Condomini: se non c’è regolamento

 

 

La convivenza di più proprietari di appartamenti nello stesso edificio è un grosso problema, che le norme di legge  non possono risolvere appieno: bisogna quindi che esistano regole interne, meglio se approvate da tutti. In particolare, occorre stabilire la percentuale di proprietà sulle cose comuni (scale, portone, facciata, tetto), anche per capire in che misura ciascuno deve partecipare alle relative spese.

Questo tipo di disposizioni sono in genere contenute in un documento, detto “regolamento contrattuale del condominio”. In genere esso è redatto dalla stessa impresa edile che costruisce il complesso e fatto accettare a ciascun proprietario al momento dell’acquisto della propria unità immobiliare, nel rogito..

Tuttavia capita che il regolamento non esista. I perché possono essere tanti. Per esempio lo stabile apparteneva a un unico proprietario privato, che l’ha in seguito frazionato, magari vendendo la maggior parte dei locali agli inquini che aveva in locazione. Oppure è stato attribuito a più figli dall’unico proprietario , che sono andati avanti benone senza dettare regole, finché uno degli appartamenti è stato venduto ad altri. O si tratta di una grande, vecchia cascina, da cui a poco a poco, sono stati ricavati locali venduti sul mercato. O, infine, di un gruppo di villette, ciascuna indipendente, ma con un terreno e servizi comuni (per esempio un portierato). E via elencando

Che fare, allora? La risposta a questa domanda prevede unindagine preliminare. Bisogna infatti chiedersi: come la legge classifica il complesso? Si tratta di un condominio? Di un super-condominio? Oppure di un palazzo in comunione? O, infine, di un consorzio condominiale?

Primo: dove abiti?  Il condominio è un palazzo a struttura verticale, in cui i proprietari dei singoli appartamenti hanno certe parti comuni  per necessità: per esempio la facciata, l’ingresso, le scale  o il tetto. Anche una villetta bifamiliare, quando i due appartamenti sono sovrapposti , è un mini-condominio.  Viceversa si parla di comunione quando due o più appartamenti hanno in comune qualcosa, ma potrebbero anche non averlo. Per esempio, due villette affiancate che hanno solo una parete in comune. Infatti niente impedirebbe che ciascuno delle due avesse un muro proprio, anche se uno appoggiato all’altro. Un complesso di villette che ha lo stesso giardino è nella stessa situazione. Vi sono poi particolari condizioni in cui coesistono  condominio e comunione: per esempio in gruppo di palazzi condominiali che hanno lo stesso giardino, la stesso recinzione o un garage o infine un impianto di riscaldamento unico. E’ il cosiddetto super-condominio. Il consorzio condominiale, poi, è un particolare supercondominio fatto di palazzi autonomi, tranne per il fatto di essere serviti dalla stessa strada privata, da illuminazione stradale comune, nonchè dalle stesse fognature o dagli stessi impianti  idrici .

Quando si è in condominio.   Il codice civile rende obbligatorio il regolamento, ma solo se i condomini sono più di dieci. Qualunque sia il loro numero, però, è sempre possibile approvarne uno. Solo se il regolamento è sottoscritto da tutti i proprietari, però, esso può entrare in contraddizione con le regole condominiali stabilite nel codice civile, per esempio quelle riguardanti la suddivisione delle spese. Altrimenti, occorse attenersi strettamente a quanto afferma la legge.

Un regolamento adottato non all’unanimità, ma solo a maggioranza delle quote e dei partecipanti in assemblea, avrà quindi un campo d’azione più limitato.

Detto ciò, resta un grave problema: come stabilire le quote (cioè i millesimi di proprietà)? Il codice civile (o meglio le sue disposizioni d’attuazione, nell’articolo 68) ci sono di scarso aiuto. Vi si afferma che i millesimi vanno indicati nel regolamento, in misura proporzionale al valore di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini . Tali quote non devono tener conto del valore della casa sul mercato dell’affitto né dei miglioramenti che vi sono stati apportati dai proprietari.

Quindi la suddivisione in millesimi andrebbe affidata a un tecnico, che ci sappia fare. Purtroppo però il suo lavoro può risultare inutile , se anche un solo dei proprietari non è d’accordo, perché si ritiene danneggiato. Infatti i millesimi vanno approvati all’unanimità in assemblea, altrimenti la decisione è nulla. Allora la strada da imboccare diviene a senso unico: occorre rivolgersi a un giudice perchè nomini lui un perito: la decisione del giudice diviene quella valida. Salvo naturalmente la possibilità di ricorrere in Corte appello (la Cassazione, in casi come questi, non può intervenire, perché non è suo compito contestare giudizi di valore espressi dai tribunali).

Detto ciò, esiste una terza possibilità, oltre alla decisione comune e a quella del giudice: il dato di fatto. Ci spieghiamo: se i proprietari hanno pagato, di continuo e senza contestazioni formali, una certa quota di spese comuni per un lungo periodo di tempo, si suppone che ci sia stata un’accettazione tacita da parte di tutti.  Quindi i millesimi sono quelli che si sono consolidati nell’uso. In questo caso la legge parla di “facta concludentia” (vedi per esempio sentenza di Cassazione 19 febbraio 1999, n. 1408).

Quando si è in comunione. Così come esiste il regolamento condominiale, esiste anche quello della comunione.  Anch’esso può stabilire eccezioni alle norme del codice. Se però manca, le cose sono un po’ più semplici. Infatti in questo caso la legge afferma che le quote dei “comunisti” (si chiamano proprio così, la politica non c’entra)  si presumono uguali. Quindi, non importa, nella comunione, se uno è proprietario di una casetta e l’altro di  una villa  lussuosa: il loro voto ha uguale peso in assemblea ma, in compenso, pagano tutti un uguale quota delle spese comuni. Anche in questo caso, però, vale il discorso dei dati di fatto, a cui abbiamo accennato nel paragrafo precedente: se si è consolidata nel tempo una certa ripartizione delle spese, essa diviene valida.

Quando si è in supercondominio. I criteri di divisione dei millesimi nei supercondomini, se non esiste un regolamento che stabilisca diversamente, sono ricordati da una sentenza della Cassazione (16 febbraio 1996, n. 1206). Devono esistere due tabelle. La prima riguarda i millesimi supercondominiali, e stabilisce la spartizione della spesa non tra i singoli condomini, ma tra gli edifici che costituiscono il complesso. Per esempio, 400 millesimi all’edificio A, 320 all’edificio B e 280 all’edificio C. Ovviamente l’edificio A sarà il più vasto e l’edificio C il più piccolo.  La seconda tabella è quella normale interna ad ogni edificio. Una volta stabilito che all’edificio A tocca il 40% della spesa, questo 40% sarà suddiviso tra i suoi condomini in proporzione alla tabella millesimale interna a quel particolare edificio condominiale.

Conta lo stesso discorso che vale per il condominio: se la ripartizione millesimale non esiste, e bisogna votarla, tutti devono essere d’accordo. Altrimenti ci si  rimette al giudice.

Ma come si prendono le decisioni nell’ assemblea supercondominiale? La prima soluzione è che tutti partecipino.   Allora il “peso” in  millesimi di ciascun proprietario viene calcolato tenendo conto di entrambe le tabelle. L’altra soluzione (che è divenuta una pratica costante) che ciascun palazzo nomini un rappresentante (che sia un condomino, non l’amministratore). Il rapprsentante agisce sulla base delle istruzioni date da quelli che vivono nel suo palazzo.

Strade e consorzi condominiali. Un po’ differente è il discorso dei cosiddetti “consorzi condominiali” che si costituiscono (lo impone una  legge, la n. 126/1958) quando c’è una strada privata o fognature comuni. Infatti la percentuale delle spese è in questo caso rapportata alla lunghezza del tratto di strada o di fognatura che raggiunge il proprio stabile: per esempio, se c’è una strada, chi  abita all’inizio pagherà di meno, chi invece risiede alla sua fine, di più, perché la percorre tutta. In casi particolari, può essere previsto anche un “indice di affollamento”, che tenta di valutare quante volte la strada viene utilizzata : è il caso, per esempio, di una via privata che, oltre a palazzi di abitazione, serve anche un supermercato, degli uffici, o un’officina di carrozziere: ovviamente clienti e impiegati contribuiscono, con le loro auto, a “consumare” il manto stradale. Se la strada, pur essendo privata, è asservita a pubblico passaggio, anche il Comune deve partecipare alla spesa, in misura variabile tra un quinto e la metà dell’importo, a seconda dell’importanza della strada stessa. Lo stabilisce una legge ancora valida, nonostante che risalga al 1918 (la n. 1446)

Tutte le decisioni del consorzio sono prese in un assemblea del tutto simile a quella del super-condominio e che funziona secondo le stesse norme di legge.