Comunione e separazione del beni tra coniugi
Matrimonio fa rima con patrimonio e
comunione con confusione. Sono solo due
giochi di parole, ma sintetizzano con efficacia i due principali nodi con cui
si scontra la “famiglia spa” nella sua organizzazione
economica. Il primo è che la scelta di vivere ufficialmente in coppia ne
prevede un’altra: quella del regime patrimoniale della famiglia. O, per essere più precisi, la vera scelta è quella di separare
i beni tra i coniugi, perché se non si decide nulla a proposito, moglie e
marito saranno in comunione dei beni (anche se resta la possibilità di cambiare
idea in seguito).
Il secondo gioco di parole (comunione
uguale confusione) fotografa un dato di fatto: mentre la separazione dei beni è
(quasi) pari a un rapporto tra estranei, in cui è semplicissimo dire cosa
appartiene all’uno e cosa all’altro, nel regime di comunione può essere molto
difficile stabilirlo con certezza. Ciò non significa, però, che la comunione sia da scartare, perché, come tutti sanno, protegge meglio
il coniuge più debole, cioè quello meno ricco: non solo nel caso in cui il matrimonio vada a
monte (separazione legale o divorzio), ma anche in quello in cui uno dei due
passi a miglior vita.
Queste premesse bastano per capire che nel
dilemma comunione-separazione la vera cosa da chiarire è: “comunione
dei beni, cos’è?” O, meglio, “quali beni sono in comunione?”, perché la
separazione si definisce da sé.
Beni prima del matrimonio I beni di cui ciascuno era proprietario prima
del matrimonio restano suoi. Lo sono anche i beni acquistati durante il
matrimonio, ma con il denaro ricavato dalla vendita di un bene personale.
Problemi. La prima affermazione pone una
questione: “è sempre possibile dimostrare se un bene
era proprio prima del matrimonio? Se si tratta di un immobile, di un auto o di un titolo azionario, certamente sì, perché
esiste un ufficiale passaggio di proprietà. Se si tratta di un quadro, un
mobile, un gioiello, si dovrà ricorrere a fotografie riprese nella casa da
scalpo o nubile, o testimonianze (di chi ce l’ha
venduto, di un amico), che possono essere contraddette con altre testimonianze
compiacenti.
La seconda questione è ancor più spinosa: come è possibile dimostrare che i soldi che io, coniuge in
comunione, utilizzo,. mi provengono da vendite di cose
mie? Se manca questa prova, infatti, il bene
acquistato è “presunto” in comunione. Sono in pochi che se ne preoccupano per
tempo. Bisognerebbe che, se una persona acquista con
beni personali un immobile, sia presente al rogito anche la moglie o al marito,
e quest’ultimo riconosca l’esclusiva proprietà sulla
casa. Oppure che sia il titolo di stato,
l’azione o l’obbligazione di proprietà “privata” venduto ,
che quello ricomprato con i proventi della vendita, stazionino in un
portafoglio separato e intestato solo al coniuge interessato. Ma attenzione: quel particolare conto non deve essere
rimpinguato con altro denaro nel corso del matrimonio, altrimenti la confusione
ricomincia.
Beni avuti in eredità o donazione durante
il matrimonio. Anch’essi sono esclusi dalla
comunione, perché su suppone che chi ha lasciato l’eredità o fatto il dono abbia
voluto beneficare solo uno dei due (altrimenti li avrebbe dati ad entrambi).
Vale anche in questo caso il discorso che il ricavato dalla vendita di un bene
donato o ereditato resta proprio, anche se reinvestito
in un riacquisto durante il matrimonio.
Problemi. Un bene donato è,
in teoria, facile da identificare, perché una donazione di grande
valore andrebbe fatta con atto notarile
(anche se non sempre ciò accade). Accertare che un bene diverso da un immobile
sia stato ereditato, invece, non è spesso facile, perché in questo caso non
occorre fare la dichiarazione di successione. Valgono inoltre le stesse
difficoltà per provare la provenienza
del ricavato della vendita del bene ereditato o avuto
in dono che abbiamo elencato prima.
Beni di uso strettamente personale. Sono quelli che servono strettamente a
ciascuno (per esempio gli abiti , una borsetta o un orologio).
Problemi. Possono
sorgere per un oggetto personale di grande valore (per
esempio un gioiello). Se vada visto più come investimento o come bene
personale, va valutato caso per caso, anche a seconda del
reddito familiare.
Beni strumentali alla professione . Sono quegli oggetti e quegli immobili che, per
loro natura, sono destinati ad essere utilizzati per un’attività produttiva di
reddito da uno dei due coniugi. Quindi, per esempio, i
macchinari e i locali di una fabbrica, il computer e l’arredamento di un
ufficio. Quel che può stupire è che essi sono del solo coniuge che li
utilizza perfino quando sono stati acquistati con il denaro della comunione. A meno che, naturalmente, l’azienda appartenga ad entrambi.
Problemi. Le
giustificazioni dell’attribuzione a un solo coniuge
sono due. La prima è che la comunione così “finanzia” il coniuge che, con
questi beni, produce un reddito utile alla coppia. La seconda è che così si
garantiscono i creditori in caso di fallimento. Comunque
sono intuibili i problemi che possono sorgere, nel caso in cui un coniuge
faccia uso dissennato dei soldi familiari per investirli in attività poco
solide. .Come vedremo, però, un parziale “correttivo” è
posto dalle norme sulla comunione residuale.
Risarcimenti, pensioni d’invalidità. Sono
strettamente personali,. perché tendono a coprire un
danno subìto da uno solo dei due.
Problemi. I caso di contestazioni, va provata la proprietà
esclusiva.
La comunione residuale.
Vi sono beni che appartengono a uno solo, ma in certe circostanze divengono di entrambi.
La principale è lo scioglimento della
comunione. Esso accade in quattro casi:
1)
se dalla comunione si passa alla
separazione dei beni (i coniugi cambiano idea);
2)
se c'è separazione legale (l'anticamera del
divorzio);
3)
se uno dei due coniugi fallisce;
4)
se uno dei due coniugi muore.
Ecco cosa riguardano.
Guadagni da un’attività. I guadagni appartengono
a chi li fa, che li può spendere liberamente anche per oggetti o attività privi
di stretta utilità o senso (una collezione di farfalle, un viaggio alle
Maldive, un vino pregiato, un’auto di lusso). Si può trattare dello stipendio,
dei ricavi commerciali, del ricavo dalla locazione di un appartamento
personale.
Resta comunque
l’obbligo al mantenimento del coniuge e all’assistenza reciproca (valido del
resto anche in caso di separazione di beni).
Però se i guadagni,
invece di essere spesi, sono investiti, divengono parte della comunione. E’ il
caso di quelli utilizzati per acquistare una prima o seconda casa, per
ristrutturarla, per arredarla.
Beni strumentali all’attività aperta
durante il matrimonio. Avevamo detto che sono di chi la gestisce. .
Tuttavia, se la comunione si scioglie, i beni strumentali di un’azienda costituita dopo il matrimonio ritornano ad essere di
entrambi.
Sviluppi di un attività
di uno solo. Un’azienda o un’attività, anche se di proprietà e gestita
da un solo coniuge, può ingrandirsi
durante il matrimonio in comunione (per esempio un negozio raddoppia le
vetrine, una fabbrica i capannoni). Questo sviluppo (e
solo questo) appartiene entrambi. O
meglio, resta del solo coniuge che
esercita l’attività, finché si è in comunione dei beni, ma passa a entrambi in caso di
scioglimento della comunione. Infatti la legge
considera un apporto al miglioramento dell’attività anche l’attività della
casalinga, che con il suo lavoro consente al marito di scrollarsi di dosso le
grane della vita quotidiana (pulizia della casa, cura dei figli, cucina e via
elencando).
Problemi. La comunione
residuale (più conosciuta con l’espressione latina “de residuo”) è uno strumento che tenta di conciliare i
bisogni del coniuge più debole con quelli del progresso economico. E ci riesce poco. Se i due sposi
filano d’amore e d’accordo, non c’è ragione di ricorrervi. Se hanno gravi
screzi, è ben chiaro che chi tiene ben saldo in pugno il timone di un’azienda o
di un’attività ha mille e uno sistemi per far sparire
tutti i soldi che vuole: se è il caso può anche far fallire un’attività per
riaprirne un’altra dopo la separazione, con i soldi accumulati in un conto
corrente secretato.
Comunione: il coniuge sopravvissuto è
favorito.
Il codice civile
detta regole ben precise sulle quote di eredità a cui si ha diritto, in
caso di morte di uno dei nostri cari. Se non c’è
testamento sono imposte certe quote, a favore soprattutto di moglie e figli. Ma
anche se c’è testamento, i familiari più stretti possono comunque
far valere il loro diritto a una certa parte dell’eredità (la legittima) ,
mentre chi è passato a miglior vita può decidere liberamente solo per il resto
del suo patrimonio (la cosiddetta quota disponibile)
E’ però chiaro che un coniuge in comunione
è privilegiato rispetto a uno in separazione dei beni,
perché una fetta maggiore del patrimonio familiare è, in genere, considerata
sua.
Problemi In caso di
comunione legale, i figli possono ereditare molto meno (cosa che può essere
giusta o ingiusta, a seconda dei punti di vista). Comunque, date le difficoltà nell’identificare cosa era di
un solo coniuge e cosa di tutti e due, crescono anche i motivi di contrasto e
di cause legali tra gli eredi.
Altri regimi.
Pochi lo sanno, ma comunione e separazione
dei beni non solo le uniche due alternative. La
riforma del diritto di famiglia ne identifica altre due, la comunione
convenzionale e il fondo patrimoniale. Se si guarda a
quanti vi fanno ricorso (pochissimi), non varrebbe nemmeno la pena di specare fiato a proposito. Lo facciamo perché, invece, per
molti sarebbero strumenti davvero utili.
Comunione convenzionale. E’ un po’ il “fai da te” del regime della
famiglia, volto però a proteggere di più il coniuge economicamente debole. . In
sostanza si può ampliare la comunione (per esempio ai beni ereditati o a quelli
posseduti prima del matrimonio), con alcune eccezioni però: resta impossibile
mettere in comunione i beni strettamente personali, quelli per l’esercizio
dell’attività nonché i risarcimenti danni e le
pensioni d’invalidità. Non è possibile nemmeno fissare quote interne alla
comunione differenti (per esempio a uno il 40% e
all’altro il 60%).
Fondo patrimoniale. Ha senso
costituirlo solo quando uno dei due coniugi o entrambi hanno un’attività a rischio,
di tipo commerciale o imprenditoriale. In sostanza nel fondo si fanno confluire
dei beni volti a soddisfare i bisogni della famiglia, che restano inattaccabili
dai creditori . Più esattamente, non dai creditori
della famiglia stessa (per esempio una banca con cui si sia acceso un mutuo per
acquistare una casa), ma dai creditori di un’attività produttiva in via di
fallimento (particolarmente se si tratta di una ditta individuale o di una società
di persone, come quella semplice, ad accomandita semplice, in nome collettivo,
che sono le più attaccabili).
Il fondo dura fino a
un eventuale divorzio o alla morte di uno dei coniugi (ma perdura comunque fino
alla maggiore età di eventuali figli).
Accordi matrimoniali. Come si è
tentato di spiegare, la comunione dei beni è un meccanismo complesso e che
funziona piuttosto male: tant’è vero che la scelta
della separazione va espandendosi via via in tutt’Italia,
anche se un po’ più nel Nord e comunque nelle famiglie con redditi elevati.
Quindi addolcire la scelta della separazione dei beni con accordi interni alla
coppia che difendano efficacemente il coniuge
svantaggiato sarebbe davvero l’ideale.
Si tratta di ripartire i patrimoni di
ciascuno in misura più equa. Non mancano certo i modi per farlo. Per esempio, trasformando la casa singola in proprietà comune o
l'impresa individuale in familiare o utilizzando l’opportunità che, da ottobre
2001, le donazioni pagano poco o nulla al Fisco. Qualche costo ci può essere
(l’onorario di un notaio, il pagamento di imposte
ipotecarie e catastali al trasferimento di immobili), ma il gioco può valere la
candela.