Riforma del condominio: il punto su innovazioni e    grandi complessi immobiliari

 

INNOVAZIONI

 

Sono in linea di massima consentite le innovazioni “dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni”, e le maggioranze prese per deciderle vengono ridotte, passando da quella del condomini più almeno 2/3 dei millesimi a quella degli intervenuti all’assemblea e di almeno metà dei millesimi. Tuttavia vengono identificate alcune innovazioni che hanno il via libera con assensi ridotti e altre che invece prevedono maggioranze più pesanti.

Tra le prime, approvabili a maggioranza con un terzo dei millesimi (non si capisce se solo in seconda convocazione) sono elencate le opere che migliorano la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti, la rimozione delle barriere architettoniche, il contenimento dei consumi energetici, la realizzazione di parcheggi, l’installazione di antenne centralizzate, anche satellitari, e di impianti via cavo. Insomma nel nuovo comma 2 dell’articolo 1120 ci si aggancia a norme che prevedono già maggioranze speciali, ma spesso più difficili da ottenere. Per esempio la legge n. 10/91 sul risparmio energetico, o la legge Tognoli sui parcheggi, che prevedono il voto di almeno 500 millesimi. Riduzione dei quorum necessari, quindi? Non è detto. Infatti il nuovo testo dell’articolo 1120, nel comma 1, premette: “Salvo che sia diversamente stabilito dalla legge”. Pertanto, dei due, l’uno: o il comma 2 prevale, e modifica le leggi preesistenti implicitamente, oppure è inutile.

Necessitano invece della maggioranza degli intervenuti in assemblea (attenzione, non dei condomini) e di almeno due terzi dei millesimi le modificazioni della destinazione d’uso e le sostituzioni delle parti comuni. Non è chiaro cosa si intenda, con queste due definizioni. Sicuramente sarà modificazione di destinazione d’uso la trasformazione di un ex alloggio a portineria, o di una soffitta comune in un appartamento da vendere o affittare. Ma rientra, o meno, in questa definizione la trasformazione del vano scale in alloggio per un nuovo ascensore? Oppure l’apertura di una porta in un muro comune? O l’uso di un cortile a parcheggio auto? L’espressione “sostituzione delle parti comuni” è poi infelice. Quasi tutti i lavori prevedono sostituzioni grandi o piccole (pensiamo al cambio della pulsantiera di un ascensore). Forse si voleva intendere “sostituzione con altra parte comune con scopi e funzioni differenti” (per esempio, una scala con una scala mobile o un tetto spiovente con uno piano). Comunque questo tipo di innovazioni prevedono iter difficili: convocazione almeno 40 giorni prima dell’assemblea, affissione per 30 giorni nei locali di maggior uso, delibera con atto pubblico notarile e trascrizione nei pubblici registri. Non si esagera un po’?

Il secondo comma dell’articolo 1120 (innovazioni vietate) viene trasbordato nel 1122, salvo scordarsene in altri riferimenti contenuti nello stesso codice civile riformato e in altre norme. Viene ampliato il campo al divieto di attività e alla variazione di destinazione d’uso anche degli appartamenti privati. Comunque qualsiasi modifica che comporti l’esecuzione di opere interne agli appartamenti deve essere preventivamente comunicata all’amministratore (anche l’installazione di un ventilatore a soffitto?). Siamo ai limiti del ridicolo.

 

 

SUPERCONDOMINIO E COMPLESSI EDILIZI

 

L’articolo 117-bis riforma il concetto stesso di condominio, che non è più solo un palazzo a sviluppo verticale, dotato per forza di parti comuni (fondamenta, muri portanti, scale eccetera). Per essere in condominio basterà che più unità immobiliari singole abbiano “parti che servono all’uso comune, quali aree, opere, installazioni e manufatti di qualunque genere”. Quindi sono compresi anche i complessi "orizzontali" di villette singole o a schiera, che, fino a oggi, potevano scegliere tra le regole della comunione e quelle del condominio, a seconda delle opportunità o delle norme del regolamento contrattuale. Con effetti che qualcuno riterrà indesiderabili: potrebbe divenire lesione al decoro intonacare una villetta con colori diversi dalle altre o aprirvi una finestra in più. Una interpretazione letterale della nuova definizione ha comunque risultati perversi: due case singole, ma separate da una recinzione comune, o servite dalla stessa strada privata, diverrebbero un condominio. C’è da chiedersi poi se la ripartizione delle spese delle servitù su parti comuni diverrà regolata dalle norme del condominio o da quelle della servitù.

Il comma 2 riprende la giurisprudenza sulle deroghe alle distanze legali tra costruzioni e piantagioni (salvo un oscuro riferimento al rispetto “dell’amenità “ dei luoghi, parola rintracciabile solo nell’articolo 1028 del codice a proposito di servitù). Condivisibile il fatto che il godimento esclusivo dei beni comuni è presunto un atto di tolleranza del condominio. Diviene difficile, quindi, la loro usucapione.

Difficile da accettare è il nuovo comma 3 dell’articolo 67 delle disposizioni di attuazione. Vi si afferma che, in caso di supercondominio, ogni edificio designa un rappresentante a maggioranza degli intervenuti all’assemblea e delle quote. Tuttavia, se essa non si raggiunge, il rappresentante è eletto a sorteggio (si presume, tra chi accetta la delega). Perciò un condomino inviso a tutti e privo di capacità, se sorteggiato, assume autorità dittatoriali. Egli può infatti “esercitare tutti i poteri inerenti al diritto di proprietà sulle parti comuni” e “ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non apposto”. Perciò il rappresentante potrà spossessare di ogni diritto di proprietà sulla cosa comune tutti gli altri condomini del suo stabile: è’incostituzionalità spinta. Lo stesso comma però afferma che il rappresentante “concorre” a formare il regolamento, le tabelle millesimali di supercondominio, le delibere di modifica di destinazione delle parti supercondominiali. Il verbo “concorrere” sembra una negazione dei pieni poteri (a meno che si sottintenda, “concorre solo con i rappresentanti degli altri stabili”). Detto ciò, un supercondominio composto da un palazzo di trenta piani e da una villetta (che hanno magari in comune solo un giardino e una strada), vedrà da una parte un proprietario rappresentare sé stesso e dall’altra un altro rappresentare un centinaio di condomini. Con evidente squilibrio di poteri.

Restano irrisolti diversi problemi. Quello dei consorzi, insiemi di più palazzi serviti da strade, illuminazione, fogne e parcheggi comuni a cui partecipano spesso anche i Comuni. Ambiguo anche l'inquadramento dei complessi in multiproprietà, frutto di commistioni tra condominio, comunione, azionariato diffuso, trust di diritto estero .