Quando si
applica l’uso separato
L’impianto manda in tilt i conteggi
Dal riscaldamento alla
piscina, le spese su cui si litiga di più
La maggior parte delle
liti condominiali verte sulla spartizione delle spese. E
la maggior parte delle spese di gestione di un palazzo riguarda l’uso degli
impianti, quello di riscaldamento in particolare (unica eccezione sono i costi
della portineria, quando esiste). Gli impianti hanno assunto poi un ruolo
centrale nel bilancio condominiale con le norme tecniche,
emanate soprattutto nell’ultimo decennio, che stabiliscono requisiti di
sicurezza e di risparmio energetico via via più
rigidi e, di conseguenza, impongono esborsi sempre più alti per l’ adeguamento
degli apparecchi e dei relativi cavi e tubazioni. Ecco una guida su come
suddividerli.
Tipo di impianti.
Gli impianti sono di tre tipi:
1) impianti singoli;
2) impianti in comunione a solo un gruppo di condomini;
3) impianti in comunione a tutti i condomini.
Niente vieta infatti che un impianto sia utile solo ad alcuni condomini
oppure anche solo a un singolo proprietario. Pensiamo alla differenza che
esiste tra una camino singolo, che serve una sola
caldaia e una canna fumaria collettiva, che aspira fumi e odori dalle cucine a
gas poste su diversi piani. Poiché un impianto può essere utile solo ad alcuni
condomini oppure anche un solo singolo proprietario, la legge e la
giurisprudenza hanno messo a punto alcune regole, il
cui valore dipende innanzitutto dalla logica e solo in seconda battuta da
principi astratti. Eccole:
L’installazione di un
nuovo impianto, a patto che il lavoro non danneggi altri condomini ne alteri le parti comuni, può essere decisa anche da una
minoranza, quella dei condomini che se ne servono (al limite anche uno solo).
Un impianto è cosa
comune di quelli per cui è stato installato. Il
distacco dall’impianto di un utilizzatore è possibile, purché lo consenta il
regolamento contrattuale, ma a patto di non danneggiare gli altri che se ne
servono e a condizione di continuare a contribuire alle spese di conservazione dell’impianto stesso.
Le spese che riguardano
un impianto (installazione, manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria,
consumi) sono sostenute solo da chi se ne serve.
Se le caratteristiche
dell’impianto lo permettono, ciascun condomino ha diritto di allacciarsi
all’impianto stesso, anche se in un primo tempo si era rifiutato di contribuire
alle spese di installazione o aveva votato contro
l’installazione stessa. Naturalmente il condomino che intende allacciarsi
pagherà la sua quota di costi di installazione
(opportunamente rivalutati) e le spese di esercizio successive.
L’allacciamento
successivo è quindi limitato da criteri tecnici. Se, per
esempio, solo 10 condomini su 30 hanno deciso di installare una caldaia
centralizzata, e la caldaia ha una potenza limitata, non sarà possibile agli
altri 20 cambiare idea un anno dopo. In tal caso, infatti, la caldaia
centralizzata esistente sarà stata acquistata e tarata con il preciso scopo di
servire solo 10 appartamenti. Non è possibile quindi che triplichi da un giorno
all’altro la cubatura riscaldata.
Millesimi di proprietà e millesimi d’uso
Riparto a misura di utilizzo
effettivo.
Le spese condominiali
si dividono, in genere, in proporzione ai millesimi di proprietà, che
rappresentano la quota, di proprietà appunto, di ciascun condomino sulle parti
comuni.
Per molti impianti,
però, può contare un’altra suddivisione: quella in millesimi d’uso, che rappresentano la percentuale diversa di utilizzo che ciascun
condomino ha di un impianto. Tali millesimi, se esistono, sono allegati al
regolamento condominiale contrattuale, quello che ciascun abitante del palazzo
si è impegnato a rispettare al momento dell’acquisto del suo appartamento.
I millesimi d’uso
possono essere dei tipi più disparati. I più comuni sono i
millesimi calore, rapportati al consumo di combustibile appartamento per
appartamento, e i millesimi scala e ascensore, calcolati per metà in rapporto a
quelli di proprietà e per l’altra metà in proporzione all’altezza del piano.
Su un argomento vige
però grande confusione. Il fatto che esistano
millesimi per il riscaldamento o per l’ascensore non
significa affatto che tutte le spese relative all’impianto centralizzato a
gasolio o all’ascensore stesso debbano essere spartite in base a tali
millesimi.
Vanno suddivise in tal
modo, infatti solo le cosiddette “spese d’esercizio”:
negli esempi riportati quelle relative al consumo di gasolio o al consumo di
elettricità. La maggioranza dei giudici fa rientrare nelle spese di esercizio anche le piccole riparazioni dovute all’usura:
per l’ascensore, quindi, la sostituzione delle funi di traino e delle serrature
delle porte (tipicamente, quella della porta al pian terreno, che è la più
utilizzata).
Viceversa le spese di adeguamento dell’impianto alle norme di sicurezza non
attengono all’uso, ma alla proprietà dell’impianto stesso. Non sono
causate" dall'intensità dell'uso,
dalla vetustà o da guasti accidentali" e quindi, non si tratta di opere di manutenzione vera e propria, come ha ribadito il
Tribunale di Taranto (sentenza 23 maggio 1996). Sulla stessa linea sono stati il Tribunale di Roma, (sentenza 29 settembre
1994, n. 859), di Bologna (2 maggio 1995, n. 685) e di Parma (29
settembre 1994, n. 859).
Qualche dubbio in più
esiste sulle spese di manutenzione straordinaria (per esempio la sostituzione
della cabina dell’ascensore con una più lussuosa, o quella della caldaia con
una nuova): resta probabile che anche in questo caso si debba
far riferimento ai soli millesimi di proprietà.
Impianti. ripartizione delle spese |
||
Tipo |
Chi paga* |
La ripartizione consigliabile* |
Impianto acqua calda
centralizzata senza contatori |
Condominio |
In base agli abitanti
dello stabile, in base a millesimi acqua, o, in
mancanza, in base ai millesimi di proprietà |
Impianto acqua calda
centralizzata con contatori |
Condominio |
20-30% in base millesimi proprietà, il resto in base al consumo |
Riparazione contatore
elettrico, acqua, gas |
Proprietario singolo che se ne serve |
al 100% |
Antenna singola |
Proprietario singolo |
al 100% |
Antenna centralizzata |
Condominio |
in parti uguali (anche
proprietario che non se ne serve) |
Ascensore: esercizio |
Condomini serviti
dall’ascensore |
il 50% in ragione dei millesimi di
proprietà degli appartamenti e il 50% in proporzione all’altezza di ciascun
piano da suolo** |
Ascensore:
installazione |
Condomini che se ne
servono, |
millesimi proprietà |
Fognature, pozzi neri |
Condomini che se ne servono |
millesimi di proprietà |
Impianto del gas: spese di allacciamento
in rete |
Condomini che se ne servono |
millesimi di proprietà |
Impianto di riscaldamento con caldaia centralizzata: spese
esercizio e manutenzione |
Condominio |
in base millesimi calore o, in mancanza, in base a quelli proprietà. Il criterio
più giusto per il calcolo dei millesimi calore, è
quello per il 50% in base al volume dei locali e per il 50% in base al numero
degli elementi radianti dei caloriferi |
Impianto di riscaldamento con caldaia centralizzata: man
straordinaria e rifacimento |
Condominio |
millesimi proprietà |
Impianto di riscaldamento con contabilizzazione
del calore |
Condominio |
40% in base ai millesimi di proprietà, 60% in base al consumo |
Addolcitore a scambio ionico* |
Condomini che se ne servono |
millesimi proprietà o
millesimi acqua |
Autoclave |
Condomini che se ne servono |
millesimi proprietà |
Canna fumaria centralizzata: manutenzione ordinaria |
Condominio |
millesimi calore |
Canna fumaria centralizzata: manutenzione straordinaria e conservazione |
Condominio |
in base millesimi
proprietà |
Impianto idrico senza contatori acqua |
Condominio |
Il criterio più giusto, da inserire nel regolamento condominiale,
è quello in base al numero degli abitanti dei singoli appartamenti** |
Impianto idrico con contatori |
In base al consumo |
in base al consumo
(spese per portineria e giardini in base a millesimi proprietà) |
Impianto idrico: installazione |
Condominio |
millesimi proprietà |
Piscina, campo tennis: installazione, conservazione |
Condominio |
millesimi proprietà |
Piscina, campi da tennis: esercizio |
Condominio |
millesimi proprietà. Il criterio più giusto, da inserire nel regolamento
condominiale, è quello in base al numero di abitanti
dello stabile (bambini e vecchi esclusi) |
* Salvo diverse disposizioni del
regolamento condominiale contrattuale e delle tabelle allegate
** Anche il tipo di uso
può influire: per esempio un regolamento contrattuale può stabilire che su un
fruttivendolo
o su una pescheria gravino più spese per il consumo acqua, e
su uno studio professionale con clientela numerosa più spese per l’uso
dell’ascensore.
Fonte:
Ufficio Studi Confappi-Federamministratori
Antenne: tutti i dubbi sulla parabolica
La decisione di installare
una normale antenna centralizzata non vincola tutti, neppure coloro
che hanno dato il loro assenso. Infatti si
tratta di un impianto "suscettibile di utilizzazione separata"(terzo
comma dell'articolo 1123 del codice civile). Pertanto ne pagheranno le spese
solo coloro che intendono servirsene. Chi preferisce
restare staccato potrà, successivamente, cambiare idea
e allacciarsi. Ovviamente sarà costretto a versare non solo le spese di
connessione ma anche la sua quota di quelle di prima installazione,
opportunamente rivalutata all'inflazione (terzo comma, art. 1121 del codice
civile).
L’obbligo
per tutti di pagare le spese di installazione di
un’antenna parabolica, invece, secondo alcuni esisterebbe: questo perché la
legge 66/2001 le classifica come “innovazioni necessarie”, che sarebbero
esattamente il contrario delle “innovazioni voluttuarie” - cioè superflue, per
le quali la decisione se attuarle o non è lasciata alla volontà di ogni singolo
condomino. A questa tesi se ne può contrapporre un’altra, più consigliabile . Se il condominio è di nuova costruzione e si installa direttamente un’antenna satellitare per tutti,
tutti sono costretti a connettersi. Invece se un’antenna televisiva comune
esiste già, oppure esistono già paraboliche singole, nessuno è costretto a
connettersi alla parabolica condominiale e a pagare le relative spese, anche se
la decisione di mettere il “padellone” è stata presa
in assemblea. Ci pare infatti eccessivo che gli
italiani siano costretti ad aggiornarsi tecnologicamente sulla base di una
decisione presa da pochi in un assemblea.
L’esperienza
insegna, comunque, che le interpretazioni della legge
“vincenti” non sono sempre tali in base a una rigorosa lettura delle norme, ma
a rapporti di forza politici ed economici che si creano volta per volta. Quindi non ci stupiremmo troppo se la realtà ci desse torto.
Ascensori: maggioranze più basse sull’installazione per disabili
L’installazione
di un ascensore è considerata un innovazione gravosa
da approvare sia in prima che in seconda convocazione, deve con il voto
favorevole della maggioranza dei condòmini e di due
terzi dei millesimi di proprietà. Resta facoltà dei singoli installarsi
l’ascensore a proprie spese a norma dell’articolo 1102 del codice civile.
La
legge 13/89 sull’eliminazione delle barriere architettoniche permette però una
riduzione del quorum assembleare. Allora la
maggioranza necessaria si abbassa, e cioè in seconda
convocazione dell’assemblea, a un terzo dei condòmini
e a un terzo del valore dell’edificio. Decorsi tre mesi dalla richiesta del
disabile, se l'assemblea non si pronuncia lui, o chi ne eserciti
la tutela o potestà, potrà installare l’ascensore o, per ragioni di risparmio,
installerà un servoscala o altre strutture mobili
facilmente rimovibili, a proprie spese. Se è un
inquilino, dovrà però avere l'assenso del proprietario. La giurisprudenza ha comunque chiarito che, per far uso della legge 13/89 non
occorre che il portatore di handicap abiti nel palazzo: ha infatti preso
rilievo la necessità di rendere accessibile il condominio anche a visitatori
esterni.
L’ascensore,
per essere giudicato accessibile agli handicappati, deve avere tutte le
caratteristiche previste dalle norme tecniche in materia. Primo tra tutti il Decreto Ministeriale dei Lavori Pubblici 4
giugno 1989 n. 236, che stabilisce criteri di larghezza delle porte aperte, di
dimensioni della cabina, di ampiezza dei pianerottoli antistanti, di posizione
delle bottoniere, di tempi di apertura e chiusura delle porte automatiche e
così via ..
Tubazioni e cavi; la
polizza deve coprire oltre la diramazione
Negli impianti
centralizzati, le colonne di fognatura le tubazioni o
i cavi elettrici hanno, da un certo punto in poi, diramazioni che servono solo
i singoli appartamenti. Perciò il codice civile chiarisce
che l’impianto diviene privato a partire dal punto di diramazione da quello
centralizzato. Nel caso in cui una sola diramazione serva
due diversi appartamenti, nel tratto a loro comune sarà di comproprietà di
entrambi e in quello finale di uno solo.
Ovviamente le spese dei
tratti privati competono ai singoli. Alle spese dei tratti condominiali
contribuiscono solo coloro che siano allacciati. La
suddivisione delle spese degli impianti centralizzati è sempre in base ai
millesimi di proprietà di chi si serve dell’impianto,
salvo diverse disposizioni del regolamento contrattuale. Non si paga invece in relazione al tratto percorso per servire l’appartamento:
per esempio, il proprietario di locali al quinto piano non versa per forza di
più di quello di un locale al primo piano per la sostituzione di una colonna di
fognature.
Un consiglio: nel
sottoscrivere una polizza globale fabbricati con la
compagnia di assicurazioni è bene pretendere che il risarcimento sia previsto
anche nel caso di guasti delle tubazioni avvenuti oltre il punto di diramazione
dall’impianto centralizzato a quello singolo, lasciando non coperti dalla
polizza solo gli attacchi agli apparecchi e ai sanitari. Utilissima
anche la clausola (sempre più spesso inserita nei contratti) delle spese di
ricerca del danno. Per individuare da dove viene una perdita d’acqua,
occorre spesso rompere un muro (o un pavimento). Ciò comporta spesso una spesa
maggiore della riparazione della tubatura stessa. Un costo che potrà essere
coperto dalla compagnia Va verificato in ogni caso se
nel contratto è elencata anche l'occlusione delle condutture idrauliche e i
danni da gelo
Millesimi calore: i tipi di ripartizione
Le
ripartizioni delle spese di esercizio della caldaia
utilizzate più spesso sono
·
quelle
proporzionali alla cubatura dei singoli appartamenti;
·
quelle
proporzionali alla superficie radiante (per esempio al numero di elementi dei
caloriferi) di ogni appartamento;
·
quelle
proporzionali in parte alla cubatura e in parte alla superficie radiante.
Se il criterio scelto è la cubatura,
bisognerà diminuire proporzionalmente quella dei locali riscaldati a
temperatura inferiore (per esempio box o magazzini). Supposta una temperatura
uniforme per tutti i locali, il criterio della cubatura avvantaggia i proprietari
degli appartamenti posti ai piani bassi, all’ultimo piano o in posizioni
angolari, che consumano più calore, rispetto a quelli dei piani medi.
Il
criterio della superficie radiante ha invece un diverso inconveniente: fa
pagare in modo diverso anche le spese di conservazione e manutenzione ordinaria
dell’impianto, che di solito sono suddivise con il metodo dei
millesimi calore (ma niente vieta che il regolamento si richiami a
quelli di proprietà).
Il criterio misto è quindi quello che va
preferito. I tecnici più puntigliosi applicano un correttivo in più, per
stimare il “furto di calore” degli appartamenti ai piani intermedi, che si
avvalgono dell’effetto avvolgente e coprente di quelli circostanti.
Non si dà normalmente luogo a modifica dei
millesimi quando un condomino aggiunge di nascosto degli altri elementi ai suoi
caloriferi, oppure ne cambia il tipo (il caso classico è quello dei nuovi
radiatori del bagno a parete, che giungono quasi fino al soffitto, che vanno di
moda negli ultimi tempi). Infatti la soluzione più
evidente, che non necessita certo dell'accordo di tutti (basta l'iniziativa
dell'amministratore) è imporgli di ripristinare la situazione precedente.
Climatizzazione:
a che patti l’unità esterna in facciata
Si avvicina l’estate e
c’è da sperare che non si ripeta un clima eccezionale d’afa simile a quello di
due anni fa. Torna comunque d’attualità il problema
degli impianti di condizionamento (in cui scopo è raffreddare e deumidificare
l’aria) o di climatizzazione (che hanno il più vasto obiettivo di creare le
migliori condizioni per la permanenze delle persone in un ambiente, compresa la
ventilazione , la purezza dell’aria e la mancanza di sbalzi di temperatura).
Un impianto pienamente
efficace prevede la necessità di installare unità esterne, che spesso si affacciano
sulle mura dell’edificio, creando tre tipi di problemi: l’emissione di rumori,
aria calda e viziata e la possibile rovina del decoro dell’edificio. Non
stupisce quindi che le lamentele siano comuni tra gli abitanti di uno stesso
palazzo.
Va premesso che non si
può di solito fare ricorso contro l’installazione lamentando il foro praticato
nel muro comune: ai sensi dell’articolo 1102 del codice civile, infatti, è
legittimo l’uso da parte del singolo delle cose comuni. Diverse sentenze di
Cassazione ribadiscono la possibilità di creare aperture
e addirittura porte (se non si mette in pericolo la stabilità dell’immobile).
Viceversa un’obiezione molto più solida viene da chi protesta
contro la rovina dell’estetica dell’edificio (Cassazione, sentenza n. 12343 del
2003). Il danno al decoro può essere infatti fatto
valere davanti al giudice anche da un solo abitante dello stabile, perfino
qualora l’assemblea a maggioranza avesse permesso l’installazione . L’azione in
giudizio è imprescrittibile: quindi non conta quanto tempo è passato da quando
l’installazione è avvenuta.
Perché
il danno esista, l’unità installata deve affacciarsi all’esterno del palazzo in
una posizione visibile: se per esempio è mascherata da un balcone o sporge
sulla parte alta di un corridoio che dà solo su un appartamento, parlare di
danno al decoro può essere senza senso. E’ comunque il
giudice di merito (in prima istanza o in appello) a dover valutare, caso per
caso.
L’installazione può
essere comunque vietata dal regolamento contrattuale,
che farà in questo eccezione all’articolo 1102. Tuttavia una deroga al codice è
una cosa seria e deve essere espressa chiaramente: è dubbio che possa bastare
una clausola generica, che vieti ai condomini di ingombrare o
occupare le parti comuni: una cosa è mettere i sacchetti dell’immondizia fuori
dalla porta, un’altra è porre un’unità esterna in posizione elevata, su un
punto di non transito.
Altro limite
all'installazione di un impianto di climatizzazione è
rappresentato dal rispetto della distanza di 3 metri in verticale, in appiombo o
in obliquo da finestre e balconi altrui, (articolo 907 del Codice civile).
Contro le esalazioni e
lo stillicidio della condensa si può far ricorso ai sensi dell’articolo 844 del
codice civile, chiedendo anche al giudice un provvedimento d’urgenza a tutela
della salute (articolo 700 del codice di procedura civile). La stessa procedura
si può seguire anche contro i rumori intollerabili. Gli apparecchi di nuova
concezione sono comunque abbastanza silenziosi.