Giovanni Tomassoli*
Non sempre il coniuge sopravvissuto può godere il diritto di continuare ad abitare la casa di famiglia. Lo ha affermato la Cassazione con una sentenza che farà epoca, perché riguarda un vastissimo numero di persone (la n. 6691 del 23 maggio 2000).
Ricordiamo che l'articolo 540 del codice civile stabilisce che il coniuge del defunto ha il "diritto di abitazione" vita natural durante nella casa adibita a "residenza familiare" , corredata dai mobili che la arredano. Tale diritto è considerato come in aggiunta alla sua quota di eredità che deve essergli garantita per legge o per testamento.
Tuttavia, cosa accade se la casa di famiglia non apparteneva per intero al defunto, o comunque ai due coniugi, ma anche ad altri? Il diritto di abitazione continua ad esistere? La Cassazione, dopo un dibattito che dura dal lontano 1975, ha deciso per il no.
Ricostruiamo la vicenda. Venticinque anni fa muore una signora e il marito e i suoi quatto figli ereditano la casa di famiglia. L'uomo, si risposa, e muore a sua volta dieci anni dopo. La vedova pretende quindi di continuare ad abitare la casa di famiglia, anche se la casa apparteneva solo in limitata parte al marito e per il resto a uno solo dei suoi figli, che nel frattempo aveva acquistato le quote di proprietà degli altri eredi.
Se la casa fosse stata per intero del marito, o fosse stata in comunione tra lui e la seconda moglie, non sarebbe sorto alcun dubbio: la seconda moglie aveva diritto ad abitarla fino alla morte. In questo caso, però, il diritto di abitazione "gravava" (come si dice in linguaggio giuridico) anche su una parte dell'abitazione che non era di proprietà del defunto, ma di altri.
Nonostante ciò sia il Tribunale che la Corte di Appello di Bari avevano deciso di dare ragione alla moglie, con motivi non del tutto infondati. Avevano infatti affermato che l'articolo 540 del codice civile dice che, perché scatti il diritto di abitazione, la casa deve essere "di proprietà del defunto o comune".
A questo punto la questione è divenuta: comune a chi? Solo alla moglie sopravvissuta? Oppure anche ad altri? Nel dubbio, che il codice civile non risolve, la Cassazione ha scelto la prima ipotesi: il diritto vale solo se la casa è in comunione tra i due coniugi.
Nella sentenza è affrontata anche un'altra questione: la moglie, perdendo il suo diritto di abitazione, anche se solo su una quota di proprietà dell'immobile, ha diritto ad essere indennizzata in denaro? La Cassazione (sentenza 2474/1987) aveva affermato di sì. Ma con quest'ultima sentenza ha cambiato idea. Ha infatti affermato che non si tratta di un diritto patrimoniale, cioè monetizzabile. Tant'è vero che non entra nella comune divisione in quote dell'eredità, ma è qualcosa in più, di aggiuntivo.
E' interessante però notare che, nel caso in questione, la Cassazione ha comunque imposto il pagamento dell'indennità: i figli infatti non l'avevano contestata in giudizio, anzi si erano detti disposti a pagarla.
*Federamministratori - Confappi