Condominio: le delibere sugli impianti
Le opere volte alla
sicurezza e al risparmio energetico sugli impianti, se decise in condominio,
prevedono a seconda dei casi l’approvazione della
spesa con diverse maggioranze e la sua suddivisione secondo differenti criteri.
Per quel che attiene
al riscaldamento, possono verificarsi sette diversi casi:
- Installazione di un impianto completamente
nuovo;
- Trasformazioni di quello che c’è a un diverso combustibile,
- Adeguamento dell’impianto esistente alle
norme di sicurezza e risparmio energetico;
- Distacco di un singolo condomino
dall’impianto centralizzato;
- Trasformazione di un impianto centralizzato
in impianti termoautonomi;
- Installazione di impianti
con fonti di energia rinnovabili.
- Trasformazione dell’impianto centralizzato
in centralizzato con contatori del consumo o allacciamento al
teleriscaldamento.
Impianto nuovo.
Mettere un impianto di riscaldamento dove non esiste è in ogni caso di un innovazione utile, che prevedere però una spesa
importante. Il criterio è che deve essere approvata con una maggioranza
speciale, quella dei condomini che abitano l’edificio e con due terzi dei
millesimi (innovazioni). Anche un solo condomino può opporsi se si è gravemente
alterato il decoro dell’edificio, è messa in percolo
la sua statica o si rendano talune parti comuni inservibili all’uso. Attenzione
però: la violazione al decoro o all’uso altrui deve essere grave: aggiungere
una funzione a un tetto o a un locale comune non può
essere considerato un ostacolo serio.
Conversione da
gasolio a metano. Se prevede la semplice sostituzione
del bruciatore della caldaia, resa necessaria dalla sua anzianità, possono
bastare le maggioranze ordinare (in seconda convocazione la maggioranza dei
partecipanti all’assemblea, che possieda almeno un terzo dei millesimi). Altre
volte, la conversione può imporre opere sui locali che ospitano la caldaia
centralizzata, per adeguarli alle norme di sicurezza previste per il metano
(che sono diverse da quelle del gasolio o l’intubamento
degli scarichi dei fumi (la cui sezione deve essere ridotta) o la sostituzione
della caldaia stessa. Sarà quindi necessario perlomeno l’assenso della
maggioranza di cui all’art. 1136, secondo comma, c.c.
(maggioranza degli intervenuti e 500 millesimi), non trattandosi, a nostro
avviso di una vera e propria innovazione.
Adeguamento alle
norme. Siamo quasi sempre nel camp delle riparazioni
straordinarie (maggioranza uguale al comma precedente). Solo se si tratta di opere di poco conto, possono bastare le maggioranze
ordinarie.
Distacco di un
singolo. Se il regolamento contrattuale lo consente, ciascuno può decidere di
“staccarsi” dalla caldaia centralizzata, anche senza l’assenso dell’assemblea
purché, ma, trattandosi di un impianto comune, dovrà continuare a sopportare le
spese di “conservazione” (cioè gestione, manutenzione
ordinaria e straordinaria, controlli, eccetera), potendo non pagare solo quelle
di consumo. In genere non conviene, anche perché il distacco prevede un
impianto a norma, per esempio con scarico dei fumi sopra il tetto, con i
conseguenti costi.
Trasformazione del
centralizzato in impianti singoli. E’ diversa dal distacco, perché tutto il
condominio, attraverso un insieme coordinato di opere,
deve passare al singolo. Tale trasformazione è agevolata in assemblea
dall’articolo 26, secondo comma, della legge n. 10/91, che concede che sia
decisa a semplice maggioranza dei millesimi (senza parlare del numero di
condomini che debbono votarla). Interessante rilevare è il fatto che tale comma è stato modificato recentemente
dal decreto legislativo n. 311/2006, che chiarisce che gli intervento devono
essere “individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una
diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato”. Quindi a nostro avviso
la parola “individuati” chiarisce che già il progetto deve prevedere il
risparmio, che poi deve essere certificato dalla diagnosi finale (con ciò
mettendo fine a un dibattito in Cassazione concernente
se bastasse o meno una verifica dopo i lavori).
La minoranza che dissente
non potrà continuare a utilizzare l’impianto
centralizzato.
Fonti di energia rinnovabili. Pannelli solari, fotovoltaici,
energia geotermica, proveniente dal vento, o infine da biomasse (legno, pellets,decomposizione rifiuti
organici), possono sostituire o, più spesso, integrare l’impianto esistente. Anche in questo caso entra in gioco il secondo comma
dell’articolo 26 della legge n. 10/1991, con identici criteri per le decisioni
rispetto al distacco dall’impianto centrale.
Trasformazione del
centralizzato in contabilizzato. Se ne occupa,
stavolta, il quinto comma dell’articolo 26 della stessa legge. Le regole sono
analoghe (delibera a maggioranza semplice delle quote, per un insieme
coordinato di lavori). Stavolta, però, non è necessario provare preventivamente
il risparmio da conseguire con la redazione di una certificazione o di una
relazione.
Opere sugli impianti termici: spartizione delle spese e millesimi
La giurisprudenza è
ormai univoca nell’affermare che – salvo diverse disposizioni del regolamento
contrattuale - tutte le spese che riguardano la proprietà di un impianto (che
sono diverse da quelle del suo utilizzo), vanno ripartite tra i condomini in
misura proporzionale ai millesimi di proprietà. Viceversa quelle che riguardano
la conduzione dell’impianto stesso (per esempio quelle relative
ai costi della ditta esterna che se ne occupa o quelle di consumo di
carburante), vanno suddivise in proporzione all’uso che ciascun abitante dello
stabile fa dell’impianto stesso.
Non a caso nella
maggioranza dei condomini sono allegate al regolamento contrattuale due diverse
tabelle: quella generale di proprietà dell’immobile e quella d’uso della
caldaia (i cosiddetti millesimi calore). Essi in
genere sono proporzionati al volume da riscaldare di ogni
singolo appartamento, oppure al numero di caloriferi o infine a un criterio
misto tra i due.
Quindi i costi di
manutenzione straordinaria, di adeguamento alle norme
di un impianto termico e della conversione a metano vanno suddivisi in base ai
millesimi di proprietà, mentre i consumi e la gestione vanni ripartiti per
mezzo dei i millesimi calore (salvo indicazioni diverse del regolamento
contrattuale).
La principale
difficoltà che si incontra è quando, però, i millesimi
calore non esistono, perché l’impianto è di nuova installazione oppure quando
quelli che ci sono debbono essere radicalmente cambiati, perché l’impianto
viene trasformato in modo tale da variare in modo decisivo la logica di
spartizione.
La modifica dei
millesimi del riscaldamento va prevista in tre casi. Il primo è quello
dell’impianto che da centralizzato tradizionale passa a contabilizzato (e
bisogna tener conto dei consumi rilevati dai contatori nei singoli
appartamenti). Il secondo è quando l’impianto esistente viene
integrato da un altro (per esempio, dei pannelli solari). Il terzo quando
locali precedentemente non collegati alla caldaia
vengono in seguito riscaldati (perché, per esempio, un sottotetto prima non
abitato è stato inglobato nell’appartamento sottostante)
In tutte e tre le
situazioni bisognerà incaricare un tecnico che, in base alla situazione
concreta, stili una proposta di nuova suddivisione dei
millesimi calore. Nell’impianto contabilizzato, in particolare, la
maggior parte della spesa è ripartita in base al consumo di combustibile, ma
una certa percentuale, relativa alla manutenzione e alle
gestione della caldaia centrale, va suddivisa in base a millesimi, per
esempio a quelli di proprietà. Non è possibile stabilire in astratto quale sia questa percentuale: può variare da un minimo del 20 a un
massimo del 45% in misura inversamente proporzionale al numero dei condomini
che serve la caldaia. Quanto più sono i condomini,
tanto meno incidono i costi fissi.
Il guaio è che i
codice civile stabilisce che il varo di nuovi
millesimi o la modifica di quelli esistenti, se scritti, prevede una decisione
assunta all’unanimità. Se anche solo un proprietario è
contrario, la relativa delibera è nulla ed impugnabile senza limiti di tempo. Perciò se esistono dei dissidenti che fanno causa, solo un giudice
che potrà stabilire, con l’assistenza di un perito del tribunale, la
suddivisione definitiva. Nel frattempo sarà comunque
possibile approvare delle tabelle con validità provvisoria, salvo conguaglio.