Un
“Ruolo” per gli amministratori condominiali?
D’accordo, ma la certificazione di qualità garantirebbe meglio i cittadini
La battaglia senza esclusione di colpi sugli ordini professionali ha finito per far passare da anni in secondo piano, se non per “massacrare” virtualmente, il dibattito sulle professioni non regolamentate. Oggi, cioè nel momento in cui le incomprensioni tra ordini professionali e Governo sembrano in parte appianate, sul versante delle professioni non riconosciute è divenuta sempre più palpabile un’atmosfera di perplesso attendismo.
Il Cnel, interlocutore per anni delle associazioni, sembra assumere sempre di più il ruolo di “banca dati” o tuttalpiù organismo di “saggi” dediti a pareri e consulenze, mentre la riforma del titolo V della Costituzione ha rilanciato il ruolo attivo delle Regioni, a cui è data delega sulla riforma. Già la Calabria si è mossa, con una prima legge quadro. Inevitabilmente, si ricomincierà da zero, e perdipiù secondo strategie e programmi che sono tutti da costruire, a livello locale.
Sebbene non sia notizia ufficiale, parrebbe che la nuova via
indicata per le professioni non regolamentate sia un riconoscimento attraverso
un “ruolo” professionale. In Lazio, esiste anche una proposta di legge a
proposito di amministratori condominiali.
Tutto bene, quindi: anche per gli amministratori condominiali si
aprirebbe una strada analoga a quella a suo tempo tracciata per i mediatori:
esami professionali presso le Camere di commercio, polizze obbligatorie,
tesserino, codici di comportamento. In altre parole, gli stessi filtri
all’ingresso nella professione attualmente già garantiti all’interno delle
associazioni degli amministratori, ma inesistenti per chi non è iscritto (cioè
la maggioranza degli amministratori che esercitano nel nostro Paese).
Peccato che, a differenza del ruolo dei mediatori, non sia
garantita l’esclusività. In altre parole, l’iscrizione agli “elenchi” è solo
una sorta di bollino di garanzia, non una necessità. E non ci sembra che i cittadini,
anzi i condomini italiani, siano allenati nel saper distinguere tra
professionista con ruolo e professionista senza: ancora oggi la preoccupazione
principale è risparmiare sull’onorario e solo dopo amare esperienze si punta
verso esperienza e buona fama.
L’istituzione del ruolo è già qualcosa, si potrebbe ribattere.
In fondo sono decenni che gli amministratori condominiali lottano per una
qualche sorta di riconoscimento della loro attività, e non hanno ancora cavato
un ragno dal buco…Col tempo si vedrà: occorrerà “trattare” con le Regioni per
vedere di ottenere qualcosa di più, e poi chissà…
Il parere della Fna-Federamministratori è però un po’ diverso.
Non ci scagliamo, per carità, contro l’istituzione del ruolo, che è pur sempre
un passo avanti. Però non possiamo tacere un fatto: lo scopo del ruolo non deve
essere principalmente quello di tutelare i professionisti, ma soprattutto
quello di conseguire obiettivi di pubblica utilità, a garanzia non solo dei
singoli cittadini ma anche della collettività.
L’amministratore condominiale non ha solo molteplici compiti e responsabilità, in crescita nel tempo: ha, soprattutto, una personalità “pubblica”. E’ suo compito garantire la sicurezza statica ed impiantistica degli edifici e fare da rappresentante fiscale del condominio.
Questa funzione pubblica, che non ha uguali in altre professioni
non riconosciute (e perfino in alcune riconosciute), impone delle regole e
delle competenze. Non si tratta quindi tanto di dare un riconoscimento agli
amministratori, quanto di tutelare gli interessi della comunità, intesa non
solo come insieme di cittadini, ma anche di istituzioni (enti locali e pubblici
servizi, per esempio).
Questa tutela non dovrebbe limitarsi a una procedura burocratica
di esami di ammissione: va chiesto molto di più: un sistema di certificazione
di qualità, meglio se stratificato in più livelli, a seconda della preparazione
tecnica e dell’esperienza raccolta. Ed è poco probabile che le Camere di
Commercio, che pure potrebbero esercitare un ruolo importante di controllo,
possano curarsene a fondo. Il loro campo d’azione è già vastissimo e il
personale addetto numericamente insufficiente.
Parrebbe più logico affidare la formazione e la verifica della
professionalità alle associazioni, sotto l’attento controllo di enti di
certificazione estranei ad esse, per evitare conflitti di interesse.
Inoltre il dibattito sul ruolo tace un importante problema:
quello delle garanzie economiche che l’amministratore condominiale dovrebbe
dare ai suoi clienti. Non scordiamo che oggi un professionista di calibro
medio-piccolo, che gestisca solo una ventina di condomini, si vede passare tra
le mani ogni anno milioni di euro. E’ impensabile, d’altronde, che abbia la
disponibilità economica per assicurarsi, da solo, con polizze fidejussorie:
occorre che le garanzie siano offerte da una rete associativa o comunque da un
fondo della categoria, sul modello di quanto accade da tempo in Francia. Non è
più tempo per accontentarsi delle solite polizze di responsabilità civile, che non
coprono il dolo o la colpa grave.
Franco Pagani, presidente Federamministratori (Federazione
nazionale amministratori condominiali)