Acquistare o donare la casa ai figli
L’acquisto di
un’abitazione è un investimento talmente costoso che è assai raro che una
giovane coppia, o un ragazzo single che esce di casa, possano
affrontarlo solo con le proprie forze. La scelta di sottoscrivere un mutuo è
rischiosa: i tassi sono in salita e le incertezze del mercato del lavoro non
aiutano a prendersi un impegno economico, che spesso salassa il bilancio
familiare per vent’anni e più. L’alternativa
della locazione può essere a senso unico, ma le quotazioni degli affitti,
soprattutto nelle grandi città, sono elevatissime e comunque tutto quello che
si spende lo si perde, non lo si investe.
Logico
che a questo punto l’unico ombrello che tuteli un giovane siano le famiglie,
che possono aiutarlo con denaro raggranellato in una vita di lavoro oppure con
la valorizzazione di un immobile di proprietà, che hanno acquistato o ereditato
nel passato. Si tratta di un’operazione da affrontare con
una certa cautela, scegliendo, quando si può, tra diverse alternative
e soppesandone vantaggi e svantaggi.
Tipo di immobile. E’ ovvio che la
scelta dell’ampiezza e della dislocazione di un appartamento da comprare per i
figli è principalmente dettata da motivi economici. Tuttavia
qualche considerazione resta opportuna.
Occorre innanzitutto
valutare dove acquistare: le opzioni più gettonate dalle
famiglie sono non lontano dalla propria residenza (per non perdere i
rapporti affettivi con la propria prole) oppure nella città dove il figlio
svolge i proprio corsi universitari, se diversa da quella in cui si vive.
Entrambe le alternative hanno i loro pro e contro.
L’abitazione vicina potrebbe scontrarsi con il desiderio di autonomia
dei figli o con le loro scelte o opportunità concrete di lavoro. Quella nella
città universitaria potrebbe rivelarsi una scelta a breve: si acquista a prezzi
di mercato alto, per poi magari essere costretti a vendere a prezzi che domani
potrebbero essere meno interessanti, versando due volte somme consistenti a
titolo di costi fiscali, onorari notarili, ristrutturazione, trasloco, arredamento.
Da punto di vista dell’investimento,
l’acquisto migliore resta quello dell’immobile che più ha la possibilità di
rivalutarsi nel tempo: l’esperienza insegna che la crescita dei prezzi è un po’
più marcata nelle grandi città che in quelle piccole e più forte nelle
cittadine che nei paesi.
L’errore più comune
è accontentarsi, se si ha disponibilità economiche, del monolocale o del
piccolo bilocale. E’ vero, essi, nei confronti del classico tre stanze, rendono
proporzionalmente di più di affitto, rapportato al
prezzo di acquisto. ,Hanno però diverse magagne. Anche se il figlio è ora un
single, prima o poi vorrà convivere e gli spazi non
basteranno più. Anche nelle città universitarie i trilocali
“vanno” di più, perché gli studenti riescono a pagar meno spartendosi i costi della locazione di spazi
più ampi , piuttosto che affrontare da soli quelli di
spazi minimi. Perciò il figlio divenuto proprietario potrà sempre, nel
frattempo, far pagare qualcosa a compagni conviventi e nel frattempo godrà di un’esperienza comunitaria che diverrà parte della
sua formazione personale, anche a costo di qualche disagio in più.
Intestazione. La scelta chiave
resta: “meglio comprare
per sé o per il figlio ?”. O, in alternativa, se l’immobile è
già di proprietà, “meglio tenerlo per sé o darlo al figlio ?”. Come vedremo, queste due domande hanno più risposte possibili,.
Un po’ tutte sono però imperniate su alcune discriminanti
base. La prima è il livello di reddito familiare. Se la
famiglie è molto ricca, l’acquisto o la cessione di un immobile per i
propri discendenti non è ovviamente un problema. Se
invece il reddito è medio o medio basso, i genitori dovrebbero fare bene i loro
conti. Restare proprietari di un immobile, anziché cederlo, significa serbare
maggiori sicurezze: per esempio si potrà sempre venderlo se ci si dovesse in
futuro trovare in ristrettezze economiche conseguenti alla perdita del lavoro o
a gravi spese per motivi di salute. Non sempre i figli sono riconoscenti per i
sacrifici fatti a loro favore. Se poi i figli sono due o tre
, se si benefica maggiormente uno
rispetto all’altro si creano dissapori e, in casi estremi, anche liti in
tribunale.
Passaggio del denaro. Se la casa viene intestata al figlio, e non è lui che paga (in tutto o
in parte) il prezzo di acquisto, le alternative sono quattro. La prima è che i genitori comprino con il
loro denaro, in modo chiaro e trasparente, ma a favore del figlio. La seconda e che gli diano denaro sottobanco per acquistare. La terza è che gli donino il denaro necessario,
ma con atto pubblico.. La quarta è che acquistino loro
e poi donino, o vendano sottocosto, la casa al figlio.
Scartiamo subito le
ultime due, che sono prive di senso: ogni passaggio di denaro o proprietà in
più (vendita o donazione) prevede il versamento di imposte
e il coinvolgimento di un notaio con
relativi onorari.
La prima alternativa ha diversi vantaggi: come hanno stabilito la
Cassazione (sentenza n. 10196/99) e come hanno riconosciuto di fatto le
Finanze, il figlio ha diritto di godere i benefici fiscali per l’acquisto della
prima casa, anche se i genitori ne possiedono già una. Nei fatti il meccanismo
che si mette in piedi è quello della “donazione indiretta”. Si verserà quindi il 3% a titolo di imposta di registro e 336 euro a titolo di imposte
catastali, il tutto calcolato sul valore catastale del bene (115,5 volte la
rendita), oppure il 4% di Iva più altri 504 euro se l’acquisto è di una casa
nuova, sempre con base il valore catastale. Se il
figlio è minorenne, occorrerà però la previa autorizzazione del giudice
tutelare, che valuterà la convenienza e l'opportunità dell'acquisto. Inoltre
l’acquisto dovrà avvenire nel comune di residenza del figlio, perché questo è
uno dei requisiti per godere dell’agevolazione.
Passiamo alla seconda
alternatva, quella del denaro dato “in nero”, che
purtroppo è la più comune. Si fa una donazione nei fatti, che andrebbe invece eseguita
con atto pubblico: il che è già un’irregolarità. Perdipiù,
poiché le donazioni sono considerate un anticipo dell’eredità, se esistono
altri figli essi potrebbero considerare “lesa” la loro
quota legittima di eredità, e scatenare un bailamme. Viceversa acquistando in
modo trasparente, con il denaro dei genitori, della la somma sborsata da essi si tien comunque conto nella
ripartizione delle quote legittime di eredità e si fa una cosa “pulita”.
Donazione o vendita di un immobile di proprietà. .Meglio
donare o vendere sottocosto? La scelta più prudente è senz’altro la prima: le
donazioni ai figli per valori inferiori a un milione
di euro scontano solo le imposte ipotecarie e catastali, pari al 3% del valore
catastale (oltre i costi burocratici e notarili dell’atto pubblico necessario).
La vendita , anche sottocosto, ha oneri fiscali e
notarili lievemente superiori : infatti se si denuncia un valore per il
passaggio di mano inferiore a quello catastale, come in teoria si potrebbe
anche fare, si è praticamente certi dell’intervento di rettifica del Fisco. Quando poi i figli sono più di uno, si creano la possibilità
di scatenare le già ricordate liti ereditarie.
Nuda proprietà e usufrutto. In
passato si è spesso utilizzato, anche a fini di risparmio fiscale consentito
dalla legge, lo stratagemma di “spezzare” l’intestazione dell’immobile tra nuda
proprietà e usufrutto. In sostanza il nudo proprietario (in genere, il figlio)
serba una proprietà formale mentre l’usufruttuario (in genere, il genitore) ha
la possibilità di utilizzare vita natural
durante l’immobile e di goderne i frutti (per esempio, un canone di
locazione). In vantaggio sta nel fatto
che anche il valore del passaggio di proprietà veniva
abbattuto, una quota relativa alla nuda proprietà e una all’usufrutto variabile
a seconda dell’età dell’usufruttuario. E’ su tale valore che si applicano le
tasse. Al momento della successione ereditaria, l’unificazione in piena
proprietà è automatica o quasi e non si versano più tributi.
Oggi questo metodo è,
nella grandissima maggioranza dei casi, da evitare: le imposte su donazioni e
successioni a discendenti diretti sono divenute limitate e i costi immediati , anche solo
notarili, della donazione con
atto pubblico finiscono per superare il risparmio futuro. Interessati
potrebbero essere solo i titolari di grandissimi patrimoni, per
cui su supera il forfait per figlio di un milione di euro al momento
della successione.
L’unico caso teorico
di convenienza potrebbe avvenire al momento dell’acquisto di un immobile,
distinguendo i compratori in nudo proprietario e usufrutturario.
Ma solo a patto che né genitori né figlio abbiano mai goduto
dei benefici fiscali per la prima casa e abbiano entrambi i relativi
requisiti. Gli inconvenienti non mancano:se occorre
denaro liquido, nudo proprietario e usufruttuario dovranno mettersi d’accordo
per vendere l’immobile, perché né l’uno né l’altro potranno concretamente
alienare solo il loro diritto: non troverebbero probabilmente acquirenti sul
mercato, se non a prezzi stracciati.
Altri metodi. Naturalmente
il genitore può tenersi la proprietà dell’immobile e consentire al figlio di
abitarvi: è bene che una situazione del genere sia formalizzata (come dovrebbe)
in un contratto di comodato scritto in cui niente vieta che al figlio sia attribuite le spese condominiali. Il contratto va
registrato, con una spesa di 168 euro.
Una situazione
particolare è quella dei genitori che danno l’immobile in comodato (cioè gratis) al figlio e quest’ultimo, anziché andarci ad
abitare, lo affitta ad altri, traendone una rendita utile per la propria
sopravvivenza. Dal punto di vista del codice civile si tratta, a nostro avviso, di un’operazione lecita. Più complicato il suo profilo fiscale. I
genitori devono continuare a denunciare il reddito immobiliare nei modelli 730 o
Unico (incrementandolo di un terzo, come accade per le case di villeggiatura).
Il figlio dovrà denunciare invece i canoni riscossi tra i “redditi diversi”
della sua dichiarazione.
Infine il Fisco
potrebbe sospettare in questa operazione un’elusione
fiscale: uno stratagemma cioè dei genitori per versare un po’ meno imposte sui
redditi. E’ un po’ complicato da spiegare: dato che le
aliquote di imposizione sono progressive e crescono con il lievitare del
reddito, è più conveniente far figurare che i canoni sono incassati da chi ha
un reddito minore (il figlio), piuttosto che da chi ha un reddito maggiore (i
genitori). Resta il fatto che per il Fisco è
un’impresa dimostrare (come sarebbe costretto a fare per imporre sanzioni) che sono
in realtà i genitori, e non il figlio,
ad incassare i canoni.
Detrazioni sui mutui. Le norme italiane
permettono di detrarre al momento della dichiarazione dei redditi il 19% dei
costi di un mutuo sottoscritto per l’acquisto dell’abitazione principale, fino a un massimo di 3.615,57 euro (che corrispondono a uno
sconto reale dalla tasse di circa 687 euro all’anno). Tuttavia l’intestatario
del mutuo e il proprietario dell’abitazione
devono esser la stessa persona: quindi la sottoscrizione di un prestito da
parte dei genitori per comprare la casa
al figlio non è avvantaggiata fiscalmente.