Tutela acquisti case in costruzione:
i principali
ostacoli a mettere il decreto in pratica
Scattano a luglio, le nuove
norme a tutela di chi acquista un immobile in costruzione. Non vi è alcun
dubbio: il decreto legislativo 11 luglio 2005, , in
attuazione della legge delega n. 210/2004 è una norma fondamentalmente corretta,
attesa e augurabile, con la quale si pone riparo a decenni di far west
nel settore , che hanno creato tante vittime innocenti: secondo stime 200 mila
famiglie coinvolte in fallimenti delle ditte costruttrici e costrette a perdere
la casa per cui hanno fatto sacrifici o a pagarla il doppio di quanto
preventivato.
Le tutele previste sono
di tre tipi. Prima di tutto una garanzia fideiussoria sulle somme anticipate da chi acquista. Poi
una polizza danni di durata decennale. E infine alcune
prescrizioni su come devono essere fatti il compromesso e il rogito di
compravendita.
E’ promossa inoltre la
costituzione di un Fondo destinato a risarcire almeno in parte le vittime dei
fallimenti passati. Infine si è operato per ammorbidire, a favore degli
acquirenti, le norme a tutela dei creditori della ditta fallita: il mutuo
contratto per l’edificazione del palazzo va, appena possibile, frazionato
appartamento per appartamento, l’ipoteca iscritta va cancellata non appena le
rate sono pagate, sono posti limiti alla revocatoria del rogito e il candidato
acquirente ha diritto di prelazione sull’immobile posto all’asta giudiziaria,
all’ultimo prezzo raggiunto.
Resta certo che una
legge giusta è stata varata dopo il solito tourbillon di
emendamenti e ne è uscita con qualche “buco” e certe ingenuità. Ed è altrettanto sicuro che si farà non poca fatica a
mettere in pratica le nuove regole e che colpite potrebbero essere soprattutto
le piccole e medie imprese. Abbiamo quindi raccolto in questa
inchiesta i principali ostacoli pratici che i protagonisti del decreto
di tutela (aziende edili, consumatori, banche ed assicurazioni) stanno, sin da
oggi, affrontando nonché le soluzioni che si stanno affinando per superarli.
Divieto di fideiussione
“a rate”
Tutto l’impianto della
nuova norma poggia le sue fondamenta su una regola base: la nullità dei
contratti non garantiti da una fideiussione. Ed è qui anche, il suo punto
debole: nonostante il parere delle commissioni parlamentari, nonostante le
proteste dei costruttori (che pure, tramite l’Ance,
hanno promosso la legge) , nonostante la mancata opposizione dei consumatori
finali, ben rappresentanti da Assocond e Conafi, il comitato delle vittime dei fallimenti, non è
stata modificata prima del varo del decreto legislativo una norma pericolosa:
quella che prevede che la garanzia copra non solo le somme anticipate dal
candidato acquirente dell’immobile nuovo, ma anche quelle che si devono “ancora
riscuotere dall'acquirente prima del trasferimento della proprietà o di altro
diritto reale di godimento” (come recita il testo).
In definitiva la
fideiussione dovrà coprire tutto il prezzo dell’immobile stesso, eccezion fatta
per l’ultima rata versata contestualmente alla firma del rogito e, per espressa
previsione di legge, le somme erogate con mutuo.
I costruttori avevano
richiesto che fossero invece garantite solo le somme
via via versate dagli acquirenti. Ciò avrebbe
permesso comunque la loro restituzione, avrebbe
ridotto il costo della fideiussione stessa (che rischia comunque di riversarsi
sul compratore finale), avrebbe facilitato alle imprese il fatto di procurarsi
le garanzie e avrebbe infine reso più flessibile lo strumento che può essere
adeguato ai tassi variabili di mercato.
Perché,
allora, la norma non è stata cambiata? Vi sono ragioni tecniche: la legge
delega (la n. 210 del 2004) prevedeva che ciascun acquisto fosse garantito da
un’unica polizza o garanzia bancaria ed ora pareva impossibile stravolgere
questo principio. Si sono poi tirate in ballo anche
motivazioni pratiche. Si è infatti detto: “Se si
permette alle imprese di contrarre più fideiussioni, ciascuna valida solo per
una rata di pagamento anticipato, cosa accade se, per esempio, la prima e la
seconda rata sono garantite ma la ditta non riesce a trovare la copertura per
le altre?” Si è inoltre aggiunto: “Se si imbocca la strada di più contratti
fideiussori, niente impedisce che una rata sia garantita da un istituto e la
successiva da un altro. In sede di azione promossa
dall’acquirente per riottenere quanto versato, ciò creerebbe grande confusione,
perché chiamati a risponderne sarebbero più operatori finanziari.”. La prima
obiezione è la più facile da superare: se l’impresa non riesce più ad ottenere
garanzie, vuol dire che non è considerata più affidabile: entrerà in crisi e si metterà in moto il meccanismo del
rimborso. Quanto alle seconda, va ricordato che, sul
filo del traguardo del decreto definitivo, si è tentato di tappare, in qualche
modo, il “buco” della norma. E’ stato infatti inserito
nell’articolo 2 un richiamo all’articolo 1938 del codice civile, che ricorda
come la fideiussione possa essere anche condizionata. Lo scopo era in sostanza quello di permettere, in un unico contratto, una
fideiussione “progressiva”: l’impegno sarebbe, in sostanza, “io, banca o
compagnia, mi obbligo a garantire sin da ora la tua rata futura, ma solo se tu,
acquirente, avrai versato quelle precedenti”.
Afferma Carlo Ferroni, direttore generale dell’Ance:
“Sfruttare il richiamo all’articolo 1938
resta comunque una delle possibili soluzioni: ve possono essere altre”. Non è
un segreto, infatti, che l’Ance ha intenzione
di premere per modifiche delle norme. Svanita l’opportunità di cambiare la
legge delega, la strada migliore potrebbe essere quella di modificare il decreto legislativo,
dopo la sua uscita in Gazzetta.
Nel frattempo si
affinano formule che, pur nel rispetto della legge, siano in grado di
contrastare gli effetti più perversi della nuova normativa. Un’ipotesi sarebbe
quella di avvalersi del fatto che sono escluse dalla garanzia fideiussoria le somme finanziate con un mutuo. Perciò in
sede di compromesso di acquisto si potrebbe imputare a
un mutuo la maggior parte del prezzo di acquisto (per esempio, l’80%), per poi
ridurre la quota-mutuo al rogito (per esempio al 50%). Ovviamente il tipo di
contratto di finanziamento stipulato terrebbe già conto della possibilità di
abbattere la quota mutuo, senza forti oneri aggiuntivi
per perfezionare l’ operazione. Questa soluzione prevede comunque
un investimento sulla credibilità del promotore edile da parte di chi offre la
garanzia e un minore impegno in denaro contante dell’acquirente immobiliare,
che potrebbe in futuro rivelarsi poco solvibile.
Un’altra scorciatoia
prospettata, è quella che l’acquirente presti a sua volta una fideiussione
sulle somme da versare in futuro. E’ stata però valutata come una via senza
sbocco: si tratterebbe comunque di un impegno
contrattuale che andrebbe a sua volta coperto da una fideiussione sottoscritta
dal costruttore. Insomma, il classico esempio di un cane che si morde la coda.
La polizza pretende
certezze
Altri motivi di
preoccupazione provengono dal testo dell’articolo 4
che istituisce la polizza assicurativa indennitaria
decennale “a copertura dei danni materiali e diretti all'immobile, compresi i
danni ai terzi”. Secondo Franco Casarano di Assocond, una delle
associazioni dei consumatori promotrici della legge, è forse questo il problema
irrisolto di maggior rilievo: “Si tratta in sostanza di garantire per dieci
anni che l’immobile sia privo di “gravi difetti costruttivi”. Va tenuto conto
anche del fatto che la giurisprudenza ha finito per allargare notevolmente il
concetto dei gravi difetti che debbono essere
coperti”. Inoltre il testo di legge , come
sottolineano alcuni costruttori , non consentirebbe di identificare, come di
consueto accade, dei massimali di copertura.
Perché la polizza sia
garantita, la compagnia di assicurazione a copertura
del suo rischio avrà probabilmente necessità che un ente terzo certifichi che
il progetto e la sua esecuzione sono conformi alle regole d’arte. Un meccanismo che del resto è già rodato per gli appalti pubblici.
Dice Patrick Amicucci di Qualitalia, società di certificazioni edili: “Il nostro
intervento, pur non essendo previsto dalla nuova norma, è all’ordine del giorno dei tavoli di lavoro in corso
tra costruttori e compagnie assicurative. La principale
controindicazione non sta tanto nel nostro costo, che sarebbe aggiuntivo (lo
0,4-0,5% del prezzo di vendita) quanto nel fatto che in Italia i progetti edili
che sono proposti al consumatore per l’acquisto o al finanziatore per la
contrazione di un mutuo hanno la brutta abitudine di essere piuttosto generici,
mentre per prestare la polizza decennale occorre che a banche e compagnie siano
presentati progetti e capitolati definitivi”.
La colpa, occorre sottolinearlo, non è solo della mancata trasparenza di certi
operatori del settore delle costruzioni. E’ infatti
ancora oggi prassi comune delle imprese edili, per guadagnare tempo, chiedere
un permesso di costruire per un’opera che non è necessariamente quella che si
intende realizzare, ma non incontra particolari ostacoli da parte della
burocrazia,. In seguito si propongono varianti del progetto che si adattino meglio a scelte proprie o altrui (per esempio
dell’amministrazione comunale che non ha ancora deciso il tracciato di una
fognatura o di una strada).
Al momento, nessuna
copertura.
C’è da chiedersi:
banche e compagnie di assicurazioni si stanno
muovendo? Stanno promuovendo presso le imprese edili forme di garanzie fideiussorie adattate alle nuove regole? E,
d’altra parte, cosa fanno le imprese stesse è le loro associazioni? A sentire
gli operatori, la situazione è al momento sconfortante. Claudio Lossa, promotore immobiliare a Milano, è preoccupato : “Almeno finora, le richieste delle piccole e medie
imprese edili di definire i termini delle polizze fideiussorie
non hanno trovato accoglienza presso le compagnie a cui normalmente si
rivolgono. Solo le banche sono disposte a muoversi, ma coprono soltanto chi può
dare forti garanzie patrimoniali. Ciò mette in seria difficoltà il settore dei
piccoli e medi operatori la cui offerta, non scordiamolo, ha una funzione calmieratrice sui prezzi di mercato”.
L’Ance
conferma di aver aperto da mesi le trattative su più fronti, sia con l’Ania (l’associazione delle compagnie di assicurazione) ,
sia con l’Abi (associazione bancaria) sia infine con
i singoli operatori, soprattutto del settore assicurativo. “Se tutto marcia per il verso giusto”, si augura Carlo Ferroni, direttore generale “potremo annunciare accordi
prima delle vacanze estive”.
Comunque
i tempi stringono. Con il decreto legislativo che entra in attuazione a fine
luglio, è stimabile che già da inizio ottobre si presenterà per la prima volta
la necessità di prestare fideiussioni e polizze. L’attuazione pratica della
normativa slitterà però, nella maggior parte della Penisola, al prossimo anno,
dati i tempi burocratici in media necessari per ottenere un permesso di
costruire.
I costi della tutela
Sui costi del pacchetto
fideiussione-quota aggiuntiva per il fondo solidarietà-
polizza decennale-certificazione del progetto,
le opinioni divergono notevolmente. C’è chi, all’Ance
Piemonte, ha valutato una forbice tra il 3,7-4% in media (di cui l’1,8% per la
polizza, il 2% la fideiussione e il resto per le altre coperture) . E chi come Patrick Amicucci, di Qualitalia, società
di certificazione edile che, a dispetto del nome, è di proprietà francese,
parla invece dell’1,5% in media, basandosi sull’esperienza maturata in Francia
e in Spagna, dove esistono da decenni tutele simili. “Solo se l’imprenditore
che propone il progetto non ha credito”, è il parere di Amicucci, “sono ipotizzabili percentuali molto
superiori”.
La prima accoglienza
ricevuta in capo finanziario dai nuovi obblighi potrebbe però essere peggiore
delle previsioni. . C’è chi dice che il mondo del credito sia viziato dalle
regole vigenti in passato , quando a coprire i rischi
vi erano pur sempre i privati acquirenti di immobili e si poteva anche non
andare troppo per il sottile nel concedere prestiti. Ora che non è più così,
banche e compagnie nicchiano, e affiora la loro natura
di enti alieni ai rischi imprenditoriali. Tutto ciò potrebbe far lievitare i
prezzi delle fideiussioni ben oltre livelli ragionevoli. Inoltre non è
impossibile che le compagnie che
concedono le polizze intendano a loro volta riassicurarsi, con ulteriore crescita delle spese necessarie.
Un’altro
punto centrale è, ovviamente: “chi pagherà la
fideiussione?”. Se fossimo ancora in una fase di crescita impetuosa delle
quotazioni immobiliari, sarebbe facile affermare che il costo verrà comunque scaricato sull’acquirente dell’immobile. Oggi
che i valori sono al top la risposta non è più scontata,
perché i margini di lievitazione del prezzo finale sono risicati. In qualche
caso (convenzioni urbanistiche con prezzi finali di acquisto
prefissati dagli enti pubblici) “caricare” il prezzo sarà impossibile.
Come farsi rimborsare
Il diritto al rimborso
scatta quando c’è una “situazione di crisi”. Cioè
quando il costruttore sia sottoposto o sia stato sottoposto ad esecuzione
immobiliare, in relazione all'immobile oggetto del contratto, ovvero a
fallimento, amministrazione straordinaria, concordato preventivo, liquidazione
coatta amministrativa (vedi glossario).
Il candidato acquirente
formulerà richiesta scritta a chi ha offerto la garanzia fideiussoria
(banca od assicurazione) , allegando la documentazione
che dà prova del suo credito, ovvero dell’entità di tutti i versamenti
effettuati al costruttore e del verificarsi di una delle situazioni di crisi
previste dalla legge. La richiesta dovrà essere inoltrata al domicilio del
garante a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
La nuova norma vieta
che il garante opponga al creditore-acquirente il
cosiddetto “beneficio dell’escussione preventiva del debitore principale”, cioè
gli chieda di dimostrare che ha messo in opera ogni azione per ottenere
indietro il denaro dal costruttore o dal promotore immobiliare. Neanche il
mancato pagamento da parte della ditta edile dei premi assicurativi o delle
commissioni per la fideiussione è motivo di diniego del rimborso.
L’importo dovuto deve
essere liquidato entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta. In caso
di mancato rispetto di questo termine il garante dovrà farsi carico delle spese
necessarie ad ottenere la restituzione sostenute
dall’acquirente, oltre che dei relativi interessi. In tal casi l’acquirente
potrà richiedere al giudice un procedimento ingiuntivo, immediatamente
esecutivo.
Glossario
Amministrazione straordinaria. Procedura concorsuale valida per le grandi imprese che abbiano
concrete possibilità di essere risanate. Requisiti sono avere almeno 200
dipendenti, la dichiarazione dello stato di insolvenza
e debiti superiori a due terzi dell’attivo e ai due terzi del fatturato.
Concordato preventivo. Procedura più “morbida”
del fallimento, che scatta dopo la valutazione di ammissibilità
disposta dal tribunale di una richiesta dell’imprenditore che propone ai suoi
creditori il concordato nel quale offre serie garanzie reali o personali di
pagare almeno il 40% dell'ammontare dei crediti entro sei mesi dalla data di
omologazione del concordato stesso. Il Tribunale nomina per gestirlo il
commissario giudiziale.
Esecuzione immobiliare Procedura promossa,
avanti al Giudice dell’esecuzione del Tribunale del circondario in cui è
situato l’immobile, dal creditore munito di titolo esecutivo, che ha eseguito
il pignoramento dei beni immobili di proprietà del debitore esecutato. Entro novanta giorni
dalla notifica del pignoramento al debitore, il creditore procedente deve
presentare in Cancelleria l’istanza di vendita
dell’immobile pignorato e la relativa documentazione ipotecaria e catastale.
Fallimento. Procedura che riguarda gli imprenditori che si trovano in stato di
insolvenza senza chei il creditore abbia potuto o
saputo trovare soddisfazione altrimenti. Lo scopo è la liquidazione del
patrimonio dell’imprenditore: si prende avvio dall’istanza
di fallimento che il creditore presenta presso la cancelleria fallimentare del
Tribunale nel quale ha sede l’azienda debitrice. In seguito un giudice delegato
dal Presidente del Tribunale sente le ragioni del fallendo e ne riferisce al
collegio, riunito in camera di consiglio. Se sussistono i presupposti
il Tribunale, con sentenza, dichiara il fallimento, nomina il giudice
delegato ed il curatore. Il curatore, che è una figura non prevista nel
tradizionale processo d’esecuzione, ha, tra l’altro, il compito di procedere
alla liquidazione di tutte le attività del fallito
Liquidazione coatta amministrativa. Differisce dal
fallimento perché è una particolare procedura sottoposta al controllo del
potere esecutivo e non dell’autorità giudiziaria, applicabile solo a enti pubblici o a imprese specificamente
individuate, al fine di tutelare gli interessi economici e sociali connessi
all'attività dei soggetti stessi.
Fonte: Ufficio
Studi Confappi-Federamministratori
Fondo di solidarietà:
quanti gli indennizzati?
Al Fondo di solidarietà avranno accesso
gli acquirenti che hanno subito situazioni di crisi non concluse
dal 1994 in poi, né aperte in data successiva a quella di emanazione del
decreto legislativo. . Il fondo, gestito dalla Consap,
si finanzia con una quota dell’importo della fideiussione, a carico dei
costruttori, che per il primo anno sarà del 4 per mille e per i successivi
resta da stabilire per decreto (con un limite massimo
del 5 per mille). Il fondo si potrà sostituire al cittadino
vittima del fallimento per il recupero di eventuali somme, nei limite
degli indennizzi a lui pagati. I contributi obbligatori sulle fideiussioni saranno dovuti per un periodo massimo di quindici anni,
trascorsi i quali il Fondo cesserà di fatto di rastrellare risorse per i suoi
scopi e pertanto gli acquirenti truffati non disporranno di ulteriori
contributi per essere risarciti.
La domanda chiave, quindi, diventa: in che
misura le vittime dei fallimenti passati potranno
essere indennizzate? Va subito premesso che alla sua nascita il Fondo sarà una
cassaforte vuota, destinata via via a riempirsi con
il contributo sulle fideiussioni, senza oneri per lo Stato né per il
finanziamento né per i costi di gestione da parte della Consap.
Quindi occorrerà attendere, prima che vi sia denaro disponibile e comunque il flusso di entrate sarà più robusto in tempi di
boom immobiliare e più flebile in situazioni di crisi (quali quelle che molti
prevedono per l’immediato futuro). Sarebbe comunque
ingenuo credere che il risarcimento dei “truffati” sarà consistente o avverrà
in tempi brevi. Se davvero 200 mila persone sono state vittime dei fallimenti
immobiliari, e ciascuna ha perso decine e decine di milioni di vecchie lire, è facile calcolare un prelievo del quattro per mille sarà
insufficiente per indennizzarle totalmente.
Ma
vediamo più in dettaglio in funzionamento del Fondo. Prima di presentare la
richiesta di indennizzo occorrerà attendere
l’emanazione di un decreto ministeriale che ne definirà i contenuti e la
documentazione da allegare. Dalla data di emanazione
ci sarà tempo sei mesi (salvo proroghe) per fare la domanda, anche su supporto
telematico. Entro altri sei mesi (termine ordinatorio, e quindi di fatto
dilazionabile) la Consap dovrà ripartire, in base
alle richieste pervenute, le risorse del Fondo tra le varie aree interregionali
in cui il Fondo stesso sarà articolato. Supponendo, per esempio, che una di
queste aree comprenda Val d’Aosta, Piemonte e Liguria,
la sezione del Fondo che si riferisce a queste tre regioni gestirà
proporzionalmente tanto più denaro destinato agli indennizzi, quanto più
richieste di risarcimento saranno pervenute dalla tre regioni interessate.
Inevitabilmente
l’indennizzo avverrà “a rate”. Si identificherà cioè
la somma a cui ogni vittima dei fallimenti avrà diritto per poi dare il via al
rimborso via via che i fondi, rastrellati con il
contributo obbligatorio sulle fideiussioni, si saranno resi disponibili. Ci
vorranno quindici o più anni prima che si arrivi a
ottenere l’indennizzo per intero.
Requisiti
per l’accesso al fondo sono comunque:
1) che
l’immobile non sia abusivo;
2) di
non aver acquisito la proprietà nonché altri diritti sull’immobile (salvo che
la si sia acquisita in seguito a transazioni con gli organi della procedura
concorsuale o la sia acquistata all’asta fallimentare. In tal caso è
rimborsabile solo ciò che si è pagato in più rispetto al prezzo originariamente
previsto).
Per la Conafi,
l’associazione delle vittime dei fallimenti andrebbero
resi meno rigidi questi due requisiti. Il primo perché molti
acquirenti possono aver creduto, in perfetta buona fede, alla regolarità
edilizia dell’immobile. Il secondo, perché chi è giunto al rogito
d’acquisto, ma si è visto costretto ad accollarsi il pagamento di un’ipoteca
non frazionata tra tutti gli acquirenti, è ingiustamente discriminato rispetto
alle altre vittime dei fallimenti. Infatti, per la
legislazione attuale, ciascuno dei cittadini si può trovare a rispondere
"in solido" dell'intera cifra garantita dall’ipoteca: una norma
intesa a tutelare i creditori, che però finisce per avere effetti devastanti.
Un ombrello che non copre tutti.
Il decreto legislativo
varato fa fare un enorme passo avanti alla tutela del consumatore acquirente ma
non è uno scudo che può proteggerlo da ogni rischio.
Nessuna tutela è
pensabile ad esempio per chi versi somme in nero, per ridurre l’imposizione
fiscale al momento dell’acquisto. In compenso ci saranno meno motivi per
evadere, perché oltre al rischio di
essere presi dal Fisco con le mani nel sacco (cosa che accade di rado) cioè quello di non vedersi restituito tutto quello che hanno
anticipato in caso di crisi del costruttore.
Benché poi il decreto elenchi
una lunga serie di clausole e di allegati da inserire
nel preliminare di acquisto e nel rogito, è dubbio che possano essere garantite
da fideiussione le somme anticipate con una proposta irrevocabile di acquisto,
cioè con un atto unilaterale in cui solo l’acquirente si impegna a comprare (la
cosiddetta “prenotazione”) e per garantire la sua buona volontà versa una
somma.
Va poi notato che il
decreto legislativo elenca, tra i dati da citare “gli estremi del permesso di
costruire o della sua richiesta se non ancora rilasciato” e tra i documenti da
allegare “gli elaborati del progetto in base al quale
è stato richiesto o rilasciato il permesso di costruire”. Non vi è dubbio che
c’è una bella differenza tra un permesso solo richiesto e uno
rilasciato. Perciò anche in futuro l’acquirente si potrà impegnare ad
acquistare un immobile che non è esattamente quello che si aspettava di
comprare, perché per esempio il Comune ha negato il permesso di costruire o ha comunque imposto delle varianti al progetto.
Se
è vero che evitando di garantire ai costruttori una certa flessibilità nel
completare le pratiche di costruzioni si rischiava di congelare il mercato,
resta altrettanto certo che un permesso di costruire o una Superdia già
rilasciati restano consigliabili per l’acquirente.
Un ulteriore
dubbio è: cosa accadrà se un contratto non contiene tutti gli elementi previsti
dall’articolo 6? Il decreto nulla afferma a proposito e, a quanto sembrerebbe,
la “lacuna” è voluta. Non si è inteso infatti ingessare troppo l’operato dei giudici di merito
che, motivatamente, potranno decidere volta per volta se la mancanza di uno dei
requisiti previsti nel preliminare è una semplice irregolarità, sanabile dietro
richiesta del compratore (che potrà anche pretendere il pagamento di eventuali
danni) e quando invece si tratti di qualcosa di più grave, e ci si debba
richiamare all’articolo 1418 comma 1 del codice civile che definisce nullo il
contratto contrario a nome valutate come imperative. In caso di
inserimento di clausole da qualificarsi come “vessatorie”, potrà anche
sorgere il caso di nullità di una singola clausola. .