Guida alle nuove locazioni

 

Rivoluzione nelle locazioni a canone concordate. Il Decreto infrastrutture e trasporti (che dovrebbe portare la data del 30 dicembre 2002, ma la cui pubblicazione in Gazzetta non è ancora avvenuta), ha portato con sé modifiche e semplificazioni nelle complesse regole degli affitti agevolati ("solo" 5 anni di durata e detrazioni fiscali del 40,5% sui redditi Irpef).

Il decreto vara sei tipi di contratti, validi in tutto il territorio nazionale. Vengono perciò raddoppiati i tipi contrattuali già previsti, in due nuove versioni, una dedicata alla piccola e una alla grande proprietà (oltre 100 appartamenti posseduti). Vi saranno quindi due moduli contrattuali riservati alle locazioni a canone concordato (3 + 2 anni di durata minima), due a quelle di tipo transitorio (da 1 a 18 mesi di durata) e due a quelle per gli studenti universitari (da 6 mesi a 3 anni di durata)..

L’utilizzo dei tipi di contratto diviene condizione obbligatoria per il godimento delle agevolazioni fiscali per i proprietari.

Da quando varrà il decreto I nuovi tipi di contatto vanno a sostituire radicalmente quelli decisi a livello comunale e allegati a ciascuno degli accordi territoriali conclusi. La "sostituzione" scatterà quando verrà concluso, in ogni comune, un accordo locale tra le associazioni dei proprietari e degli inquilini che recepisca l’attuale decreto. In mancanza dell’accordo, le regole dovrebbero essere dettate da un altro decreto ministeriale (il condizionale è d’obbligo, dal momento che tale decreto sostitutivo, già previsto dalla legge 431/98, non è mai stato varato in passato).

Contratti transitori. Gli accordi territoriali potranno prevedere per i contratti transitori un incremento, rispetto alle fasce di canone, fino al 20%. Si tratta della principale novità introdotta dal decreto. Ciò potrà rendere le locazioni transitorie economicamente più convenienti: ricordiamo che si tratta di una formula assai apprezzata dai proprietari che spesso vogliono avere rapidamente la disponibilità dell’appartamento libero.

Il canone degli affitti transitori è comunque predeterminato solo nei comuni più popolosi mentre resta libero altrove. Va notato che tali comuni, cioè i capoluoghi di provincia e quelli confinanti con "le aree metropolitane" delle 11 maggiori città italiane, non coincidono con i "comuni ad alta tensione abitativa", ma ne sono solo una parte. La riforma delle locazioni stabilisce così una duplice ripartizione del territorio. La prima è tra comuni ad alta tensione abitativa e tutti gli altri. I proprietari degli immobili in questi comuni, individuati da delibere Cipe, e in cui vive probabilmente oltre la metà della popolazione italiana, hanno dei vantaggi (poter godere delle agevolazioni fiscali) ma anche degli svantaggi (modalità di esecuzione dello sfratto molto più favorevoli agli inquilini).

La seconda suddivisione è invece solo tra capoluoghi e aree metropolitane da una parte e altri comuni dall’altra, e vale solo ai sensi della scelta costretta del canone nelle locazioni transitorie.

Sempre sul fronte delle locazioni di breve durata, è stata spazzata via un’ambiguità importante: il nuovo decreto non parla più della necessità di provare l’esigenza transitoria "del proprietario e dell’inquilino", ma del proprietario e/o dell’inquilino". Interpretando alla lettera le vecchie regole, infatti, occorreva che esistesse una contemporanea (e poco probabile) necessità di locare a breve di entrambe le parti: cosa che molti accordi territoriali si erano affrettati ad escludere.

Commissioni di conciliazione. Il decreto recepisce i protocolli d’intesa nazionali tra sindacati dei proprietari e degli inquilini che erano sfogati, in molti accordi territoriali, nell’inserimento nei contratti di clausole sull’istituzione delle Commissioni di Conciliazione, molto simili a quelle ora approvate.

In sostanza le funzioni delle commissioni sono tre:

  1. Dirimere le controversie sull’interpretazione ed esecuzione delle varie norme che, unite, concorrono a determinare il contenuto di un contratto di locazione (codice civile, legge 431/98, decreti, accordi territoriali e contrattuali).
  2. Identificare qual è il canone concesso negli accodi territoriali. Esso dipende da una miriade di fattori (localizzazione, pregio del singolo appartamento, disponibilità o meno di mobilio, criteri di misurazione dei metri quadrati di superficie).
  3. Infine, rettificare l’entità del canone qualora vi siano variazioni nell’entità dell’imposizione fiscale, in più o in meno, rispetto a quella in atto al momento della stipula del contratto.

Quindi, in caso di future riduzioni delle detrazioni Irpef o delle aliquote agevolate Ici, i proprietari di casa potranno chiedere un parallelo incremento dei canoni. Si dovrebbe tener conto anche di un futuro incremento delle rendite catastali, almeno in teoria. Le Commissioni debbono pronunciarsi entro 60 giorni sulle controversie, tranne quelle sui canoni, per le quali hanno 90 giorni per determinare il nuovo importo.

L’istituzione delle Commissioni potrebbero restare nel limbo delle buone intenzioni. Infatti il comma 4 dell’articolo 6 stabilisce che "La richiesta di decisione della Commissione, costituita con le modalità indicate negli allegati tipi di contratto, non comporta. oneri a carico della parte richiedente". Il che significa, in pratica, che i componenti delle Commissioni dovrebbero prestare la loro opera gratis, senza ottenere nemmeno un gettone di presenza per il loro intervento.

La riforma delle locazioni concordate è una buona occasione per mettere a confronto i principali tipi di contratto abitativo che è possibile concludere. Dall’analisi restano escluse le locazioni regolate soprattutto dal codice civile, cioè le turistiche, quelle per immobili di lusso e ville (categorie catastali A/1 e A/8) e per immobili vincolati ai sensi delle leggi statali. Escluse anche quelle gestite dagli Iacp o dalle aziende autonome che li hanno sostituiti.

Locazioni a canone libero

Hanno, formalmente, quattro anni di durata. Però, in caso di mancanza di disdetta non motivata da ben precise ragioni , imposte dalla legge, il periodo di locazione è automaticamente rinnovato, per la prima volta, di altrio quattro anni (vedi l’articolo "Quando il contratto dura meno"). Quindi, quasi sempre la durata reale è di otto anni.

Canone. E’ completamente libero e, di fatto, deciso dal proprietario. E’ quindi determinato dal mercato: ovviamente se il padrone di casa chiede troppo, non troverà inquilini. Il canone non può essere però né incrementato nel corso della locazione, se non secondo regole di adeguamento già previste nel contratto. L’alternativa, molto rara, è la rescissione risoluzione da parte di entrambi del contratto in corso e la conclusione di un nuovo contratto.

Aggiornamento del canone. La legge di riforma delle locazioni (n. 431/98) ha abrogato l’articolo 24 della legge sull’equo canone, che prevedeva l’adeguamento del canone in misura pari al 75% dell’indice Istat del costo della vita. Pertanto, se nel contratto non è previsto alcun tipo di aggiornamento (cosa piuttosto rara), esso non è dovuto. Se invece è contemplato, si applica. In teoria è possibile stabilire ogni quanto tempo aggiornare il canone (per esempio, ogni anno), secondo quali meccanismi (per esempio, incrementandolo nella stessa percentuale dell’inflazione) e con quale procedura (per esempio, dietro richiesta del padrone di casa all’inquilino con lettera raccomandata). E’ sconsigliabile, per il proprietario, inserire nel contratto formule che prevedano incrementi del canone in misura eccessiva o comunque utilizzando parametri fantasiosi. Si potrebbe infatti andare a contraddire l’articolo 13, comma 1 della nuova norma che così recita: "E' nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato".

Ripartizione delle spese. E’ bene che al contratto sia allegato un elenco delle spese (condominiali e non), con la relativa ripartizione tra proprietari e inquilino. In sua mancanza, vale quella stabilita dal codice civile e dagli articoli sopravvissuti della legge sull’equo canone (n. 392/78). In caso di ricorso al giudice, è probabile che quest’ultimo si rifaccia alla ripartizione prevista nel decreto ministeriale 30/12/2002 per le locazioni a canone concordato che, in effetti, è una interpretazione credibile di quanto stabilisce il codice e la legge 392/1978.

E’ dubbio se il proprietario possa, o non possa, attribuire nel contratto, in tutto o in parte, le spese di manutenzione straordinaria. I sindacati confederali degli inquilini affermano di no, richiamandosi ancora una volta al comma 1 dell’articolo 13 della legge di riforma, che vieta incrementi non risultanti dal contratto. Viceversa esponenti delle associazioni dei proprietari argomentano che, se l’imputazione delle spese straordinarie è prevista nel contratto, il problema non si pone.

Pacifica è invece la possibilità di far rivivere nel contratto l’articolo 23 della legge 392/1978, ora abrogato, che prevede, in caso di riparazioni straordinarie, un incremento pari al tasso di interesse legale, applicato sulla spesa affrontata. Per esempio, se sono stati spesi 1000 euro, e il tasso è del 3%, sarà possibile incrementare il canone di 30 euro. .

Disdetta. Va inviata almeno sei mesi prima della scadenza del contratto, tramite raccomandata. Se il proprietario intende interrompere il contratto alla prima scadenza quadriennale, deve essere motivata. Se l’inquilino intende andarsene prima della scadenza contrattuale, può farlo solo se riesce a dimostrare che ha gravi motivi (trasferimento in un’altra città, impossibilità economiche sopravvenute, acquisto di un immobile). La disdetta anticipata dell’inquilino può essere esclusa nel contratto. Il rinnovo del contratto alle stesse condizioni è automatico, se non c’è disdetta.

Agevolazioni fiscali. Il proprietario può dedurre il 15% del canone al momento della dichiarazione dei redditi, a titolo di spese affrontate per la locazione. L’inquilino non gode di agevolazioni o contributi, salvo quelle eventualmente previste da norme regionali.

Locazioni a canone concordato.

Sono di tre anni di durata. In caso di disdetta non motivata da precisi motivi di legge (vedi articolo "Quando il contratto dura meno"), il periodo di locazione è automaticamente rinnovato, per la prima volta, di due anni. Se invece non vi è disdetta, si rinnova per tre anni.

Canone. E’ stabilito da accordi territoriali, a livello comunale o, talora, sovracomunale, stipulati tra sindacati di proprietari e inquilini. Per essere più precisi, non è fissato un canone preciso, ma una fascia di canoni (per esempio, da 85 euro a 98 euro al metro quadrato/anno). All’interno della fascia c’è libera contrattazione tra proprietario e inquilini per stabilire il canone contrattuale.

La fascia dipende da tre condizioni base:

  1. ubicazione dell’alloggio nel comune;
  2. metri quadrati dell’immobile. Le pertinenze e gli accessori, come cantine, solai, balconi, hanno un metodo di calcolo stabilito localmente. Talora i mini-alloggi sono stimati con superficie leggermente maggiore a quella reale ;
  3. condizioni di manutenzione dell’alloggio e sua ubicazione nell’edificio (per esempio, primo, o ultimo piano, con o senza ascensore).

Spesso, a livello locale, sono stabilite altre condizioni. Per esempio:

  1. presenza o meno di mobilio (gli arredati possono prevedere incrementi percentuali del canone);
  2. durata del contratto. Quando il contratto è di più di 3 anni di durata, il canone può essere leggermente superiore.

Agevolazioni fiscali.

L’imposta di registrazione del contratto è ridotta del 30%. I proprietari posso applicare una deduzione del 40,5% (anziché solo del 15%) del canone denunciato sulla dichiarazione dei redditi. Per esempio, se il canone annuo assomma a 6 mila euro, l’Irpef è applicata su 3.570 euro.

Inoltre, a partire dal 1999, i comuni possono (ma non sono costretti) concedere un’aliquota Ici più bassa a chi affitta a canone concordato. Occorre dire che buona parte dei capoluoghi di provincia hanno colto questa occasione.

Agli inquilini con redditi limitati sono concesse inoltre detrazioni fiscali. Esse ammontano a 495,80 euro annuo (per le famiglie con reddito complessivo che non supera euro 15.493) o di 247,90 euro, (reddito complessivo fino a 30.987,41 euro).

Aggiornamento del canone. Può essere al massimo al 75% dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.

Locazioni transitorie

Perché contratti di questo tipo siano validi , il proprietario o l’inquilino debbono avere necessità momentanea di affittare un alloggio. L’esigenza transitoria va dichiarata nel contratto e quella dell’inquilino va comprovata attraverso apposita documentazione da allegare al contratto. Fanno eccezione a questa regola le locazioni turistiche (regolate solo dal codice civile) e quelle in cui gli enti locali sono inquilini in un contratto di foresteria.

Vanno da 1 mese fini a un anno e mezzo di durata. Criteri per la disdetta sono stabiliti liberamente, per contratto, tra proprietario e inquilino.

Canone. Da quando entrerà in vigore il nuovo decreto varranno queste regole: nei capoluoghi di provincia e nei comuni nell’hinterland delle 11 principali città italiane il canone è determinato con gli stessi principi di quello concordato. Con una possibilità, però: che negli accordi locali venga stabilito un incremento, fino al 20% in più. Negli altri comuni è libero.

Agevolazioni fiscali. Nessuna in particolare. Come per gli affitti liberi, è prevista una deduzione forfetaria del 15% di quanto incassato a titolo di canone, a titolo di rimborso per le spese sostenute dal proprietario.

Aggiornamenti canone. Identici a quelli previsti per il canone concordato.

Rinnovo del contratto. Possibile, purché il proprietario e l’inquilino confermino il permanere dell’esigenza transitoria tramite lettera raccomandata da inviarsi prima della scadenza del termine stabilito nei contratto. Se il proprietario non invia la lettera o vengono meno le sue esigenze di transitorietà, è costretto a ricondurre il contratto alla durata degli affitti a canone libero. Cioè ad applicare una durata di quattro anni più altri quattro di rinnovo automatico. In caso di dichiarazioni non veritiere, deve risarcire all’inquilino tre anni di canone o ripristinare il contratto.

Locazioni a studenti.

Si tratta di affitti a studenti universitari o comunque a studenti che seguono corsi di perfezionamento o aggiornamento a livello universitario, nei comuni dove gli accordi locali hanno percepito questo tipo di contratto. Si può affittare anche a un gruppo di studenti. In alcuni comuni sono inclusi anche gli studenti delle medie superiori.

La durata del contratto è di 6 mesi al minimo, e di 3 anni al massimo. La disdetta va data almeno tre mesi prima della scadenza. L’inquilino può recedere dal contratto per gravi motivi, con lettera raccomandata inviata almeno tre mesi prima. In caso di pluralità di inquilini, ciò è consentito anche ad uno solo firmatari ed in tal caso, dal mese dell'intervenuto recesso, la locazione prosegue nei confronti degli altri. L’inquilino che se ne va resta comunque obbligato al pagamento, se gli altri sono morosi.

Canone e aggiornamenti. Identici a quelli previsti per il canone concordato.,

Rinnovo del contratto. E’ automatico, salvo disdetta. Alla prima scadenza è possibile solo la disdetta dell’inquilino.

Agevolazioni fiscali. Per i proprietari, sono identiche a quelle previste per il canale concordato (registro, Irpef e Ici). Viceversa, per gli inquilini non esistono, tranne norme locali.

Quando il contratto dura meno

Vi sono sei possibili casi in cui i contratti a canone libero possono avere una durata di soli 4 anni (anziché 8 anni) e quelli a canone concordato una durata di 3 anni (anziché 5 anni). Eccoli.

  1. il proprietario intende destinare l’immobile ad abitazione, negozio, ufficio, studio professionale per sé, per i genitori, per i nonni, per i figli, per il coniuge, per i fratelli o le sorelle;
  2. il padrone di casa è un ente e una società con scopo non commerciale (per esempio è la chiesa, una cooperativa, un ente pensionistico). Deve però dedicare l’immobile alla sua attività e offrire all’inquilino, un altro immobile idoneo in affitto;
  3. l’inquilino possiede o ha in uso un altro immobile libero e "idoneo" alle sue necessità nello stesso comune;
  4. l’edificio e gravemente danneggiato e deve essere ricostruito oppure deve essere completamente ristrutturato e, per ragioni tecniche, deve essere sgomberato. Occorre che il proprietario abbia però la concessione edilizia.. Finiti i lavori, l’inquilino a diritto a rientrare nell’immobile, se il proprietario intende riaffittarlo (prelazione all’affitto).
  5. l’inquilino non occupa l’immobile in modo continuativo, senza giustificato motivo (una buona ragione per non occuparlo sarebbe, per esempio, un periodo di lavoro in un’altra città);
  6. il proprietario vuol vendere l’immobile ad altri e non possiede altri immobili abitativi oltre quello in cui abita. In tal caso dovrà dare la possibilità all’inquilino di acquistarlo, al prezzo a cui riesce a venderlo (la cosiddetta prelazione all’acquisto).

Perché valga la durata "corta" della locazione, non ci si può mettere d’accordo subito, alla firma del contratto. Bisogna che il proprietario invii all’inquilino una disdetta, per raccomandata A/R (con ricevuta di ritorno). Sulla lettera di disdetta deve essere specificato in modo chiaro e dettagliato il motivo, tra i sei elencati, per cui si disdice il contratto. La disdetta va mandata almeno sei mesi prima della scadenza della durata "corta" della locazione. Cioè prima che siano passati, dall’inizio dell’affitto, 3 anni e sei mesi (se il contratto è a canone libero) oppure 2 anni e sei mesi (se il contratto è a canone regolamentato).

Qualche padrone di casa potrebbe tentare di fare il furbo per avere indietro la casa prima, per esempio dicendo che deve andare ad abitarci o deve venderla, anche quando non è vero. In tal caso rischia grosso. Se entro 12 mesi da quando ha ricevuto indietro l’alloggio non mette in pratica quanto ha dichiarato, può essere costretto a risarcire all’inquilino ben 3 anni di canone.

Meccanismi dell’incremento Istat

L’adeguamento Istat è in genere annuale, e può iniziare ad essere applicato un anno dopo che si è firmato il contratto. Pertanto, se un contratto fosse stato sottoscritto, per esempio, a novembre del 2001, l’adeguamento richiedibile per novembre del 2002 sarebbe del 2,7% (al 100% del costo della vita) o del 2,025% (adeguamento al 75% del costo della vita).

Facciamo un esempio. Supponiamo che il canone di libero mercato deciso all’inizio del contratto, a novembre 2000, sia stato di 500 euro. Era possibile chiedere, a novembre 2001, che il canone fosse incrementato al 100% dell’indice Istat, cioè del 2,3%. Quindi il canone sarebbe dovuto crescere a 511,5 euro (500 x 1,023, cioè per 2,3%). A novembre 2002 il proprietario ha diritto a un ulteriore incremento del 2,7%. Perciò i 511,5 euro divengono 523,31 euro (511,5 x 1,027),

Se il proprietario si è dimenticato di chiedere l’adeguamento, non può chiedere gli arretrati. Però può applicare tutti gli incrementi passati. Per esempio, nel caso in questione, il canone a novembre 2002 "balzerà" direttamente da 500 euro a 523,31 euro.