarico intasato) è causa di incidenti. I casi di camini intasati esistono, ma sono più rari. La gente rischia più spesso la propria vita aerando poco i locali, cioè fornendo poco ossigeno alle fiamme che bruciano. Dalla combustione, anziché prodursi anidride carbonica, si forma allora il micidiale ossido di carbonio. Si tratta di un gas del tutto inodore, capace di uccidere nel giro di dieci minuti una persona in buona salute, dopo averle causato una progressiva spossatezza di cui la persona colpita non è spesso in grado di capire il motivo. E così si rischia di morire stupidamente, quando sarebbe bastato aprire una finestra per salvarsi.

Ecco perché le norme tecniche danno largo spazio ai problemi dell’aerazione dei locali e degli scarichi dei fumi.

Tipi di caldaie individuali. Se si esclude le rare,e più pericolose, stufe catalitiche (quelle, per intenderci, che ospitano a loro interno una bombola a gas liquefatto), le caldaie individuali sono di due categorie: quelle a focolare aperto, ma con condotto di scarico (tipo B), che sono ancora le più diffuse, e quelle a focolare, afflusso d’aria e scarico a tenuta stagna rispetto al locale in cui sono installati (tipo C), il cui numero è in costante crescita.

Rischi del tipo B. Il pericolo di quelle di tipo B è, appunto, il consumo di ossigeno dei locali e la formazione di ossido di carbonio. Proprio per questo, esse non possono essere alloggiate in camera da letto e nei bagni. Fanno eccezione i bagni che abbiano un volume maggiore di 20 metri cubi e comunque maggiore di 1,5 metri cubi per ogni kilowatt di potenza della caldaia stessa e quindi davvero molto ampi.

Aperture. Gli altri locali che ospitano una caldaia debbono essere dotati di un’apertura di ventilazione che dà all’esterno dell’edificio, di ampiezza proporzionale alla potenza di tutti gli apparecchi ospitati (non solo la caldaia ma anche l’eventuale cucina a gas). Tale apertura deve essere comunque priva di sportelli, protetta da una grigia e di grandezza mai inferiore a 100 centimetri quadrati. Nel caso in cui sia impossibile praticarla nel locale dove è la caldaia si può ricavare anche in uno vicino: in tal caso basterà segare il fondo della porta di collegamento tra le due stanze, in modo tale che tra il pavimento e l’infisso esista uno spazio di grandezza pari all’apertura necessaria.

Tipo C. Pescando l’aria dall’esterno, le caldaie di tipo C non hanno limitazioni di disposizione nei locali. Sono, ovviamente, più costose, anche perché la loro installazione prevede condotti doppi (anche quello per il rifornimento dell’ossigeno esterno).

Scarichi. Prescrizioni particolari riguardano l’inclinazione dei tubi che fuoriescono dalla caldaia (lunghezza, inclinazione, numero di svolte). Negli impianti nuovi o ristrutturati gli scarichi debbono sboccare oltre il colmo del tetto. Le canne fumarie debbono essere singole o, se collettive, servire apparecchi tutti dello stesso tipo.

 

Quali controlli

 

La buona manutenzione delle caldaie e, in particolare, la pulitura degli ugelli e le prove di combustione, sono non solo garanzia di sicurezza ma anche di risparmio energetico sulla bolletta. Essa va fatta prima dell’inizio del periodo invernale (per gli impianti termoautonomi) e anche alla fine del ciclo di riscaldamento (per quelli centralizzati).

Controlli comunali Per ancora due anni i controlli a campione sugli impianti sono organizzati dai comuni (se hanno più di 40 mila abitanti) e, negli altri casi, dalle province, che possono delegare il compito a ditte o a enti concessionari. Il loro costo (da 50 a 100 euro, a seconda della località) è a carico dell’utente, anche se la caldaia è perfettamente a posto e se è regolarmente compilato il libretto d’impianto, in cui il manutentore riporta i risultati di tutte le sue visite. Resta possibile ridurre (e di molto) l’importo di questa sorta di “tassa caldaie” (come l’hanno chiamata polemicamente alcune associazioni dei consumatori), portandolo a una cifra variabile tra 5 a 9 euro, a patto che s il manutentore invii a chi di dovere un apposito modulo compilato (l’allegato allegato H al dpr 551/99) che sintetizza, in sostanza, i contenuti chiave del libretto di impianto. In futuro responsabile dei controlli diverrà la Regione, come stabilisce il decreto legislativo 18 agosto 2005, n. 192, a patto che non stabilisca di preservare il ruolo degli attuali controllori..

Lo stesso decreto ha creato grande confusione in merito a quale sia la periodicità obbligatoria dei controlli stessi. Due le tesi: che sia, come prima, annuale oppure che sia passata a due anni (con esclusione degli impianti nuovi, che per quattro anni non avrebbero bisogno di piccola manutenzione). Sia come sia, il ceck up annuale resta non solo la migliore scelta, ma anche l’interpretazione di legge più diffusa tra i “controllori” di comuni e province.

Molti comuni hanno comunque stipulato convenzioni con elenchi di ditte abilitate alla manutenzione, cercando di “strappare” prezzi agevolati per l’utenza. Un indagine tra 15, tra comuni e province, condotta dall’Ufficio studi Confappi (Confederazione piccola proprietà immobiliare), ha rilevato che un contratto di durata biennale ha costi variabili tra 110 euro (Verbania) a 204 euro (Padova), Iva compresa.

Aziende di distribuzione. Ulteriori verifiche sono poi in corso, ma in questo caso solo per le caldaie che funzionano a metano, da parte delle aziende municipali di distribuzione del gas. Si tratta, in questo caso, non di ispezioni sul campo ma della  richiesta di ricevere via posta copia di tutta la documentazione tecnica necessaria per il funzionamento dell’impianto (prima tra tutti, la dichiarazione di conformità dell’impianto stesso, che l’ installatore è obbligato dalla legge a compilare non appena consegna il lavoro finito al suo cliente). In mancanza, viene sospeso l’allacciamento in rete. Per ora, questo tipo di verifica documentale è limitata ai nuovi impianti o a quelli integralmente ristrutturati, ma presto coinvolgerà quelli già esistenti.

 

La polizza gas si paga in bolletta

 

Sono in pochi a saperlo, ma sin da fine 2004 tutti gli utilizzatori del gas (in Italia, quasi 18 milioni) sono protetti da una polizza obbligatoria, i cui costi pagano in bolletta.

Essa prevede tre tipi di copertura: responsabilità civile verso terzi, incendio e infortuni. La prima ha un massimale di 6.197.483 euro; la seconda di 103.292 (immobili) e 41.317 (cose mobili); la terza 129.114 (morte e invalidità permanente). Le condizioni contrattuali sono più favorevoli all’utenza rispetto a quelle riportate nelle usuali polizze, perché non sono esclusi dalla garanzia né la negligenza né la colpa grave dell’assicurato, ma solo il dolo (cioè il danno procurato appositamente) . Non è finita: in caso di incendio è perfino coperto il suicidio o il tentato suicidio.

Gli incidenti vanno segnalati entro tre giorni da quando se ne ha conoscenza ma, ai sensi dell’articolo 1915 del codice, il ritardo della comunicazione non comporta però (entro il termine di prescrizione di un anno) la perdita dell’indennità, ma tuttalpiù alla sua riduzione se la compagnia subisce dei pregiudizi. Le controversie sono decise a maggioranza da un collegio di tre medici, uno nominato da ciascuna parte e il terzo dai due primi.