Il Governo dà il via libera alle
antenne di radio, televisione e cellulari
Elettrosmog: Regioni e comuni senza poteri per decreto
Associazioni ambientaliste furenti, Regioni e Comuni private di potere e costrette rivedere radicalmente tutte le leggi e i regolamenti adottati, gestori di telefonia e di telecomunicazioni che danno un respiro di sollievo. Sono questi gli effetti del varo del decreto legislativo 4 settembre 2002, n.198, sulle “infrastrutture di telecomunicazioni strategiche” che traccia una corsia privilegiata ai grandi e piccoli progetti di installazione radio, televisive e telefoniche.
Ad essere messa radicalmente in crisi è la legge quadro
sull’inquinamento elettromagnetico, che già versava in stato di animazione
sospesa, per il mancato varo (siamo oltre a un anno di ritardo) di tutti i suoi
decreti applicativi. Più che una legge quadro si era ormai trasformata in un
sorta di “cornice”, mentre a riempire la tela di colore avevano finora pensato
solo le Regioni, con leggi a tutela della popolazione additate dagli operatori
come “estremiste” e impugnate davanti ai Tar e alla Corte Costituzionale.
Il nuovo decreto legislativo non
si limita a creare eccezioni, più o meno marcate, alla normativa di tutela: nei
fatti la esclude per disegnare procedure e criteri totalmente differenti. Una
filosofia d’azione tipica della cosiddetta “legge obiettivo” (n. 443/2001), di
cui il decreto, secondo quanto afferma il Ministero delle comunicazioni, non fa
che attuare la delega contenuta nell’articolo 1. Se poi sia più o meno
legittimo, con una semplice dichiarazione, trasformare in “strategico” tutto il
mondo delle telecomunicazioni, sarà senz’altro oggetto di future battaglie.
Ai sensi della legge quadro le regioni avevano il potere di :
Anche in carenza di decreti applicativi della Legge che regolassero
il loro campo d’azione , molte regioni hanno colto la palla al balzo, emanando
leggi che gli operatori delle radiocomunicazioni hanno spesso giudicate non
solo troppo protezionistiche, ma anche anti-economiche, perché avrebbero reso
del tutto impossibile non solo lo sviluppo della rete di radiocomunicazioni ma
anche l’esistenza degli impianti esistenti. All’indice degli oppositori
soprattutto le leggi di Lombardia, Toscana e Umbria.
Con il decreto legislativo, almeno per le infrastrutture
“strategiche”, si cancella con una riga di penna tutte le competenze regionali,
eccezion fatta quella dei controlli di rispetto dei limiti di esposizione
(decisi peraltro dallo Stato). Si traccia, al loro posto, una semplice
procedura in cui le regioni, e per loro le Agenzie regionali dell’ambiente,
divengono semplici recettori delle istanze di autorizzazione all’installazione
delle antenne (o di quelle di posa dei cavi relativi), sottoposte entro 90
giorni al meccanismo del silenzio-assenso .
Nei comuni, l’installazione delle antenne e il passaggio dei cavi,
anche sottoterra, doveva ovviamente essere compatibile con le prescrizioni
degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi vigenti. Ma non solo:
potevano essere dettate delle prescrizioni particolari attraverso “regolamenti
delle antenne” volti ad assicurare, come dice la legge quadro, “il corretto
insediamento urbanistico degli impianti e minimizzare l’esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici”. Una facoltà che molti comuni hanno
esercitato, e in modo spesso restrittivo, imponendo in particolare distanze
delle antenne particolarmente elevate da scuole, ospedali, zone residenziali
eccetera, o la necessità, sempre e comunque delle Via, la valutazione di
impatto ambientale, ( vedi ad esempio i regolamenti di Pisa, Ladispoli,
Montepulciano e Pienza). Del resto la necessità della Via è stata sostenuta nel
tempo anche da una parte della giurisprudenza, perfino per le più piccole
antenne dei cellulari.
Il Dlgs 198/2002 disinnesca del tutto la”bomba” comuni. Tutte le
antenne (con eccezione solo delle torri e dei tralicci per la Tv digitale) sono
considerate compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica. Sono perciò
realizzabili in qualsiasi parte del territorio dei comuni. Non solo, si
installano in deroga “agli strumenti urbanistici ed ad ogni altra disposizione
di legge o regolamento”. Non è finita: le opere e gli scavi su suolo pubblico
sono liberalizzate e il comune o gli enti pubblici proprietario o concessionari
non possono chiedere alcuna indennità in cambio, fatta eccezione per il
pagamento della Tassa o del Canone per l’occupazione del suolo. E qui, vi è il
solo spiraglio lasciato aperto: quello di decidere nei regolamenti Tosap o
Cosap tariffe particolarmente onerose per le antenne. Agli operatori delle
telecomunicazioni resta solo l’onere di risistemare le arre dopo i lavori,
secondo le indicazioni date dagli enti locali.
Va aggiunto che enti locali e gestori di pubblici servizi (per esempio,
l’Enel) sono costretti mettere a disposizione le loro infrastrutture (per
esempio i tralicci), purché ciò non crei intoppi alla loro attività. Stavolta è
prevedibile un indennizzo, ma “a condizioni eque, trasparenti e non
discriminatorie”.
Il decreto crea una nuova procedura per le installazione di antenne
e cavi, che nulla ha a che fare con quella stabilita dal Testo Unico
dell’edilizia o comunque dalle leggi in materia. Tant’è vero che vengono
allegati 4 schemi di istanza quello per l’autorizzazione, quello per la
denuncia di inizio attività, e quelli per l’autorizzazione agli scavi e
all’occupazione di suolo pubblico in zone urbane e extraurbane. Gli enti locali
potranno sostituire con loro modelli le istanze (eccezion fatta per la prima).
L’istanza per la denuncia di inizio attività (che non ha nulla a
che fare, salvo equivoci, con la Dia, la dichiarazione di inizio attività
prevista dalle norme urbanistiche) è una versione, più succinta dell’istanza di
autorizzazione, prevista per le antenne cellulari con potenza, in antenna
singola, fino a 20 Watt (per intenderci, quelle che si mettono normalmente
sopra i palazzi condominiali).
L’accettazione delle istanze avviene con il meccanismo del
silenzio-assenso. Scatta un primo periodo, di solo venti giorni, in cui l’Arpa
(l’Agenzia regionale per l’ambiente), può pronunciarsi sul rispetto dei limiti
di emissione previsti dalle norme nazionali. In caso manchi documentazione il
responsabile del procedimento può richiederla, ma solo per una volta, entro 15
giorni dal ricevimento dell’istanza (10 giorni per gli scavi). Viceversa
l’amministrazione locale ha 90 giorni, dalla presentazione della domanda o
dall’integrazione della documentazione, per pronunciarsi. Passato tale periodo
senza notizie, l’operatore di telecomunicazioni può dare il via ai lavori. Gli
enti locali possono decidere di abbreviare, ma non allungare, tali termini.
In caso di dissenso dell’amministrazione interessata, è indetta
entro 30 giorni una Conferenza di servizi, con pieni poteri di decisione a
maggioranza. Vi partecipano gli enti locali, l’ Arpa e u rappresentante
dell’amministrazione dissenziente. La decisione va presa entro 20 giorni e vale
come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori
(ai fini, quindi, anche di un eventuale esproprio).
Procedure speciali, in cui viene coinvolto il Consiglio dei
Ministri riguardano il dissenso espresso da un'amministrazione preposta alla
tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio
storico-artistico.
Abolita la Via Il
decreto, con l’articolo 12 crea un altro piccolo terremoto: abroga l’articolo
12- bis della legge 189/97, che sottoponeva l’installazione di infrastrutture
per i cellulari alla Via (valutazione di impatto ambientale).
E’ piuttosto evidente che i tempi imposti dal nuovo decreto sono
troppo ristretti, se si guarda all’efficienza della pubblica amministrazione in
generale e a quella delle amministrazioni locali in particolare. Spesso,
quindi, scatterà il silenzio assenso. Il problema diviene quindi stabilire in
che limiti sarà possibile, per i cittadini o per l’amministrazione locale,
opporsi ai lavori una volta iniziati o terminati.
Il nuovo decreto sulle antenne si muove sullo stesso principio guida della cosiddetta” legge obiettivo” che
crea una corsia preferenziale per le grandi opere (tratti autostradali, linee
ferroviarie, e così via). Tutto il sistema delle telecomunicazione è dichiarato
di “interesse nazionale”. Più esattamente, lo diventa la telefonia Gsm e Umts, gli impianti radio-trasmittenti, i
ripetitori di servizi di telecomunicazione, le reti dedicate alla televisione digitale terrestre, le reti a
radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile.
Ma non è finita: il decreto ha di fatto effetto retroattivo. Lo
afferma l’articolo 12, dove si dice che “i diversi titoli” già rilasciati per
l’installazione delle infrastrutture, sono considerati quali autorizzazioni ai
sensi del decreto. E si aggiunge che anche le semplici istanze già presentate
per le antenne cellulari, se conformi al decreto, valgono come denuncia di
attività. In parole povere, se si rendono “strategiche” sia tutte le
installazioni di antenne autorizzate in qualche modo (anche irregolare) nel
passato sia quelle pendenti.
Insomma tutta la legge
sull’elettrosmog va in pensione, e diviene assolutamente inutile, almeno per
quella parte che riguarda le antenne radiotelevisive. Resteranno solo i limiti
di emissione e i valori di attenzione, che vengono comunque decisi con un
decreto a parte (attualmente il Dm Ambiente 381/1998, che avrebbe dovuto già
essere sostituito da un nuovo decreto).
Non è detto che il decreto legislativo la passi liscia: è
prevedibile anzi che gli Enti locali, Regioni in testa, abbiano già deciso di
dare battaglia. Secondo l’osservatorio elettrosmog del Wwf (www.
elettrosmog.org), ben cinque di esse (Basilicata, Campania, Marche, Toscana e
Umbria) hanno allo studio un ricorso alla Corte Costituzionale. Le motivazioni
più probabili sarebbero:
è infranta l’esclusiva legislativa regionale in materia di
urbanistica e territorio, nonché quella, concorrente con lo Stato, in materia
di salute;
vengono abrogare di fatto tutte le leggi regionali vigenti o in
intinere sul corretto insediamento degli impianti;
viene messo in crisi più volte il principio di eguaglianza
stabilito dall’art. 3 della Costituzione: con i poteri dati ai gestori di
telefonia di promuovere espropri per pubblica utilità, con l’abrogazione della
Valutazione di impatto ambientale, con le limitazioni ai diritti di proprietà,
e con la mancata partecipazione dei cittadini al provvedimento amministrativo.