I limiti all’uso condominiale prevalgono sulla sicurezza lavoro

 

di Silvio Rezzonico

 

Qual è il limite dell’uso autonomo delle parti comuni da parte dei condomini? Può un obbligo imposto da una normativa statale o regionale sulla sicurezza o sul lavoro essere un buon motivo per travalicare tale limite, qualora non fosse possibile altrimenti? A queste due domande cerca di rispondere la sentenza della Cassazione 6 novembre 2006, n. 23608. La materia del contendere riguardava un condominio che ospitava prevalentemente attività artigianali o commerciali, tra cui una falegnameria e un’altra attività con carico e scarico merci. In tale contesto, il falegname otteneva dall’assemblea di condominio il permesso di installare nel cortile una macchina aspiratrucioli, con il voto favorevole di tutti i condomini, eccezion fatta per il gestore dell’altra attività artigianale. Quest’ultimo impugnava la delibera due mesi dopo, quindi oltre il termine di 30 giorni previsto per l’annullabilità delle delibere, chiedendo tra l’altro anche il reintegro del possesso dell’area occupata (circa 4 metri quadrati).

Sia il falegname che il condominio si opponevano ma veniva dato ragione al ricorrente nella sentenza di  primo grado (che, tra l’altro, adombrava nella sentenza un atto emulativo,  cioè un comportamento messo in atto senza motivo, solo per danneggiare il falegname). La Corte d’Appello ribaltava però il giudizio: effettivamente vi era stata l’alterazione del cortile e l’impedimento del suo pari uso da parte dei condomini (perché era divenuta difficoltosa la manovra degli automezzi). Insomma, sussisteva la violazione sia dell’articolo 1102 del codice civile (uso della cosa comune)  sia del secondo comma dell’articolo 1120  (innovazioni vietate), sia dell’articolo 1122 (opere che recano danno sulle parti comuni).

Ricorrono in Cassazione sia il falegname che il condominio. Tra i motivi dedotti vi era il fatto che il collocamento della macchina configurava un uso ordinario della cosa comune, in un condominio di artigiani, e che il trasferimento all’esterno era stato imposto dalla legislazione sulla sicurezza del lavoro (decreto legislativo n. 626/1994), ad opera delle autorità provinciali e comunali, sicché in appello non si era tenuto conto dei principi costituzionali a tutela delle condizioni di lavoro. Inoltre nel giudizio di primo grado il commerciante si era richiamato all’articolo 1122 del codice civile, mentre in appello aveva preferito aggrapparsi alla violazione del  1120 (innovazioni che rendono talune parti comuni inservibili all’uso o al godimento di un solo condomino). Infine era trascorso il tempo utile per l’impugnazione della delibera.

La Cassazione ha dato torto al falegname e al condominio. Innanzitutto, dopo alcune considerazioni sulla procura alle liti rilasciata al difensore per il ricorso, ha ribadito che l'esigenza di installare impianti di aspirazione e filtraggio dei trucioli, in un vano separato dal laboratorio di falegnameria, non possono giustificare una violazione dell'altrui diritto di utilizzo e godimento della cosa comune.

Infine ha sottolineato che la delibera assembleare avrebbe dovuto essere approvata all’unanimità: in mancanza essa doveva ritenersi radicalmente nulla, impugnabile senza il limite dei 30 giorni da quando se ne è avuta conoscenza, anzi senza limiti di tempo.

La sentenza ha in sostanza ribadito il principio che l’impedimento del “pari uso” da parte degli altri condomini, non è riferibile a un “uso identico” della parte comune: può trattarsi anche di un uso diverso. Tuttavia, mentre l’utilizzo per il carico e lo scarico merci è insito nelle funzioni del cortile, quello dell’alloggiamento di un macchinario non lo è.