Diritti e spese. Quasi intoccabile l'attribuzione delle parti comuni stilata dal costruttore

 

Casa blindata dai millesimi

Migliaia di sentenze di giurisprudenza, nei sessant'anni trascorsi dal varo delle norme sul Codice civile sul condominio. Eppure, siamo ancora in alto mare su uno dei punti chiave delle liti tra vicini di casa: la modifica dei millesimi. Al punto che ben poche certezze sono ancora oggi possibili. L'esperienza ha insegnato che il problema non ha soluzioni facili o definitive, a meno che si voglia por mano alla revisione delle norme condominiali: una soluzione invocata da molti ma mai messa in calendario dal Parlamento.

Nel frattempo, occorre arrangiarsi e la strada più semplice da imboccare pare quella di sfruttare a fondo la sostanziale differenza tra i millesimi di proprietà (volti a valutare i diritti di ciascuno sulle parti comuni) e millesimi di gestione (diretti alla ripartizione delle spese). In questa pagina si spiega come e perché.

I millesimi di proprietà. Chi compra casa in condominio, acquista anche un diritto: quello di una quota sulle parti comuni che servono tutto il palazzo, calcolata in millesimi di proprietà. Si tratta di un'arma a doppio taglio: se la quota è consistente, perché l'appartamento è grande, il suo parere in assemblea conta di più ma, contemporaneamente, cresce anche la quota di spese comuni che dovrà sopportare.

Più poteri, più doveri, quindi. Lo spiega il Codice civile, che all'articolo 1123 afferma che le spese <sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione>.

Ma, come determinare questa "misura proporzionale"? I tecnici hanno elaborato metodi raffinati e bizantini, tenendo conto non solo della superficie e del volume degli appartamenti, ma di mille altre variabili (coefficienti di orientamento, di funzionalità e utilizzazione delle stanze e così via). Metodi che, nove volte su dieci, non servono.

L'elaborazione delle tabelle. La realtà è infatti un'altra. Le tabelle dei millesimi sono quasi sempre scritte, una volta per tutte, dal costruttore del palazzo, che le allega al regolamento condominiale contrattuale. Chi compra un appartamento, è di fatto costretto ad accettarle, esattamente come se le avesse scritte lui in un contratto. Identico discorso per chi subentra al primo acquirente.

Talvolta inoltre il costruttore non si limita a "inventare" tabelle mal fatte, ma giunge fino a riservarsi particolari diritti: per esempio una quota minore di spese per un appartamento che decide di non vendere, la proprietà dei sottotetti, il diritto di sopraelevare senza pagare indennità agli altri condomini.

Nonostante ciò le tabelle mal fatte risultano frutto di un accordo "contrattuale", e quindi vincolante. E molta giurisprudenza, attenta agli aspetti formali del diritto di proprietà, le ritiene ancor oggi pressoché immodificabili, se non con l'accordo di tutti.

 

Le possibilità di variazione

Se c'è un errore, ricalcolo ammesso

Consentito anche quando un intervento rilevante altera il rapporto fra le quote

La strada maestra per la modifica dei millesimi di proprietà è tracciata dall'articolo 69 delle disposizioni di attuazione del Codice civile. Sono solo due i casi contemplati: quando gli attuali millesimi risultano il frutto di errore di calcolo (e non di metodo di valutazione); oppure quando, in seguito a interventi di sopraelevazione, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta portata, è alterato il rapporto originario di valori fra millesimi.

Per la modifica occorre però sempre il consenso unanime del condominio: se manca, può intervenire il magistrato.

L'articolo 69 è espressamente definito come inderogabile: in altre parole non vi si può far eccezione, neppure in un regolamento condominiale contrattuale, fissando per esempio altri criteri di modifica.

Il concetto di errore. I giudici sono stati sempre pressoché unanimi nell'includere nel concetto di errore gli sbagli di calcolo matematico, gli errori di fatto (come la convinzione che un appartamento sia più grande o più piccolo di quello che è) o di diritto (come la convinzione che debbano essere valutate le migliori condizioni di manutenzione di un appartamento rispetto a un altro, cosa assolutamente ininfluente).

Si tratta di casi rari, perché di solito nel regolamento, o nelle tabelle allegate, non vengono enunciati i criteri secondo cui si procede al calcolo dei millesimi. Quasi sempre i millesimi vengono invece dettati come dati di fatto, privi di motivazioni. Così diviene assai complesso, se non impossibile, dimostrare che l'errore c'è stato.

Alcuni giudici, più sensibili di altri all'ambigua storia della formazione dei millesimi, hanno tentato di stiracchiare il concetto di errore, portandolo a includere <l'obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari e il valore proporzionale a esse attribuito nelle tabelle>.

Ovviamente, la sproporzione, deve essere rilevante, altrimenti ci si potrà sempre richiamare al fatto che il regolamento contrattuale è un patto negoziale, firmato da tutti. La sentenza più importante, che ha fatto epoca, è quella delle Sezioni unite della Cassazione, la n. 6222 del 1997, ma non ne mancano di più recenti (per esempio la n. 4421 del 2001). Secondo le Sezioni unite, inoltre, il diritto di revisione delle tabelle millesimali è imprescrittibile, cioè può essere esercitato in qualunque momento.

La decisione delle Sezioni unite lasciava senza dubbi margini di ambiguità ma, quel che è peggio, è stata considerata come una sorta di attentato alla libertà contrattuale da una "fronda" della Cassazione che, in decisioni recenti (la n. 2253 del 2000 e n. 7908 del 2001) ha apertamente dichiarato il suo dissenso alla sentenza 6222/97.

Morale: le bocce sono ritornate in gioco e nessuna certezza sembra definitiva.

Le innovazioni di vasta portata. L'altro criterio di modifica dei millesimi fissato dall'articolo 67, quello delle innovazioni di vasta portata, ha avuto una storia di interpretazioni discordanti altrettanto sofferta.

C'è accordo in giurisprudenza sul fatto che l'ampliamento della volumetria dell'edificio o comunque l'aggiunta di pertinenze quali ad esempio un box o un garage possono portare alla revisione.

Controversa è invece la questione dell'aumento di superficie abitabile, come quella conseguente alla trasformazione in abitazione di un sottotetto, in veranda di un balcone o in tavernetta di una cantina.

Mentre di solito va cambiata la tabella dei millesimi d'uso (causa, per esempio, l'installazione di nuovi caloriferi o rubinetti), la giurisprudenza prevalente lascia intoccati quelli di proprietà.

Ci si appella infatti all'articolo 68 delle disposizioni di attuazione del Codice civile, che dice che non va tenuto conto dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascun piano o porzione di piano.

LE CLAUSOLE VESSATORIE

Nuove possibilità per modifiche ai millesimi - se imposti dal costruttore a suo personale vantaggio - provengono da quanto fissato dagli articoli 1469 bis - 1469 sexies del Codice, introdotti a tutela del consumatore dalla legge 52/96.

Le condizioni vessatorie. A patto che il venditore-costruttore sia da considerarsi un imprenditore e che parallelamente il condomino acquirente dell'unità immobiliare di proprietà esclusiva rivesta lo status di consumatore, potrebbero essere dichiarate nulle le clausole considerate come "vessatorie" nel regolamento condominiale contrattuale e nelle tabelle millesimali allegate.

Ci si potrebbe rifare all'articolo 1469 ter, comma 1 che così recita: <La vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione e alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende>.

Il momento dell'accettazione del regolamento. É ovvio che le circostanze esistenti al momento dell'accettazione di un regolamento contrattuale siano di forte pressione psicologica sul soggetto che è costretto ad accettarlo. Questa ipotesi è rafforzata da quanto dispone il quarto comma dello stesso articolo: <Nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l'onere di provare che le clausole, o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore>. Ebbene è evidente che parlare di trattative al momento dell'accettazione del regolamento è quantomeno risibile.

Le obiezioni. Parte della giurisprudenza ha messo in dubbio questa constatazione, facendo notare che non varrebbe per gli atti pubblici. La loro lettura ad alta voce da parte del notaio, che ha la funzione di chiarire il contenuto contrattuale alle parti, farebbe presumere che la contrattazione c'è stata e renderebbe inutili le norme sulle clausole vessatorie e abusive (tribunale di Torino, sentenza 15 ottobre 1996).

La tesi non convince, sia perché il regolamento condominiale è spesso un semplice allegato al rogito, che non viene letto dal professionista, sia, soprattutto, perché la trattativa è ben altra cosa della conoscenza del contenuto di un contratto, e avviene prima, e non durante, la sua lettura. É ovvio che se si vuole tutelare il consumatore come parte debole nel rapporto con il professionista, queste distinzioni sono di lana caprina.

 

IL VIZIO DEL CONSENSO

Un percorso estraneo a quello previsto dalle norme condominiali per la revisione dei millesimi è stato identificato da molti giudici (Sezioni unite comprese) nell'articolo 1427 del Codice civile.

Vi si afferma che <Il contraente il cui consenso fu dato per errore, estorto per violenza o carpito con dolo, può chiedere l'annullamento del contratto>. L'errore, per l'articolo 1428, deve essere "essenziale" e "riconoscibile dall'altro contraente". Se è un semplice errore di calcolo, porta alla semplice rettifica della tabella, e non al suo annullamento ed è soggetto al termine di prescrizioni di 5 anni dalla sua scoperta.

L'appello al 1427 può in effetti rivelarsi uno strumento prezioso, anche per ribellarsi a volute sproporzioni imposte dal costruttore dell'immobile. Parte della giurisprudenza però non è d'accordo nel riconoscere diritto di cittadinanza in condominio al concetto d'errore fissato dall'articolo 1427, perché esiste già l'articolo 67 delle disposizioni di attuazione a regolare la materia.

A cura di Silvio Rezzonico

Alberto Stringhi