Il nuovo decreto sulle locazioni a canone concordato
Il nuovo decreto sulle locazioni concordate prevede una pioggia di
novità, di cui alcune in applicazione dalla nuova versione della Legge 431/98,
frutto delle modifiche inserite dalla legge 8 gennaio 2002, n. 2, altre
del tutto originali, ed altre ancora, frutto del recepimento di clausole
divenute “di stile” negli accordi territoriali già firmati. Un altro, piccolo
gruppo di novità sono rintracciabili nel testo dei contratti tipo.
Il giudizio degli operatori di mercato sulle locazioni agevolate è,
in genere, piuttosto duro. La limitata diffusione di questo tipo di contratti,
soprattutto tra la piccola proprietà, è dovuta essenzialmente a due motivi. Il
primo è la scarsa convenienza economica. Basta fare due conti per accorgersi
che quando il canone concordato è inferiore del 15% rispetto a quello che si
otterrebbe sul mercato libero, conviene senz’altro seguire il contratto
concordato; se la differenza è tra il 15 e il 25% la scelta è pressoché
indifferente; se il “delta” supera il 25% è meglio stipulare senz’altro un
contratto libero.
Viceversa la maggior parte degli accordi territoriali raggiunti,
soprattutto in città come Milano, Roma e Torino, stabiliscono canoni troppo
bassi per risultare appetibili, soprattutto tenuto conto del fatto che il
recente boom delle quotazioni degli immobili ha portato in tempi, come effetto
secondario, anche a incrementi notevoli dei canoni di locazione.
Il secondo motivo è la scarsa informazione: pochi conoscono
l’esistenza degli affitti concordati e chi ha il coraggio di avventurarsi a
concluderli, se scorre anche con superficialità il testo degli accordi,
composti da decine e decine di pagine, rischia il mal di testa. C'è per esempio
da capire in che zona è situato il proprio immobile (cosa tutt'altro che
facile: a Roma per esempio le sottozone possono essere ben 174, ma anche nella
minuscola Terni non si scherza, 14 zone!).C'è poi da misurare con precisione i
metri quadrati, tenuto conto della giusta percentuale di superficie di cantine,
soffitte, balconi, terrazzi, box, soppalchi. C'è ancora da vagliare in quale
"subfascia" di canone si rientra, a seconda di altre decine di
variabili. Ma non è finita: contratti zeppi di formule legali, verbali di consegna,
dichiarazioni sugli impianti e via elencando rendono criptico ogni contratto.
Infine un terzo fattore: l’esperienza di Roma e quella di Oristano,
dove sono stati conclusi due diversi accordi, dimostra che nel futuro gli
accordi stessi potrebbero duplicarsi o, peggio: ciascuna organizzazione dei
proprietari e degli inquilini potrebbe scegliersi un sindacato della
controparte più compiacente, creando un notevole caos normativo.
Il decreto quindi crea un’occasione in più per i sindacati delle
due parti per semplificare radicalmente la vita a sé, e al cittadino
(stipulando accordi locali più snelli) e per tener più conto dei reali canoni
di mercato. Particolarmente interessante, per i piccoli proprietari, è la
parziale liberalizzazione dei canoni dei contratti transitori non turistici,che
possono essere legalmente stipulati solo a canone concordato.
L’applicazione della legge 2/2002. Il decreto vara sei tipi di contratti, validi in tutto il
territorio nazionale. Vengono perciò raddoppiati i tipi contrattuali già
previsti dal vecchio decreto, in due nuove versioni, una dedicata alla piccola
e una alla grande proprietà. In sostanza, due moduli contrattuali riservati
alle locazioni a canone concordato (3 + 2 anni di durata minima), due a quelle
di tipo transitorio (da 1 a 18 mesi di durata) e due a quelle per gli studenti
universitari (da 6 mesi a 3 anni di durata). L’autonoma regolamentazione delle
locazioni per la grande proprietà, dove i sindacati inquilini hanno maggiore
forza contrattuale, dovrebbe dare agli accordi conclusi tra privati una
maggiore libertà d’azione, a favore dei piccoli proprietari.
Da quando varrà il decreto I nuovi tipi di contatto
vanno a sostituire radicalmente quelli decisi a livello comunale e allegati a
ciascuno degli accordi territoriali conclusi. La “sostituzione” scatterà
secondo questi criteri:
a)
Non appena
verrà varato, in ogni comune, un accordo territoriale in recepimento
dell’attuale decreto;
b)
In
mancanza dell’accordo territoriale, non appena verrà varato un nuovo decreto
ministeriale, che stabilirà tutto quanto il singolo accordo territoriale
avrebbe dovuto determinare.
Quello che, dal punto di formale,
non è chiarito è cosa accade se un accordo territoriale viene
controfirmato dopo l’emanazione del decreto sostitutivo. E’ probabile che, in
questo caso, l’accordo non valga.
Un dubbio probabilmente accademico. Infatti il decreto sostitutivo
agli accordi, già previsto dalla legge 431/98 (comma 3, dell’articolo 4), non è
mai stato varato nel passato (doveva esserlo entro il 5 luglio 1999) ed è
probabile che non sia scritto nemmeno stavolta, entro aprile 2003. Il limite di
4 mesi previsto per legge, è infatti il solito
termine “ordinatorio” e non prescrittivi.
Se si guarda alle esperienze precedenti, inoltre, la nuova regolamentazione
non si applicherà prima di 6 mesi-un anno: tanto ci vorrà perché siano firmati
i primi accordi territoriali.
In ottemperanza a quanto stabilito dalla legge 2/2002, l’utilizzo
dei tipi di contratto diviene condizione obbligatoria per il godimento delle
agevolazioni fiscali per i proprietari. E, cioè, la deduzione del 40,5%
(anziché del 15%, previsto per tutte le locazioni) sul canone di affitto da
denunciare in sede Irpef e quella del 30% sulla registrazione dei contratti. Le
agevolazioni sono previste, per i contratti a canone concordato, solo nei
comuni ad alta tensione abitativa. Viceversa per quelli per gli studenti
universitari e per quelli stipulati dagli enti locali in qualità di conduttori
per soddisfare esigenze abitative di carattere transitorio le agevolazioni sono
estese a tutto il territorio nazionale. Restano quindi esclusi dagli sconti
fiscali i contratti transitori, a meno che siano stipulati da enti locali.
Viceversa le detrazioni previste per gli inquilini con bassi
redditi sono riconfermate e si applicano solo ed esclusivamente ai contratti
agevolati di tre anni più due di durata.
Le locazioni transitorie.
Il mutamento più importante è senz’altro la possibilità (ma non
l’obbligo) di prevedere negli accordi territoriali per i contratti transitori
un incremento, rispetto alle fasce di canone, fino al 20%.. Ciò rende le
locazioni transitorie economicamente più convenienti: ricordiamo che si tratta
pur sempre di una formula molto apprezzata dai proprietari che spesso vogliono
avere rapidamente la disponibilità dell’appartamento libero. Il canone degli
affitti transitori è comunque predeterminato solo in particolari comuni mentre
resta libero altrove.
Va notato che tali comuni, cioè i capoluoghi di provincia e quelli
confinanti con “le aree metropolitane” delle 11 maggiori città italiane, non
coincidono con i “comuni ad alta tensione abitativa”, ma ne sono solo una
parte. Viene così a stabilirsi una duplice ripartizione del territorio, ai
sensi della riforma delle locazioni. La prima è tra comuni ad alta tensione
abitativa e gli altri. I proprietari degli immobili in questi comuni,
individuati da delibere Cipe, e in cui vive probabilmente oltre la metà della
popolazione italiana, hanno un vantaggio (poter godere delle agevolazioni fiscali)
e uno svantaggio notevole (modalità di esecuzione dello sfratto molto più
favorevoli agli inquilini). La seconda suddivisione è invece solo tra
capoluoghi e aree metropolitane e altri comuni e vale solo ai sensi della
scelta costretta del canone nelle locazioni transitorie.
L’estensione ai piccoli comuni delle locazioni agevolate.
Interessante è anche il fatto che il comma 13 dell’articolo 1 del
decreto afferma a chiare lettere che i contratti a canone concordato si
applicano a tutti i comuni italiani, e non solo a quelli ad alta
tensione abitativa. Tecnicamente, non si tratta di una novità: in teoria,
infatti, anche nei piccoli comuni sarebbe stato già possibile, in presenza di
accordi tra i sindacati locali, sottoscrivere contratti concordati di tutti i
tipi (normali, transitori e per studenti). Nei fatti sugli oltre 8.100 comuni
italiani, solo i 103 capoluoghi più non molti altri centri hanno concluso i
necessari accordi territoriali (e comunque solo una parte dei comuni ad alta
tensione abitativa). Anche perché non sempre esisteva la convenienza a farlo,
mancando le agevolazioni fiscali. Quindi oggi come oggi i contratti a canone
concordato non sono certo stipulabili dappertutto. In futuro le case
cambieranno solo se fosse varato il decreto ministeriale che sostituisce gli
accordi territoriali. In tal caso, questo tipo di locazioni potrebbe
diffondersi anche nel più piccolo dei comuni italiani. E, soprattutto, vi
sarebbe possibile concludere, in piena legalità, contratti di uno o due mesi di
durata, di tipo diverso da quelli a scopo turistico (gli unici attualmente
possibili).
Altri mutamenti.
Sempre sul fronte delle locazioni di breve durata, è stata spazzata
via un’ambiguità importante: il nuovo decreto non parla più della necessità di
provare l’esigenza transitoria “del proprietario e dell’inquilino”, ma del
proprietario e/o dell’inquilino”. Interpretando alla lettera le vecchie regole,
infatti, occorreva che esistesse una contemporanea (e poco probabile) necessità
di locare a breve di entrambe le parti: cosa che molti accordi territoriali si
erano affrettati ad escludere..
Spese condominiali.
Oltre ai tipi di contratto è allegata anche una tabella di
ripartizione delle spese tra proprietario e inquilino a valenza nazionale, che
sostituirà quelle decise a livello comunale. Il contenuto della tabella non è
fonte di particolari sorprese: si può solo sottolineare che non sono stati
risolti alcuni punti dubbi, da sempre fonte di contrasto tra sindacati di
proprietari ed inquilini. Per fare un esempio, a chi tocchi versare, e in che
misura, l’onorario dell’amministratore condominiale. In questi casi, ci si rifà
agli usi locali, come formalizzati dalle Camere di Commercio.
I contratti allegati al nuovo decreto stabiliscono che “insieme con il pagamento della prima rata del
canone annuale, il conduttore versa una quota di acconto non superiore a quella
di sua spettanza risultante dal consuntivo dell'anno precedente”. In altre
parole l’inquilino può essere costretto ad anticipare le spese condominiali di
un anno (o di meno di un anno, se il contratto è di tipo transitorio).
Non si è colta però l’occasione per reinserire nei tipi di
contratto, neppure come opzione possibile, la clausola che prevede un
incremento del canone pari all’interesse legale in caso di riparazioni
straordinarie, presente in moltissimi contratti varati a livello territoriale.
Si tratta, è bene ricordarlo, della riproposizione dell’articolo 23 dell’equo
canone, abrogato dalla legge 431/98 (limitatamente alle locazioni abitative).
Tuttavia la logica fa credere che questa clausola possa comunque essere
reinserita dai contraenti.
L’istituzione delle Commissioni di conciliazione deriva senz’altro
dal recepimento, nel decreto, di protocolli d’intesa nazionali tra sindacati
dei proprietari e degli inquilini che erano sfogati, in molti accordi
territoriali, nell’inserimento nei contratti di clausole simili a quelle ora
approvate.
In sostanza le funzioni delle commissioni sono tre:
1)
Dirimere
le controversie sull’interpretazione ed esecuzione delle varie norme che,
unite, concorrono a determinare il contenuto di un contratto di locazione.
Ricordiamo che con le clausole decise tra le parti coesistono le norme tipiche
nel codice civile, gli articoli sopravvissuti della legge sull’equo canone, la
legge 431 del 1998 di riforma, il decreto ministeriale di applicazione e infine
i singoli accordi territoriali (per non parlare delle norme che riguardano
l’esecuzione degli sfratti, le delibere Cipe che elencano i comuni ad alt tensione
abitativa e via elencando). C’è n’è abbastanza per causare contraddizioni a
iosa .
2)
Dirimere
le liti sull’identificazione del canone concesso, che dipende da una miriade di
fattori (localizzazione, pregio del singolo appartamento, disponibilità o meno
di mobilio, misurazione dei metri quadrati di superficie).
3)
Infine,
rettificare l’entità del canone qualora vi siano variazioni nell’entità
dell’imposizione fiscale, in più o in meno, rispetto a quella in atto al
momento della stipula del contratto. La formula utilizzata è ambigua: è
probabile che si faccia riferimento soprattutto al timore dei proprietari
immobiliari che sia ridotto in futuro l’ammontare della deduzione Irpef
(attualmente del 40,5%), nonché le eventuali aliquote agevolate dell’imposta
comunale sugli immobili previste per le locazioni concordate in molti comuni.
Tuttavia il testo di legge, così scritto, non esclude rivendicazioni degli
inquilini a basso reddito se fossero cancellate la detrazioni a loro favore. Ma
non esclude nemmeno, il che è ben più influente, una revisione dei canoni nel
caso in cui venissero innalzate le rendite catastali degli immobili: cosa che
porterebbe probabilmente a un aumento notevole di tutti i tributi immobiliari
sulla proprietà, che sia locata o meno.
Le Commissioni debbono pronunciarsi entro 60 giorni sulle
controversie, tranne quelle sui canoni, per le quali hanno 90 giorni per
determinare il nuovo importo.
Ma l’ostacolo più grave è un altro: le Commissioni potrebbero
restare nel limbo delle buone intenzioni e non essere mai create. Infatti il
comma 4 dell’articolo 6 stabilisce che “La richiesta di decisione della
Commissione, costituita con le modalità indicate negli allegati tipi di
contralto, non comporta. oneri a carico della parte richiedente”. Il che
significa, in pratica, che i rappresentanti dei sindacati dei proprietari di
proprietari e inquilini dovrebbero offrire la loro opera gratis nelle
Commissioni (chi altri potrebbe farlo?), senza ottenere nemmeno un gettone di
presenza per il loro intervento (è improbabile che i Comuni si facciano carico
del pagamento).
Recepimento di clausole comuni negli accordi locali.
Viene data espressamente al solo proprietario la facoltà di dare, o
non dare, il diritto di prelazione all’inquilino, nel caso che l’abitazione sia
posta in vendita. Negli accordi locali, invece, la prelazione era formalmente
frutto di contrattazione. Nulla di importante, dal momento che questo diritto
era molto raramente concesso: in ogni caso, era sempre il proprietario ad avere
il coltello dalla parte del manico.
Gli studenti per cui è previsto l’uso degli appositi contratti non
sono più solo quelli che seguono corsi universitari, ma anche quelli che
seguono corsi di specializzazione o di aggiornamento “a livello universitario”.
A dire il vero certi accordi si erano giustamente spinti ad includere anche gli
studenti delle medie superiori, purché residenti fuori dal comune dove si loca
l’immobile.
Nei moduli contrattuali, si recepisce formalmente l’articolo 10
dell’equo canone (legge 392/78), che impone la partecipazione degli inquilini
alle assemblea condominiale in caso di delibere relative alle spese e alle
modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria,
nonché, in caso di proprietario unico dell’edificio, la convocazione
dell’assemblea da parte di almeno tre conduttori, secondo le modalità previste
dal codice civile per il condominio. Rammentiamo che l’art. 10 non è stato
abrogato dalla legge 431/98, ma niente vietava, fino ad ora, di farvi espressa eccezione
nel contratto.
Il recesso per gravi motivi.
Il recesso del conduttore per gravi motivi, è regolato in tre modi
differenti, a seconda del tipo di contratto. Il preavviso deve avvenire sempre
tramite raccomandata, ma quest’ultima deve essere inviata:
1)
Almeno sei
mesi prima del recesso, per i normali contratti agevolati;
2)
Un tempo
indeterminato, da contrattare, per i transitori;
3)
Almeno tre
mesi prima “della scadenza”, per i contratti per universitari.
In quest’ultima caso si è in presenza di un probabile errore di
scrittura del tipo di contratto. Infatti l’articolo 1 del contratto stabilisce
già che “alla prima scadenza il contratto si rinnova automaticamente per uguale
periodo se il conduttore non comunica al locatore disdetta almeno tre mesi prima
della data di scadenza del contratto”. Non si fa menzione a nessun “grave
motivo”.
Dubbi finali.
In futuro, come già detto, i canoni delle locazioni concordate
sarebbero regolati, alternativamente, dagli accordi locali oppure da un nuovo
Decreto ministeriale. C’è da chiedersi, sin da subito, come potrebbe un Decreto
stabilire tipologie edilizie e canoni validi per tutt’Italia, sia pure
ripartiti a seconda del numero di abitanti presenti dei comuni o secondo grandi
suddivisioni geografiche.
Il decreto, tuttavia, potrebbe avere grande importanza tenendo
conto della sensazione diffusa di stanchezza dei rappresentanti di sindacati di
proprietari e inquilini che, in tempi passati, hanno dovuto sottoporsi a
stressanti tour de force di riunioni per concludere Accordi territoriali, senza
che la loro fatica sia stata ripagata da un corrispondente afflusso di
contratti registrati conclusi. Potrebbe quindi prevalere la stanchezza o
l’indifferenza da parte di molti. Una buona soluzione potrebbe essere
ricorrere, come si è fatto talvolta nel passato, ad accordi sovracomunali
(citiamo ad esempio i casi di Bologna, Piacenza, Ascoli Piceno, Nuoro, Forlì,
Siena).