I.     Regolamento di condominio: selezione ragionata di giurisprudenza

I.      Regolamento di condominio: selezione ragionata di giurisprudenza. 1

1.     Modi di accettazione del regolamento. 1

2.     Limiti e poteri 1

3.     Limitazioni d’uso e di destinazione. 3

4.     Modifica del regolamento contrattuale. 4

5.     Trascrizione del regolamento contrattuale. 5

6.     Funzioni dell’amministratore. 5

7.     Ripartizione spese. 5

8.     Regolamento assembleare. 6

9.     Sanzioni 6

10.       Giudizio: poteri del giudice. 6

11.       Giudizio: procedure. 7

12.       Portierato. 7

13.       Decoro architettonico. 7

14.       Posti auto e parcheggi 8

 

1.      Modi di accettazione del regolamento

Cassazione, 26/1/00, n. 1830. Il regolamento di condominio predisposto dall’originario (ed unico) proprietario dell’edificio è vincolante per gli acquirenti delle singole unità immobiliari (purché richiamato ed approvato nei singoli atti di acquisto) nella sola ipotesi che il relativo acquisto si collochi in epoca successiva alla predisposizione del regolamento stesso, e non nel periodo antecedente tale predisposizione, ancorché nell’atto di acquisto sia previsto l’obbligo di rispettare il regolamento da redigersi in futuro, mancando, in tal caso, uno schema negoziale definitivo, suscettibile di essere compreso per comune volontà delle parti nell’oggetto del contratto; in questa ultima ipotesi, pertanto, il regolamento può vincolare l’acquirente solo se, successivamente alla sua redazione, quest’ultimo vi presti volontaria adesione.

Cassazione, 6/8/99, n. 11121.. L'obbligo dell'acquirente, previsto nel contratto di compravendita di una unità immobiliare di un fabbricato, di rispettare il regolamento di condominio da predisporsi in futuro a cura del costruttore non può valere come approvazione di un regolamento allo stato inesistente, poiché è solo il concreto richiamo nel singolo atto d'acquisto ad un determinato regolamento che consente di considerare quest'ultimo come facente parte, per relationem, di tale atto.

Cassazione, 19/10/98, n. 11268. In materia di condominio degli edifici l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che limitano il diritto dominicale di tutti o di alcuni dei condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà  nell'interesse di tutto il condominio o di una sua parte; tali convenzioni che possono essere anche inserite nei regolamenti condominiali, i quali nella relativa parte assumono natura contrattuale, richiedono per la loro validità l'approvazione scritta da parte di tutti i condomini, sia mediante accettazione del regolamento eventualmente predisposto dall'originario unico proprietario dell'edificio, sia mediante il consenso manifestato in seno all'assemblea dal singolo condomino, nel caso di regolamento formato con l'approvazione dell'assemblea dei condomini.

Cassazione, 9/7/94, n. 11126. Le norme dei regolamenti che investono i poteri e le facoltà che i singoli condomini hanno, iure domini, sulle loro parti esclusive, restringendo in tal modo, nell'interesse comune, il contenuto del loro diritto di proprietà sulle parti stesse, debbono assumere carattere convenzionale nel senso che, se precostituite, debbono essere accettate dai condomini nei contratti di acquisto o, con separati atti esprimenti la loro volontà di accettare, se deliberate dall'assemblea dei condomini.

2.      Limiti e poteri

Cassazione, 4/4/01, n. 2243. Il regolamento contrattuale di condominio accettato dagli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari e trascritto nei pubblici registri vincola anche i successivi acquirenti, nonché i conduttori ai quali vengono locate le unità medesime, non solo per le clausole che disciplinino l’uso o il godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche per quelle che limitino i poteri e le facoltà dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca, con la conseguenza che le norme regolamentari di natura contrattuale possono legittimamente imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche diverse o maggiori rispetto a quelle stabilite dallo stesso articolo 844.

Cassazione, 16/10/99, n. 943. In materia di condominio degli edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongono limitazioni nell'interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà (fattispecie in cui il regolamento di condominio di natura contrattuale, in quanto predisposto dal costruttore ed approvato da tutti i condomini, faceva divieto ai condomini di sciorinare panni dalle finestre, balconi ecc.). In tema di condominio degli edifici, l'obbligo assunto dai singoli condomini in sede di approvazione del regolamento contrattuale, di non eseguire sul piano o sulla porzione di piano di proprietà esclusiva attività che non danno alle parti comuni (nella specie, obbligo di non sciorinare i panni dalle finestre, balconi ecc.) ha natura di obbligazione propter rem, la cui violazione, pur se protratta oltre venti anni, non determina l’estinzione del rapporto obbligatorio e dell'impegno a tenere un comportamento conforme a quello imposto dal regolamento onde è sempre deducibile, stante il carattere permanente della violazione, il diritto degli altri condomini di esigere l'osservanza di detto comportamento, potendosi prescrivere soltanto il diritto al risarcimento del danno derivante dalla violazione dell'obbligo in questione.

Cassazione, 15/4/99, n. 5393. Il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove accettato dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l'uso o il godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facoltà dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca.

Cassazione, 9/11/98, n. 1057. Il regolamento di condominio, anche se contrattuale, approvato cioè da tutti i condomini non può derogare alle disposizioni richiamate dall’art.1138, 4° comma, c. c. e non può menomare i diritti che ai condomini derivano dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, mentre è possibile la deroga alle disposizioni dell'art. 1102 c.c. non dichiarato inderogabile.

Cassazione, 21/5/97, n. 2275. In materia di condominio negli edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell'interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà, così costituendo degli oneri reali. (Nella specie in cui si controverteva della realizzazione da parte di un condomino di una doppia finestra, mediante installazione di un secondo telaio a vetri sul lato esterno di una finestra del suo appartamento la Suprema Corte ha annullato la sentenza per difetto di motivazione perché, nell'interpretare la clausola del regolamento condominiale contrattuale richiedente il consenso preventivo dell'assemblea condominiale per qualsiasi opera compiuta dai singoli condomini che potesse modificare la stabilità e lo stato di decoro dell'edificio, non aveva preso in esame l'ipotesi, prospettata dal condominio, che la stessa clausola, prevedendo l'obbligo del ripristino dello stabile di fatto come sanzione per l'esecuzione delle modifiche in difetto di autorizzazione, stabilisse il principio dell'immodificabilità del fabbricato senza il consenso dell'assemblea).

Corte d'Appello di Genova, 29/8/96, n. 11040. E' nulla, ex art. 1355 c.c., la clausola di un regolamento di condominio che faccia dipendere l'obbligo della futura contribuzione alle spese esclusivamente dall'arbitrio del soggetto obbligato.

Tribunale di Milano, 30/11/95, n. 11218. A norma dell' art. 66 disp. att, ultimo comma, deve ritenersi che ai fini della regolare convocazione dell'assemblea condominiale non è sufficiente che la spedizione dell'avviso sia eseguita dall'amministratore nei termini di legge, occorrendo che l'avviso sia effettivamente ricevuto dal condomino entro il termine minimo. Né rispetto a tale conclusione può acquistare rilevanza la disposizione di cui al regolamento vigente nel condominio, disposizione secondo la quale la convocazione deve avvenire a mezzo di raccomandata «diramata» a tutti i condomini almeno cinque giorni prima di quello fissato per l'assemblea. Ove tale previsione fosse infatti interpretata nel senso della sufficienza della spedizione dell'avviso nel termine di cinque giorni, sulla scorta del significato letterale del termine «diramare» di per sé più ampio di «comunicare» presente nell'art. 66 disp. att. c.c., la clausola regolamentare risulterebbe in contrasto con la norma generale e come tale del tutto invalida, essendo tale disposizione ricompresa fra quelle espressamente dichiarate inderogabili (cfr. art. 72 disp. att. c.c.) da parte dei regolamenti condominiali,. Qualora quindi una successiva delibera assembleare risulti adottata in sostituzione di quella impugnata per non rispetto dei termini minimi di legge, pur conseguendone, in applicazione del generale principio di cui è espressione la norma dell'art. 2377 c.c. ultimo comma dettata in riferimento alle società, la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, deve comunque ritenersi, ai fini delle spese di causa, la soccombenza virtuale del convenuto condominio.

3.      Limitazioni d’uso e di destinazione

Cassazione, 16/10/99, n. 11692. Clausole del regolamento condominiale di un «villaggio» costituito da lotti di proprietà individuale e parti comuni, recepite con la qualificazione di servitù reciproche nei singoli contratti di acquisto, le quali, per le modifiche esterne ed interne delle proprietà individuali, richiedano il benestare scritto, rispettivamente, di un tecnico incaricato dall'assemblea condominiale o dell'amministratore di condominio, danno luogo ai vincoli di carattere reale tipici delle servitù prediali e non a limitazioni di portata meramente obbligatoria - e quindi giustificano la condanna alla riduzione in pristino in caso di violazione - qualora le clausole stesse specifichino i limiti di carattere sostanziale delle innovazioni (nella specie, era vietato per le innovazioni esterne unire le proprietà, costruire ad un'altezza superiore e superare determinate cubature e per quelle interne recare danno alle parti e agli impianti comuni, ledere i diritti dei terzi e violare il regolamento; la pronuncia di merito, confermata in sede di legittimità, aveva ordinato la rimessione in pristino rispetto  ad innovazioni come: ampliamento del seminterrato; costruzione di mansarde fuoriesposte, di balconi, di camini con focolare esterno; ampliamento di finestre, apertura di vedute ecc.; la suprema corte, peraltro in relazione ai motivi di ricorso, si è limitata a constatare genericamente che il giudice di merito aveva accertato la violazione anche dei limiti obiettivi posti dalle clausole in questione).

Cassazione, 2/6/99, n. 8486 L'interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale contenenti li divieto di destinare gli immobili a determinati usi è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale o vizio di motivazione (nella specie, il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla suprema corte, ha ritenuto che la destinazione a supermercato dei locali a piano terreno di un immobile facente parte di un complesso residenziale in località marina contrastasse con la norma regolamentare che precludeva per tutte le unità immobiliari alcune utilizzazioni specificamente indicate ed inoltre «qualsiasi uso incompatibile con l'igiene, la sicurezza, il decoro, la quiete»).

Cassazione, 1/10/97, n. 388. I divieti ed i limiti di destinazione delle cose di proprietà individuale nel regime condominiale possono essere formulati nei regolamenti sia mediante elencazione delle attività vietate sia mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare: peraltro, specialmente in quest'ultimo caso, tali limiti e divieti, al fine di evitare ogni possibilità di equivoco in una materia che attiene alla compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze.

Cassazione, 27/1/97, n. 854. Nel caso di violazione di disposizione legittimamente contenute nel regolamento condominiale che stabiliscano il divieto di destinare i singoli locali dell'edificio a determinati usi, il condominio può chiedere nei diretti confronti del conduttore di un appartamento del fabbricato condominiale la cessazione della destinazione abusiva e l'osservanza in forma specifica delle istituite limitazioni, in quanto il conduttore non può trovarsi, rispetto al condominio, in posizione diversa da quella del condomino suo locatore, e ciò alla unica condizione che sia approvata l'operatività della clausola limitativa, o, in altri termini, la sua opponibilità al condomino locatore.

Tribunale di Milano, 14/12/95. Le limitazioni di destinazione delle porzioni di piani di proprietà esclusiva possono essere stabilite nei regolamenti condominiali con due criteri alternativi: prevedendo in modo espresso le singole e specifiche destinazioni vietate, oppure determinando il divieto in modo indiretto, attraverso l'indicazione degli effetti pregiudizievoli che si intendono impedire. Nel caso in cui il regolamento convenzionale applichi il primo criterio e fissi positivamente gli usi e le destinazioni ammesse e quelle vietate, l'accertamento che il singolo partecipante abbia rispettato o violato il divieto convenzionale dipende dall'esito del riscontro fra l'uso concreto cui la singola porzione è stata effettivamente destinata e l'uso consentito. In questo caso non è necessario verificare se il diverso uso cui l'immobile di proprietà esclusiva è stato destinato rechi un particolare pregiudizio agli altri condomini, perché l'incompatibilità con l'interesse comune appare già preventivamente stabilita.

Corte d'Appello di Milano, 19/9/95, n. 7023. Il concetto di struttura organica di un edificio comprende sia la conformazione esterna sia quella interna dello stesso. Rientra pertanto nel divieto di apportare varianti alla struttura organica dell'edificio la limitazione posta ai singoli condomini di non realizzare modifiche nell'interno della proprietà esclusiva, mutando la destinazione dei locali posti nel sottotetto.

Cassazione, 23/12/94, n. 948. I divieti e i limiti di destinazione delle cose di proprietà individuale nel regime condominiale possono essere formulati nei regolamenti sia mediante elencazione delle attività vietate sia mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare. Nella prima ipotesi è sufficiente, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, verificare se la destinazione sia inclusa nell'elenco, dovendosi ritenere che già in sede di redazione del regolamento ne siano stati valutati gli effetti come necessariamente dannosi. Nella seconda ipotesi, essendo mancata la valutazione in astratto degli effetti dell'attività, è necessario accertare l'effettiva capacità a produrre gli inconvenienti che si vogliono evitare.

Cassazione, 13/2/95, n. 1886. I divieti e le limitazioni di destinazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, posti con il regolamento condominiale predisposto dall'originario proprietario e accettati con l'atto d'acquisto, devono risultare da una volontà chiaramente ed espressamente manifestata nell'atto o da una volontà desumibile, comunque, in modo non equivoco dall'atto stesso. Non è sufficiente, a tal fine, la semplice indicazione di una determinata attuale destinazione delle unità immobiliari medesime, trattandosi di una volontà diretta a restringere facoltà normalmente inerenti alla proprietà esclusiva da parte dei singoli condomini. 1 divieti e le limitazioni di cui sopra possono essere formulati nel regolamento sia mediante la elencazione delle attività vietate (in tal caso, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, basterà verificare se la destinazione stessa sia inclusa nell'elenco) sia mediante riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare (in questo secondo caso è necessario accertare la idoneità in concreto della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti che si vollero evitare).

4.      Modifica del regolamento contrattuale

Cassazione, 18/4/02, n. 1184. Le clausole dei regolamenti che limitano i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive ò comuni e quelle che attribuiscono ad alcuni di loro maggiori diritti rispetto agli altri, hanno natura contrattuale e sono modificabili soltanto con il consenso unanime dei partecipanti alla comunione, che deve essere manifestato in forma scritta, essendo esse costitutive di oneri reali o servitù prediali, da trascrivere nei registri immobiliari della conservatoria per l'opponibilità ai terzi acquirenti di appartamenti dell'edificio condominiale; mentre, per la variazione delle clausole che disciplinano l'uso delle cose comuni, e sufficiente la deliberazione assembleare adottata con la maggioranza prescritta dall'articolo 1136, comma 2, del codice civile.

Cassazione, 18/2/00, n. 9355. Il limite al diritto di godimento spettante a ciascun condomino “iure proprietatis” sulle parti comuni, disposto dal regolamento condominiale ed accettato nei singoli atti d’acquisto, ha natura negoziale e puo’ essere modificato solo per iscritto e con il consenso unanime dei condomini.

Cassazione Sez. Unite, 30/12/99, n. 5626. Le clausole dei regolamenti condominiali predisposti all'originario proprietario dell’edificio condominiale ed allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condomini, hanno natura contrattuale soltanto qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusiva o comuni ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre qualora si limitino a disciplinare l'uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare; ne consegue che, mentre le clausole di natura contrattuale possono essere modificate soltanto dall’unanimità dei condomini e non da una deliberazione assembleare maggioritaria, avendo la modificazione la medesima natura contrattuale, le clausole di natura regolamentare sono modificabili anche da una deliberazione adottata con la maggioranza prescritta dall'art. 1136, 2° comma, c.c. La formazione del regolamento condominiale è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam desumendosi la prescrizione di tale requisito formale sia dalla circostanza che l'art. 1138, ultimo comma, c.c. prevedeva (nel vigore dell'ordinamento corporativo) la trascrizione del regolamento nel registro già prescritto dall'art. 71 disp. att. c.c., sia dalla circostanza che, quanto alle clausole del regolamento che abbiano natura soltanto regolamentare (e siano perciò adottabili a maggioranza), trova applicazione il 7° comma dell'art. 1136 c.c., che prescrive la trascrizione delle deliberazioni in apposito registro tenuto dall'amministratore (onde anche la deliberazione di approvazione di tale regolamento per poter essere trascritta deve essere redatta per iscritto), mentre, quanto alle clausole del regolamento che abbiano natura contrattuale, l'esigenza della forma scritta è imposta dalla circostanza che esse incidono, costituendo oneri reali o servitù, sui diritti immobiliari dei condomini sulle loro proprietà esclusive o sulle parti comuni oppure attribuiscono a taluni condomini diritti di quella natura maggiori di quelli degli altri condomini; ne discende che il requisito della forma scritta ad substantiam (che non può intendersi, d'altro canto, stabilito ad probationem poiché quando sia necessaria la forma scritta, la scrittura costituisce elemento essenziale per la validità dell'atto, in difetto di disposizione che ne preveda la rilevanza solo sul piano probatorio) deve reputarsi necessario anche per le modificazioni del regolamento di condominio, perché esse, in quanto sostitutive delle clausole originarle del regolamento, non possono non avere i medesimi requisiti delle clausole sostituite, dovendosi, conseguentemente, escludere la possibilità di una modifica per il tramite di comportamenti concludenti dei condomini (sulla base di tali principi le sezioni unite hanno cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto modificata una clausola di natura contrattuale di un regolamento condominiale, vietante la sosta dei veicoli nel cortile comune, per effetto del comportamento di costante esecuzione di una delibera modificativa adottata invalidamente a maggiorana e non all'unanimità, come esigeva quella natura).

Cassazione Sez. Unite, 30/12/99, n. 10335. La formazione del regolamento condominiale è soggetta al requisito della forma scritta "ad substantiam", desumendosi la prescrizione di tale requisito formale, sia dalla circostanza che l'art. 1138 ultimo comma cod. civ. prevedeva (nel vigore dell'ordinamento corporativo) la trascrizione del regolamento nel registro già prescritto dall'art. 71 delle disp. di att. al cod. civ., sia dalla circostanza che, quanto alle clausole del regolamento che abbiano natura soltanto regolamentare (e siano perciò adottabili a maggioranza), trova applicazione il settimo comma dell'art. 1136 cod. civ., che prescrive la trascrizione delle deliberazioni in apposito registro tenuto dall'amministratore (onde anche la deliberazione di approvazione di tale regolamento per poter essere trascritta deve essere redatta per iscritto), mentre, quanto alle clausole del regolamento che abbiano natura contrattuale, l'esigenza della forma scritta è imposta dalla circostanza che esse incidono, costituendo oneri reali o servitù, sui diritti immobiliari dei condomini sulle loro proprietà esclusive o sulle parti comuni oppure attribuiscono a taluni condomini diritti di quella natura maggiori di quelli degli altri condomini. Ne discende che il requisito della forma scritta "ad substantiam" (che non può intendersi, d'altro canto, stabilito "ad probationem", poiché quando sia necessaria la forma scritta, la scrittura costituisce elemento essenziale per la validità dell'atto, in difetto di disposizione che ne preveda la rilevanza solo sul piano probatorio) deve reputarsi necessario anche per le modificazioni del regolamento di condominio, perchè esse, in quanto sostitutive delle clausole originarie del regolamento, non possono non avere i medesimi requisiti delle clausole sostituite, dovendosi, conseguentemente, escludere la possibilità di una modifica per il tramite di comportamenti concludenti dei condomini (sulla base di tali principi le Sezioni Unite hanno cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto modificata una clausola di natura contrattuale di un regolamento condominiale, vietante la sosta dei veicoli nel cortile comune, per effetto del comportamento di costante esecuzione di una delibera modificativa adottata invalidamente a maggioranza e non all'unanimità, come esigeva quella natura). 

5.      Trascrizione del regolamento contrattuale

Cassazione, 26/1/98, n. 990. La trascrizione prevista dall'art. 1138, comma terzo, c.c. del regolamento di condominio nel registro peraltro non istituito di cui all'art. 1129 c.c. integra un mero onere di pubblicità dichiarativa, la cui inosservanza non comporta la nullità o l'inefficacia del regolamento approvato dall'assemblea dei condomini o predisposto dall'originario costruttore dell'edificio condominiale. L'omessa trascrizione del regolamento nei RR.II. determina invece l'inopponibilità ai successivi acquirenti delle singole unità immobiliari comprese nell'edificio condominiale delle eventuali clausole limitative di diritti esclusivi di proprietà spettanti a ciascun condomino senza influire anch'essa sulla validità ed efficacia del regolamento. La norma di un regolamento di condominio che stabilisca per una determinata categoria di condomini l'esenzione dal concorso alle spese di conservazione di una delle parti dell'edificio indicate nell'art. 1117 c.c., comporta il superamento nei riguardi di detta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su detta parte del fabbricato.

Corte d'Appello di Milano, 11/7/97, n. 9564. Le clausole contenute nei regolamenti condominiali, che limitino i diritti di destinazione delle proprietà individuali ed integrino perciò oneri reali o servitù, in tanto sono opponibili ai terzi acquirenti a titolo particolare in quanto siano specificamente trascritte. A tal fine, perché si producano gli effetti della trascrizione, è necessaria la completezza della nota, nel senso che la stessa non può limitarsi a citare genericamente e complessivamente il regolamento, ma deve riportarne il contenuto essenziale e menzionare con chiarezza i negozi giuridici cui si vuol dare pubblicità (nella specie: il divieto di una particolare destinazione), di guisa che dall'esame del tenore della nota sia possibile accertare con sicurezza natura e limiti dell'onere o della servitù.

Cassazione, 21/2/95, n. 3708. H regolamento contrattuale di condominio, anche se non materialmente inserito nel testo del contratto di compravendita delle singole unità immobiliari, fa corpo con esso allorché sia espressamente richiamato e approvato. Di conseguenza, le sue clausole rientrano per relationem nel contenuto dei singoli contratti di acquisto e vincolano i singoli acquirenti indipendentemente dalla trascrizione.

6.      Funzioni dell’amministratore

Cassazione, 16/10/99, n. 11692. Considerato che l'amministratore del condominio non è legittimato a proporre azioni reali di riduzione in pristino nei confronti dei singoli condomini contro la volontà dell'assemblea, in caso di violazione da parte di singoli proprietari delle norme del regolamento condominiale prevedenti limiti alle innovazioni nelle proprietà individuali (nella specie recepiti come servitù reciproche nei singoli contratti di acquisto), non è configurabile la responsabilità dell'amministratore che abbia omesso di agire in giudizio contro i responsabili al fine di conseguire la riduzione in pristino, qualora il medesimo abbia investito delle specifiche questioni l'assemblea del condominio e la stessa abbia deliberato, sia pure a maggioranza, di tentare di risolvere in via extragiudiziale i contrasti insorti tra i vari comproprietari.

Cassazione, 6/8/99, n. 11121. L'amministratore del condominio è legittimato a far valere in giudizio, a norma degli art. 1130 e 1131 c.c., le norme del regolamento condominiale, anche se si tratta di clausole che disciplinano l'uso delle parti del fabbricato di proprietà individuale, purché siano rivolte a tutelare l'interesse generale al decoro, alla tranquillità ed all'abitabilità dell'intero edificio (nella specie, i proprietari degli appartamenti del primo piano dell'edificio avevano chiuso il giardino coperto sottostante alle rispettive unità immobiliari, e lo avevano ad esse inglobato; la suprema corte ha ritenuto corretta la decisione della corte di merito, la quale aveva affermato la legittimazione dell'amministratore del condominio a proporre la domanda diretta al ripristino dello stato originario del fabbricato, in quanto le opere eseguite avevano determinato una modifica della facciata comune).

7.      Ripartizione spese

Cassazione, 9/8/96, n. 728. Il regolamento condominiale di natura contrattuale che introduce deroghe al regime legale di ripartizione delle spese ex art.. 1123, comma primo, c.c., non è opponibile agli aventi causa a titolo particolare dagli originari stipulanti, dovendosi negare sia la sua idoneità a costituire obbligazioni atipiche propter rem, sia la sua trascrivibilità, sia infine la sua opponibilità all'acquirente che nell'atto di acquisto si sia espressamente impegnato ad osservarlo, trattandosi di obbligo assunto nei confronti non del condominio ma del solo alienante e dovendosi altresì escludere la natura di contratto a favore di terzo.

Tribunale di Verona, 29/6/95, n. 2597. Le clausole del regolamento condominiale che stabiliscono i criteri di ripartizione delle spese sono modificabili soltanto con il consenso unanime dei condomini. là pertanto nulla, in quanto adottata in assenza di un condomino, la delibera assembleare con la quale venga affidato a un tecnico specializzato l'incarico di formare le tabelle millesimali. Detta delibera, pur costituendo un atto prodromico, reca comunque un danno al condomino assente, che è pertanto legittimato a impugnarla.

8.      Regolamento assembleare

Cassazione, 6/2/99, n. 3749. Qualora il regolamento condominiale non abbia natura contrattuale, l'assemblea dei condomini, anche in mancanza di unanimità, può modificare le disposizioni regolamentari in materia di uso delle cose comuni, purché sia assicurato il diritto al pari uso dì tutti i condomini, e cioè il diritto di ciascun condomino di trarre dalle cose comuni il massimo godimento possibile, dovendo, peraltro, la eventuale maggiore utilizzazione consentire, sia pure a livello di previsione potenziale, un godimento di pari natura ed intensità da parte degli altri condomini.

Tribunale di Napoli, 10/5/97, n. 5400. Il regolamento approvato a maggioranza ha la funzione di disciplinare l'uso e le modalità di godimento delle cose comuni. e non può, a differenza di quello contrattuale, incidere sui diritti individuali di ciascun condomino, sicché il consenso unanime dei condomini legittima la limitazione dei diritti e dei poteri spettanti ai condomini sulle porzioni in proprietà esclusiva e sulle parti comuni. In particolare il regolamento approvato a maggioranza non può alterare o limitare anche l'uso incidendo sulla misura ed intensità del diritto che ciascun condomino ha sulle cose comuni in ragione della sua quota, a meno che la limitazione abbia lo scopo di migliorare il godimento da parte di ciascuno.

9.      Sanzioni

Tribunale di Napoli, 4/2/98, n. 8731. Non può non riconoscersi la natura di clausola penale, ex art. 1382, c.c., alla norma del regolamento condominiale - di natura contrattuale - che prevede l'irrogazione di una «sanzione pecuniaria» nei confronti del condomino moroso, astrattamente configurabile quale patto accessorio di un contratto o almeno di un rapporto obbligazionario suscettibile di inadempimento o ritardo, con funzione, insieme di coercizione all'adempimento e di predeterminazione del risarcimento. Proprio in considerazione di tale natura, la clausola pedale necessariamente può trovare la sua applicazione e giustificazione nell'esistenza di un adempimento o di un ritardo compiutamente quantificabile. Conseguentemente, la morosità va quantificata in base ad una effettiva richiesta (costituzione in mora) della somma non pagata, senza la quale non può dirsi constatato o provato l'inadempimento. Deve quindi necessariamente conoscersi il momento a partire dal quale la morosità esiste, in quanto l'assenza di una costituzione in mora - essendo, nel frattempo eseguito il pagamento nella misura che il condomino ritiene essere da lui dovuta - lungi dal connotare la inesigibilità della richiesta del condominio, rende semplicemente impossibile la individuazione del dies a quo per il computo delle somme dovute a titolo di ritardo. Ciò che conta, infatti, è la sussistenza della «debenza» al momento della proposizione dell'azione, debenza che - una volta sanata - non comporta più alcun obbligo pecuniario nei confronti del condomino, sebbene moroso, atteso che la clausola penale può avere efficacia ed essere presa in considerazione solo nel momento della costituzione in mora e previa quantificazione della penale stessa, non potendo essere quantificata successivamente quale «risarcimento del danno per ritardato pagamento».

Corte Costituzionale, 11/12/97, n. 528. E' manifestamente inammissibile, in riferimento agli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 70 att. c.c., nella parte in cui prevede che per le infrazioni al regolamento di condominio possa essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento.

Cassazione, 17/10/95, n. 11278. L'art. 70 disp. att. c.c., in base al quale il regolamento di condominio può prevedere delle sanzioni pecuniarie a carico dei trasgressori, ha carattere di norma eccezionale in quanto contempla una cosiddetta «pena privata» che ha come destinatari i condomini. Essa, pertanto, non può ritenersi applicabile ai conduttore degli alloggi condominiali, i quali, ancorché si trovino a godere delle parti comuni dell'edificio in base a un rapporto obbligatorio, rimangono estranei all'organizzazione condominiale.

Cassazione, 26/1/95, n. 1560. In tema di condominio, poiché l'art. 70 disp. att. c.c. prevede che per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento, sono nulle, in quanto contra legem, le eventuali disposizioni del regolamento di condominio che dovessero prevedere sanzioni di importo maggiore.

10. Giudizio: poteri del giudice

Cassazione, 20/9/01, n. 12290. L’interpretazione del regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice del merito é insindacabile, in sede di legittimità, quando non rilevi violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici.

Cassazione, 14/7/00, n. 4963. L’interpretazione di un regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità, quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici per mancanza, insufficiente o contraddittorietà della motivazione.

11. Giudizio: procedure

Cassazione, 28/6/01, n. 11846. Ove alcuni condomini abbiano evocato in giudizio il proprietario e il conduttore di alcuni locali dello stesso edificio, chiedendone la condanna alla cessazione dell’attività svolta in tali locali (pescheria) in quanto contrastante con le prescrizioni del regolamento di condominio nonché al risarcimento dei danni, si realizza un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo, ai sensi dell’art. 103 del Cpc che, per definizione, non comporta la necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione nei confronti di chi non sia stato chiamato in un successivo grado del giudizio, pur avendo partecipato al precedente.

Cassazione, 20/6/01, n. 8842. Il regolamento di condominio, quali ne siano l’origine e il procedimento di formazione, si configura in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto della collettività condominiale, come atto volto a incidere con un complesso di norme giuridicamente vincolanti per tutti i componenti di detta collettività su un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico e porsi come fonte di obblighi e diritti non tanto per la collettività come tale, quanto per i singoli condomini. Consegue da ciò che l’azione promossa per ottenere declaratoria della nullità totale o parziale (quindi anche di una sola clausola), del regolamento medesimo é esperibile da uno o più condomini nei confronti di tutti gli altri, in situazione di litisconsorzio necessario, non potendo altrimenti risultare utiliter data l’eventuale sentenza di accoglimento.

Tribunale di Milano, 14/11/96, n. 60. Le previsioni pattizie, contenute in un regolamento condominiale, che, disponendo la rimessione della definizione delle controversie agli arbitri, regolino anche la competenza del giudice ordinario, in quanto non attribuiscano agli arbitri funzioni giurisdizionali sostitutive di quelle spettanti al giudice ordinario, sono unicamente compatibili con l'ipotesi dell'arbitrato irrituale, che non esclude, la competenza e le funzioni del giudice ordinario, ma ne sospende provvisoriamente l'esercizio.

Cassazione, 29/11/95, n. 10796. Il regolamento di condominio, quali ne siano l'origine e il procedimento di formazione e, quindi, anche quando abbia natura contrattuale, si configura, come atto volto a incidere con un complesso di norme giuridicamente vincolanti per tutti i componenti di detta collettività, su un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico e a porsi come fonte di obblighi e diritti non tanto per la collettività quanto per i singoli condomini. Conseguentemente, l'azione promossa per ottenere declaratoria della nullità, totale o parziale, del regolamento medesimo è esperibile non da e nei confronti del condominio, carente di legittimazione in ordine a una siffatta domanda, ma da uno o più condomini nei confronti di tutti gli altri in situazione di litisconsorzio necessario.

12. Portierato

Cassazione, 5/10/01, n. 15756. La convenzione fra condomini per la gestione di servizi in comune ha le caratteristiche di un regolamento di super condominio il quale, pur se avente natura contrattuale, può essere modificato a maggioranza nella parte in cui si limita a dettare norme che disciplinano l’uso e le modalità di godimento delle cose comuni ovvero il funzionamento dei servizi condominiali. Ne consegue che la modifica del servizio comune di portierato pur se comportante la modifica di un regolamento di natura contrattuale, può essere deliberato dall’assemblea con la maggioranza stabilita dalla convenzione medesima.

Cassazione, 29/3/95, n. 3708. Qualora un servizio condominiale (nella specie: portierato) sia previsto nel regolamento di condominio, la sua soppressione comporta una modificazione del regolamento che deve essere approvata dall'assemblea con la maggioranza stabilita dall'art. 1136, comma 2, c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio) richiamato dall'art. 1138, comma 3.

13. Decoro architettonico

Cassazione, 6/10/99, n. 11688. Il motivo di ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi della sentenza impugnata a norma dell'art. 360 n. 5 c.p.c., deve articolarsi con la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni di cui sia incorso il giudice di merito, ovvero con la specificazione di illogicità consistenti nell'attribuire agli elementi di giudizio un significato estraneo al senso comune, od ancora nell'indicazione della mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte e quindi dell'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e dell'insanabile contrasto degli stessi: con detto motivo non può, invece, farsi valere la non rispondenza - della ricostruzione dei fatti operata dal giudice dei merito al convincimento della parte ed in particolare non può proporsi un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, poiché tali aspetti del giudizio, essendo interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo di tale convincimento, di modo che sono estranei al suddetto motivo di ricorso, che altrimenti si risolverebbe in una istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito. In materia di condominio di edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano limitazioni, nell'interesse comune, ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parti comuni, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà, senza che rilevi che l'esercizio del diritto individuale su di esse si rifletta o meno sulle strutture o sulle parti comuni; ne discende che legittimamente le norme di un regolamento di condominio – aventi natura contrattuale, in quanto predisposte "l'unico originario proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini - possono derogare od integrare la disciplina legale ed in particolare possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1200 c.c., estendendo il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva.

Cassazione, 3/9/98, n. 856. Il regolamento di condominio, quali che ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e , quindi, anche quando non abbia natura contrattuale, a mente dell'art. 1138, comma primo, cod. civ., può ben contenere norme  intese a tutelare il decoro architettonico dell'edificio condominiale che ,  a tale fine , siano suscettibili di incidere anche sulla sfera del dominio  personale esclusivo dei singoli partecipanti, nei limiti in cui ciò si riveli necessario in funzione della salvaguardia del bene comune protetto. Più in particolare, può ad esempio vietare quegli interventi modificatori  delle porzioni di proprietà individuale che, riflettendosi su strutture comuni, siano passibili di comportare pregiudizio per il decoro anzidetto  (nella fattispecie controvertevasi in ordine ad un tipo di serramenti installati, da un condomino, in sostituzione di quelli originari, alle finestre della sua unità immobiliare aperte sulla facciata del fabbricato  condominiale).

14. Posti auto e parcheggi

Tribunale di Milano, 19/5/97, n. 4509. La clausola contenuta in un regolamento contrattuale che impone il divieto assoluto di parcheggio senza la contestuale previsione di una sanzione per la violazione del divieto non è di tipo regolamentare giacché, risolvendosi nella negazione assoluta del diritto dei condomini ad usare gli spazi comuni a fine parcheggio e, dunque, in una limitazione nel godimento della cosa comune, all'evidente scopo di soddisfare l'interesse di tutti ad avere lo spazio libero dall'ingombro di veicoli, non fissa le modalità di esercizio di un diritto, che in realtà è negato. Tale clausola avrebbe avuto natura regolamentare solo nel caso in cui, da un lato, riconoscesse ai condomini il diritto di parcheggio e, dall'altro, ne fissasse le modalità di esercizio (stabilendo ad es. giorni ed orari) prevedendo anche (ma non necessariamente) la possibilità di una sanzione per la violazione del divieto: Conseguentemente, attesa la natura contrattuale della clausola, la modifica è possibile solo con il consenso unanime di tutti i condomini.

Cassazione, 28/1/97, n. 4305. Il limite al diritto di godimento spettante a ciascun condomino iure proprietatis sulle parti comuni - nella specie divieto di sosta, anche per il carico e discarico di masserizie, in tutti gli spazi comuni dell'edificio - disposto dal regolamento condominiale nell'interesse comune e accettato nei singoli atti d'acquisto, ha natura negoziale e perciò può essere modificato soltanto per iscritto e con il consenso unanime dei condomini.

Tribunale di Nola, 22/1/97, n. 825. Il regolamento di condominio, che dispone il divieto di parcheggio delle autovetture dei condomini nel cortile comune, non può contrastare la norma imperativa dell'art. 41-sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, nella parte in cui impone al costruttore del fabbricato di adibire a parcheggio un'area pari ad 1 mq. per ogni 20 mc. di cubatura edificata, con un vincolo pertinenziale a servizio del condominio.

Tribunale di Genova, 18/7/96, n. 7353. E' legittima la deliberazione adottata da una assemblea condominiale che approvi con il voto unanime dei soli condomini intervenuti una mera integrazione al regolamento di natura contrattuale e non una sua modificazione con l'inserimento di una norma per cui gli spazi delimitati da linee gialle nei distacchi attornianti l'edificio devono essere destinati a posteggio condominiale e riservati alle sole persone, condomini o inquilini, residenti nell'edificio stesso.