Cass_30_12_99_n_943 Condominio, regolamento Validità; necessità dell’atto in forma scritta; la stessa forma scritta è richiesta a pena di nullità non solo al momento dell’originaria verbalizzazione del regolamento, ma anche per l’ipotesi di modificazioni successive, in virtù di nuove clausole sostitutive di quelle originarie. Cass. civ., sent. n. 943/S.U., 30 dicembre 1999, Sez. Unite Motivi della decisione 1. Con i primi tre motivi, denunziandosi la violazione degli artt. 1050, 1058, 1067, 1073, 1138, 1336, 1337, 1350 e 1362 cod. civ. e il vizio di omessa e insufficiente motivazione in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., si censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello ritenuto erroneamente modificabile per fatti concludenti la clausola del regolamento contrattuale dell’edificio condominiale la quale vietava la sosta dei veicoli nel cortile comune con la sola eccezione di quella necessaria per lo scarico delle merci e per il lavaggio e la manutenzione dei mezzi di trasporto appartenenti ai proprietari delle autorimesse. In contrario si sostiene che la clausola del regolamento, essendo di natura contrattuale, si sarebbe potuta modificare solo con il consenso unanime dei condomini manifestato in forma scritta e che, comunque, non si erano verificati dei fatti concludenti rivelatori della volontà di tutti i partecipanti alla comunione di modificare detta clausola, perché la invalida deliberazione assembleare maggioritaria del 23.1.1974, abolitrice del divieto di sosta, era stata abrogata dalle successive deliberazioni. Si soggiunge che: con la clausola regolamentare si erano costituiti degli oneri reali o delle servitù prediali a carico del cortile comune e che per la sua modifica si richiedeva, perciò, una convenzione scritta, firmata da tutti i condomini; la deliberazione autorizzativa della sosta era illegittima anche perché questa costituiva un vero e proprio impedimento e non un semplice ostacolo al godimento del diritto di accesso alle autorimesse. 2. Ad avviso delle Sezioni Unite è opportuno, innanzi tutto, precisare che è stata da tempo abbandonata l’opinione secondo cui sarebbero di natura contrattuale, quale che sia il contenuto delle loro clausole, i regolamenti di condominio predisposti dall’originario proprietario dell’edificio e allegati ai contratti d’acquisto delle singole unità immobiliari, nonché i regolamenti formati con il consenso unanime di tutti i partecipanti alla comunione edilizia (v. sentt. n. 2275/1968, n. 882/1970). La giurisprudenza più recente e la dottrina ritengono, invece, che a determinare la contrattualità dei regolamenti siano esclusivamente le clausole di essi limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive (divieto di destinare l’immobile a studio radiologico, a circolo ecc.) o comuni (limitazioni all’uso delle scale, dei cortili ecc.), ovvero quelle clausole che attribuiscano ad alcuni condomini dei maggiori diritti rispetto ad altri (sentt. n. 208/1985, n. 3733/1987, n. 854/1997). Quindi il regolamento predisposto dall’originario, unico proprietario o dai condomini con consenso totalitario può non avere natura contrattuale se le sue clausole si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni pure se immobili. Conseguentemente, mentre è necessaria l’unanimità dei consensi dei condomini per modificare il regolamento convenzionale, come sopra inteso, avendo questo la medesima efficacia vincolante del contratto, è, invece, sufficiente una deliberazione maggioritaria dell’assemblea dei partecipanti alla comunione per apportare variazioni al regolamento che non abbia tale natura. E poiché solo alcune clausole di un regolamento possono essere di carattere contrattuale, l’unanimità dei consensi è richiesta per la modifica di esse e non delle altre clausole per la cui variazione è sufficiente la delibera assembleare adottata con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, comma 2, cod. civ. Ciò premesso, per risolvere la questione sulla quale vi è contrasto tra le pronunce di questa Corte, è necessario accertare se per la formazione del regolamento di condominio (contrattuale e non contrattuale) sia o no richiesta una forma determinata. Le Sezioni Unite ritengono che la forma sia quella scritta ad substantiam e che, perciò, non possa condividersi il contrario orientamento per il quale il requisito formale non è preteso non essendo imposto da alcuna norma e, in ogni caso, sarebbe prescritto ad probationem e non per la validità del regolamento. Un regolamento di condominio non contenuto nello scritto è inconcepibile perché l’applicazione delle sue disposizioni, a volte di incerta interpretazione, e la sua impugnazione sarebbero difficili se non impossibili in assenza di un riferimento documentale. Inoltre, per la necessità della forma scritta militano le seguenti osservazioni: l’art. 1138 cod. civ. prevede la trascrizione del regolamento nel registro di cui all’art. 71 disp. att. cod. civ., in deposito presso l’associazione professionale dei proprietari di fabbricati, e questa previsione rivela la volontà del legislatore di richiedere il requisito formale anche se la norma è divenuta inapplicabile presupponendo la sua operatività l’esistenza dell’ordinamento corporativo non più in vigore; per l’art. 1136, comma 7 cod. civ. deve redigersi processo verbale, da trascrivere in un registro conservato dall’amministratore del condominio, di tutte le deliberazioni dell’assemblea dei partecipanti alla comunione e, quindi, anche della delibera di approvazione del regolamento a maggioranza; e, per la identità di ratio deve essere, altresì, depositato presso l’amministratore il documento contenente il regolamento; la tesi secondo cui la forma scritta sarebbe richiesta solo ad probationem non merita adesione. Infatti, accertato che il regolamento deve essere racchiuso in un documento, la scrittura costituisce un elemento essenziale per la sua validità in difetto di una disposizione che ne preveda la rilevanza solo probatoria, presupponendo questa, per la sua eccezionalità, un’espressa previsione normativa nella specie mancante; la forma scritta per la validità del regolamento contrattuale è poi fuori discussione, incidendo le sue clausole sui diritti che i condomini hanno sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva o comune. Ritenuto che il regolamento di condominio per essere valido debba risultare da atto scritto, è indubbio che la stessa forma sia richiesta per le sue modificazioni perché queste, risolvendosi nell’inserimento nel documento di nuove clausole in sostituzione delle originarie, non possono non avere i medesimi requisiti di esse. E tanto più la forma scritta è indispensabile se le variazioni riguardino le clausole di un regolamento contrattuale che impongano limitazioni ai diritti immobiliari dei condomini, in quanto queste integrano per la giurisprudenza oneri reali o servitù prediali da trascrivere nei registri della Conservatoria per l’opponibilità ai terzi acquirenti di appartamenti dello stabile condominiale (sentt. n. 1091/1968, n. 2408/1968, n. 882/1970). Gli argomenti addotti per dimostrare la necessità della forma scritta per la validità del regolamento di condominio (contrattuale o non convenzionale) sono, perciò, idonei a risolvere, nello stesso senso, anche il contrasto insorto in ordine alla forma richiesta per le modifiche da apportare a esso. Le sentenze di questa Corte, con le quali si è deciso che il consenso di tutti i condomini per la validità ed efficacia delle modifiche di clausole dei regolamenti contrattuali può essere manifestato anche con comportamenti concludenti, si fondano sulla regola generale della libertà delle forme operante in tema di atti e negozi giuridici (art. 1322 cod. civ.) e, nel caso di modifiche dei criteri di ripartizione delle spese condominiali, anche sulla non incidenza della clausola regolamentare su situazioni di diritto reale (sentt. n. 4774/1977, n. 7884/1991); ma si tratta di argomenti superati da quelli posti a base della conclusione per la quale le variazioni del regolamento di condominio richiedono che il consenso (unanime o maggioritario se il regolamento non è contrattuale) dei partecipanti alla comunione sia espresso nella forma scritta a pena di nullità. Nella specie, la Corte di appello non si è adeguata a questo principio perché ha ritenuto che la clausola (n. 3) contrattuale del regolamento di condominio dell’edificio di via … in …, con la quale si era vietata la sosta dei veicoli nel cortile comune, era stata modificata dal comportamento concludente di tutti i condomini i quali avevano dato costante esecuzione all’invalida deliberazione maggioritaria della loro assemblea (del 23.1.1974) che aveva autorizzato la sosta, essendosi con essa stabilito che: “Per il posteggio nel cortile le auto dovranno essere parcheggiate a spina di pesce”. Pertanto, i primi tre motivi, essendo fondati, devono essere accolti e, in relazione a essi, si deve cassare la sentenza impugnata e rinviare la causa per un nuovo esame ad altra sezione della stessa Corte d’appello la quale, oltre a provvedere sulle spese di questo giudizio nei rapporti tra il ricorrente e i condomini controricorrenti, si uniformerà, nel decidere al seguente principio di diritto: “Per la modifica di clausole del regolamento di condominio contrattuale è richiesto il consenso, manifestato in forma scritta ad substantiam di tutti i partecipanti alla comunione”. Poiché il ricorso è stato assegnato dal Primo Presidente alle Sezioni Unite per la sola decisione della questione risolta in modo divergente dalle sezioni di questa Corte, si dispone la trasmissione degli atti alla II Sezione civile (alla quale il ricorso era stato inizialmente attribuito) per l’esame e la decisione del quarto e ultimo motivo che risulta essere estraneo alla materia oggetto del contrasto. Con esso, infatti, si critica la conclusione della Corte d’appello secondo cui la responsabilità degli amministratori di condominio per il loro operato dovrebbe essere fatta valere necessariamente con il ricorso previsto dallo stesso art. 1133 cod. civ. (Omissis)