Le novità del collegato infrastrutture e del suo
regolamento di attuazione
di
Franco Pagani, presidente Federamministratori-Confappi
Le
innovazioni introdotte con il collegato infrastrutture (Legge 1 agosto 2002, n. 166) e con il suo
regolamento di attuazione (Decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190) alla
cosiddetta “Legge obiettivo” meritano senz’altro una trattazione approfondita
che il Consulente Immobiliare rinvierà al prossimo numero. Rammentiamo che, in
realtà , ad essere rinnovata e modificata non è solo la Legge obiettivo stessa.
Lo è anche la legge Merloni sugli
appalti, a cui viene creato un ampio ventaglio di eccezioni destinato alla
regolamentazione delle grandi opere. E lo è pure il Testo Unico dell’edilizia o, per meglio dire, le norme urbanistiche
che lo compongono (dato che il Testo Unico ormai andrà in vigore solo il 30
giugno 2003), nella parte, cruciale,
dedicata alla definizione del campo d’azione della Dia (Dichiarazione
d’inizio attività).
Insomma,
si va dalle piccole opere di recupero edilizio
fino agli impegni strategici sulle infrastrutture. Due campi d’interesse
che è bene tenere chiaramente distinti, anche in questo primo, sintetico,
commento, destinato comunque a fare il punto solo sulle modifica alla Dia
contenute nell’articolo 13 del Collegato (Attivazione degli interventi previsti
nel programma di infrastrutture) e sulle principali novità introdotte dal suo
regolamento di attuazione.
Via libera alle regioni in materia di Dia
Le
modifiche portate alla parte della “Legge obiettivo” che si occupa di Dia
(commi dal 6 al 14 dell’unico articolo della legge 21 dicembre 2001, n. 443)
riguardano, a dire il vero, il solo comma 12: non per questo sono meno
incisive. In buona sostanza, infatti, si permette alle Regioni, con proprie
norme autonome, di disciplinare per intero il tipo di opere che possono essere
sottoposte a Dichiarazione di inizio attività e quindi anche quelle che, al
contrario, sono obbligatoriamente sottoposte a concessione edilizia onerosa,
per le quali l’assenso del Comune deve essere esplicito. In altre parole le
norme statali in materia di Dia finiscono per avere valore solo per quelle
regioni, o province autonome,che non hanno ancora leggi proprie. Ma solo fino a
quando non le emaneranno. Le regioni stesse hanno diritto di ridurre, o perfino
ampliare, l’ambito della Dichiarazione di inizio attività. E quindi, specularmente, di rendere più o
meno vasto l’ambito della concessione edilizia esplicita.
Ricordiamo
che, con l’entrata in vigore del Testo Unico dell’Edilizia (rinviata ormai al
30 giugno 2003) vi saranno solo due tipi di di iter burocratici comunali
previsti dalle leggi sul recupero :la Dia e la concessione edilizia
(trasformata in “permesso a costruire”) . L’autorizzazione edilizia con il
meccanismo del silenzio-assenso andrà in pensione. In definitiva, le prescrizioni della legge obiettivo, ancor da
inglobare nel testo unico dell’edilizia, divengono una sorta di norma “quadro”,
un’indicazione politica di principio data agli Enti locali verso una maggiore
estensione della Dia stessa.
Non
è finita: con la modifica del comma 12 si fanno esplicitamente salve “le leggi
regionali emanate prima della data di entrata in vigore della presente legge”
che “siano già conformi a quanto previsto dalle lettere a), b), c) e d) del
medesimo comma 6, anche disponendo eventuali categorie aggiuntive e differenti
presupposti urbanistici”. Detto in soldoni, è un evidente riferimento alle
leggi urbanistiche di Lombardia e Toscana (rispettivamente, la 19 novembre
1999, n. 22 e la 4 ottobre 1999, n. 52) , che erano in lampante contraddizione
con le norme statali.
Dal
punto di vista formale, la nuova formulazione del comma 12 non è un prodigio di
chiarezza: resterebbe infatti incerto il destino delle altre due regioni che
hanno legiferato nel frattempo in materia di Dia, Campania e Liguria
(rispettivamente, con la legge28 novembre 2001, n. 19 e la legge 10 luglio
2002, n. 29). Ma è un problema di lana caprina, ora che è stata ufficialmente
riconosciuto, prima con la riforma del titolo V della Costituzione, e ora con
la legge 166/2002, la piena autonomia
regionale sul governo del territorio o, quanto meno, sui meccanismi per
ottenere permessi sul recupero.
Morale:
la nuova Super-Dia disegnata dalla legge 443/2001 è per ora valida per 15 regioni
e 2 province autonome, e ne sono escluse Campania, Liguria, Lombardia e
Toscana, che hanno le proprie regole. In un futuro più o meno immediato si
trasformerà in una pura e semplice petizione di principio.
Le novità del Regolamento
Ecco
alcune delle novità più significative portate dal Decreto legislativo 20
agosto 2002, n. 190.
Addio
al massimo ribasso. Il criterio di
aggiudicazione delle opere nelle gare ai concessionari non sarà più,
necessariamente, quello “brutale” del prezzo più basso, come imponeva la legge
Merloni fino a poco fa, bensì quello dell’offerta economicamente più
vantaggiosa sulla base di una pluralità di criteri. Tra essi il comma 4 dell’articolo 10 elenca, oltre al prezzo, il
valore tecnico ed estetico delle varianti, il tempo di esecuzione, il costo di
utilizzazione e di manutenzione, il rendimento, la durata della concessione, le
modalità di gestione, il livello e i criteri di aggiornamento delle tariffe da
praticare all'utenza, nonché l'eventuale prestazione di beni e servizi,o
comunque tutti gli elementi di cui tener conto a seconda del tipo di opera. Non è modifica da poco, se si pensa che
gli stessi funzionari pubblici , per colpa della legge Merloni, hanno
dovuto subire la vittoria in bande e
gare di società di scarsa credibilità,
che praticavano prezzi al ribasso senza avere la struttura e la capacità di
sopravvivere e di portare a termine le opere.
Più
potere al General contractor. La legge obiettivo aveva già istituito la figura del Contraente
generale (lettere e) ed f) del comma 2)., definito come quel soggetto con
capacità tecnico-realizzativa a cui si poteva affidare l’esecuzione dell’opera
“con qualsiasi mezzo”, partecipando direttamente al finanziamento dei lavori o
reperendo altrove, presso i privati ad esempio, i fondi necessari, con l’unico
limite di non poter gestire l’opera eseguita. Insomma, né un cliente né un
fornitore della pubblica amministrazione, ma un vero e proprio “socio”, capace
di assumersi il rischio d’impresa.
Il
regolamento ne precisa e amplia il campo d’azione. Egli può essere responsabile
“chiavi in mano” dell’esecuzione dell’opera, tempi e costi compresi. Può
prendere in consegna l’infrastruttura sin dalla fase del progetto preliminare,
svilupparne la progettazione definitiva ed esecutiva, gestire le
espropriazioni, aprire i cantieri.
Può
perfino appaltare a terzi “concessionari” il 100% dei lavori. Benché non possa
gestire l’infrastruttura, niente vieta che sia lui a decidere chi lo farà.
Licitazione
privata. Fonte di contrasti è già il
fatto che, per l’articolo 10 del decreto,
il contraente generale possa essere scelto dalla pubblica
amministrazione, a sua scelta, con
licitazione privata o con appalto-concorso. Per molti è un passo indietro nella
trasparenza degli appalti. A ciò si aggiunge il fatto che la legge obiettivo
prevedeva già che il General contractor stesso affidasse a terzi i
lavori senza che vi sia una gara,un principio su cui Bruxelles ha già avviato
un'indagine. Anche la Corte dei Conti ha espresso dissenso, lamentando il
contrasto con la direttiva Ue 93/37 e più in generale con le norme sulla
concorrenza.
Il
controllo delle Regioni. I
ricorsi, presentati dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Marche
contro la legge obiettivo, che vertevano sulle attribuzioni di competenza
legislativa in materia di lavori pubblici, assicurate indirettamente a loro
dalla riforma del titolo V della Costituzione, sulla localizzazione delle opere
(la diatriba sulla Livorno-Roma che la Regione Toscana voleva più vicina alla
costa) e, in genere, sul ruolo di controllo delle autonomia locali, hanno
fruttato loro maggior spazio decisivo nel regolamento. L’articolo 3 del decreto
legislativo, infatti, dopo aver previsto un certo peso consultivo degli enti
locali, detta una complessa procedura in caso di dissenso sulle opere.
Per le infrastrutture di carattere interregionale o nazionale, il
progetto è sottoposto al vaglio del Consiglio superiore dei lavori pubblici,
integrato di rappresentanti regionali, che è delegato anche a valutare proposte
alternative regionali. Quindi il parere del Consiglio è sottoposto al Cipe, che
a sua volta cercherà una mediazione. Solo in terza istanza decide il Governo,
su proposta del Ministro delle Infrastrutture;
Per le infrastrutture di carattere più locale il veto regionale
porta al congelamento per sei mesi del progetto, in attesa della valutazione di un Collegio Tecnico integrato dai
rappresentati regionali e in seguito alla sua sospensione definitiva, salvo che
il Governo voglia far la voce grossa, e
optare a questo punto per la procedura prevista per le opere di carattere
nazionale.
Valutazione
di impatto ambientale. Anche per
la Via le grandi opere strategiche avranno una corsia privilegiata,con
forte accelerazione dell’iter: se ne occuperà
una Commissione speciale di valutazione di impatto ambientale , composta
di venti membri più il presidente, da nominare entro un mese dal Presidente del
Consiglio. A parziale risarcimento per la propria perdita di potere, il
Ministro dell’Ambiente ha ottenuto di poter proporre lui le candidature alla
commissione.
Arbitrato.
L’articolo 12 del decreto prevede che le
controversie in merito ai contratti di infrastruttura possano essere risolte
attraverso una commissione di tre arbitri (composta, come d’uso, da uno
nominato da ciascuna delle parti e il presidente dagli altri due), secondo le
disposizioni del codice di procedura civile.
Espropri.
Vale la pena rammentare, infine, un’importante novità del collegato
infrastrutture : il comma 2 dell’articolo 5 in cui si afferma che le
disposizioni del Testo Unico sugli espropri
non si applicano ai progetti per i quali, alla sua data di entrata in
vigore, “sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed
urgenza”.
Quindi,
per le opere pubbliche (e non solo per le grandi infrastrutture) il Testo Unico
cessa di avere effetto retroattivo agli espropri in corso “per le fasi procedimentali
non ancora concluse”. Una disposizione che mirava a garantire il rispetto di
molte tutele per il cittadino ancor prima che la nuova legge (ora rinviata fino
al 30 giugno 2003), divenisse operativa. Semaforo verde, quindi, alle
occupazioni di urgenza, cioè alla cattiva abitudine di occupare (illegalmente)
un'area vincolata, ma non ancora espropriata, iniziando i lavori per realizzare
l'opera. In tal caso continuerà a
scattare la cosiddetta "accessione
invertita", con cui la pubblica amministrazione si approprierà del terreno
su cui ha illegittimamente costruito, sena dover corrispondere immediatamente
un’indennità.