Cass_4799_01 Sentenza n.4799 del 2 aprile 2001 Incendio dell'immobile locato - presunzione di colpa a carico del conduttore (Sezione Terza Civile - Presidente G. Fiduccia - Relatore F. Trifone) In caso di incendio, la presunzione di colpa, sancita dall'art. 1588, 1° comma, cod.civ. a carico del conduttore, può essere vinta solo mediante la dimostrazione che la causa dell'incendio, identificata in modo positivo e concreto, non è a lui imputabile, onde, in difetto di tale prova, la causa sconosciuta o anche dubbia della perdita o del deterioramento della cosa locata rimane a suo carico (Cass. n. 7059/82; Cass. n. 3874/83), con il conseguente obbligo risarcitorio, pur quando lo stesso conduttore non sia stato ritenuto responsabile in sede penale, giacchè ciò non comporta di per sé la identificazione della causa, essendo necessario che questa sia nota e possa dirsi non addebitale al conduttore (Cass. n. 5775/94).. E' pacifico che il risarcimento, spettante al locatore ai sensi dell'art. 1588 cod.civ., deve comprendere pure i canoni dovuti in base al contratto fino allo spirare dello stesso, come importo riconosciutogli per suo mancato guadagno in conseguenza di un evento risolutivo della locazione da lui non voluto né altrimenti determinato (Cass. n. 4794/89). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con contratto del 1° aprile 1987 L. M. riceveva in locazione dal proprietario E. R. un immobile sito in Novara per uso di magazzino commerciale e stipulava successivamente con la società (omissis) polizza assicurativa per i danni che avrebbero potuto subire le attrezzature, l'arredamento, la merce nonché il fabbricato in suo godimento. In data 6.5.1988 un incendio si sviluppava nel laboratorio del M. e danneggiava gravemente anche il fabbricato, per cui, a seguito di denuncia di sinistro effettuata dal conduttore M., la (omissis) offriva al proprietario locatore R., a ristoro dei danni subiti dal fabbricato, la somma di lire 64.169.480, oltre l'importo di lire 27.380.528 per supplemento di indennità da corrispondere dopo l'avvenuta riparazione dell'immobile. Con citazione del 28.12.1988 E. R. assumendo che il conduttore non aveva provveduto all'integrale risarcimento dei danni arrecatigli, avendo soltanto versato, per il tramite della società di assicurazione (omissis), somme in acconto conveniva in giudizio innanzi al tribunale di Novara esso conduttore L. M. per ottenerne la condanna al risarcimento del pregiudizio complessivamente patito, comprensivo dei danni al fabbricato e dei canoni di locazione non corrispostigli. Il convenuto contrastava la domanda, contestando la sussistenza della sua responsabilità; deduceva, comunque, che la entità dei danni arrecati all'attore doveva essere quantificata nella complessiva somma di lire 78.500.000 (secondo l'importo calcolato dalla sua società di assicurazione) e non invece determinata nella maggiore somma di lire 131.600.000, pretesa dal locatore; chiedeva, inoltre, di essere autorizzato a chiamare in causa la (omissis) perché lo manlevasse da tutte le richieste avanzate nei suoi confronti. La società (omissis), citata in giudizio, si costituiva ed eccepiva, preliminarmente, l'inammissibilità della chiamata in causa, giacché la polizza aveva ad oggetto una assicurazione contro i danni per ciò che riguardava il fabbricato, onde l'assicurato non poteva invocare alcuna garanzia di responsabilità civile. In via successivamente, gradata, la società assumeva la parziale sua carenza di legittimazione passiva, poiché la polizza in oggetto era stata emessa in coassicurazione con la società (omissis)e con ripartizione delle quote in ragione, rispettivamente, del 70% e del 30%; riteneva, in ogni caso, di avere assolto a tutti i suoi obblighi contrattuali sulla base di una valutazione peritale dei danni condotta a termini di polizza. All'esito di consulenza tecnica di ufficio, diretta a stabilire la entità dei danni, il tribunale di Novara, con sentenza del 23.5.1995, dichiarata la responsabilità del conduttore M. ai sensi dell'art. 1588 cod.civ., quantificava il danno all'immobile in lire 85.264.000; condannava il conduttore a versare all'attore, quale differenza ancora dovuta tra il suddetto importo e quanto già versato dall'istituto assicuratore, la somma di lire 21.094.520, con rivalutazione e interessi sulla somma rivalutata dall'aprile 1989 al saldo, nonché la somma ulteriore di lire 28.500.000 per lucro cessante per i canoni di locazione per il periodo dal giugno 1988 al marzo 1993; rigettava le domande del M. nei confronti della (omissis), avendo la società corrisposto la somma di lire 64.169.480, superiore alla quota del 70% del danno indennizzabile; condannava il convenuto M. alle spese del giudizio a favore del R.; compensava interamente le spese processuali tra lo stesso M. e la (omissis) Sulla impugnazione di L. M. (diretta ad ottenere, nei confronti del locatore R., declaratoria di insussistenza della sua responsabilità ai sensi dell'art. 1588 cod.civ. e di insussistenza dell'obbligo risarcitorio per canoni; nonché, nei confronti della (omissis), declaratoria di manleva anche per il restante 30% dei danni al fabbricato) e sulla impugnazione incidentale della società di assicurazione, sul capo relativo alla compensazione delle spese, la Corte di appello di Torino, con sentenza dep. il 22.4.1998, affermava la legittimazione passiva della (omissis) in ordine a tutte le pretese avanzate nei suoi confronti dal M.; dichiarava la società tenuta a corrispondere l'indennizzo per l'intero e non nella sola quota del 70%; la condannava, perciò, a corrispondere l'ulteriore importo di lire 21.094.520, da rivalutare dall'aprile 1984; confermava nel resto la pronuncia di primo grado; compensava interamente tra le parti le spese del grado. I giudici di appello ritenevano che il conduttore, ai sensi dell'art. 1588 cod.civ., non aveva dato la prova della non imputabilità dell'incendio; consideravano che il contratto di assicurazione concluso dal M. era da qualificare come vera e propria assicurazione della responsabilità civile; ritenevano che, pur risultando dallo stesso contratto in capo alla (omissis) una ripartizione proquota del rischio assicurato, non veniva chiaramente indicata come coassicuratrice l'altra società (omissis) Per la cassazione della sentenza la (omissis) e L. M. hanno proposto distinti ricorsi, affidati, rispettivamente, a due e tre motivi. Al ricorso della (omissis) resiste il M. con controricorso, contenente anche ricorso incidentale condizionato fondato su un solo motivo, questo contrastato dal controricorso della società. Resiste, altresì, con controricorso, alla impugnazione del M. nei suoi confronti, E. R.. MOTIVI DELLA DECISIONE I ricorsi, distinte impugnazioni della medesima sentenza, debbono essere riuniti. Con il primo mezzo di doglianza del ricorso n. 15693/98 il ricorrente L. M. denunciando la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all'art. 1588 cod.civ. nonché la mancata e manifesta illogicità della motivazione della impugnata sentenza su un punto decisivo della controversia anche con riferimento all'art. 1218 stesso codice lamenta che il giudice di merito, pur avendo affermato che non era stata fornita la prova che l'incendio della cosa locata era da imputare ad esso conduttore, ne aveva, tuttavia, ritenuto la responsabilità, senza considerare che in sede penale era stato escluso qualsiasi indizio a suo carico con il provvedimento di archiviazione in ordine ai reati di incendio doloso o colposo nonché alle altre fattispecie criminose di cui agli artt. 436, 437, 424, 451 e 642 cod.penale. La censura non è fondata. L'obbligo del conduttore di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nell'uso e nel godimento della cosa locata comprende essenzialmente l'adozione delle misure idonee ad evitare la perdita ed il deterioramento del bene e, tra le possibili cause di detti eventi, la norma dell'art. 1588, 1° comma, cod.civ. considera l'incendio, per cui non prevede una disciplina diversa in deroga a quella generale, anche per tale causa stabilendo che sussiste la responsabilità del conduttore qualora lo stesso non provi che la perdita o il deterioramento siano accaduti per causa a lui non imputabile. Nella interpretazione della norma la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo, più dettagliatamente,,di rilevare che la presunzione di colpa, sancita dalla citata norma a carico del conduttore, può essere vinta solo mediante la dimostrazione che la causa dell'incendio, identificata in modo positivo e concreto, non è a lui imputabile, onde, in difetto di tale prova, la causa sconosciuta o anche dubbia della perdita o del deterioramento della cosa locata rimane a suo carico (Cass. n. 7059/82; Cass. n. 3874/83), con il conseguente obbligo risarcitorio, pur quando lo stesso conduttore non sia stato ritenuto responsabile in sede penale, giacchè ciò non comporta di per sé la identificazione della causa, essendo necessario che questa sia nota e possa dirsi non addebitale al conduttore (Cass. n. 5775/94). In virtù della suddetta interpretazione la Corte di merito ha fatto corretta applicazione delle norme di cui agli artt. 1218 e 1588, 1° comma, cod.civ. né sussiste vizio di motivazione per il fatto che dalla disposta archiviazione in sede penale (per la insussistenza di indizi per reato doloso o colposo di incendio a carico del ricorrente) non sia stata tratta la conclusione di un esonero dalla responsabilità contrattuale del conduttore per la perdita dell'immobile locato a causa dell'incendio. Con il secondo mezzo di doglianza il ricorrente censura la impugnata decisione perché il giudice di merito avrebbe erroneamente posto a suo carico il pagamento dei canoni di locazione sino alla scadenza del termine pattuito della locazione, nonostante l'automatica ed immediata risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta ed il conseguente effetto estintivo dell'obbligazione per i canoni. Anche detta censura non ha pregio. E' indubbio che la perdita definitiva dell'immobile locato a seguito della totale sua distruzione, anche se dovuta ad incendio,- comporta, secondo i principi generali la estinzione della locazione, per la permanente impossibilità per il conduttore di godere del bene, con la conseguente cessazione della sua obbligazione per il corrispettivo, con riferimento al periodo successivo alla perdita dell'immobile, sino alla scadenza del rapporto, quale originariamente stabilita. Nella specie, tuttavia, siccome il giudice di merito bene ha precisato, la condanna del conduttore al pagamento di somma, pari all'ammontare dei canoni che sarebbero stati versati a titolo di corrispettivo del godimento del bene, è stata pronunciata in virtù dell'obbligo risarcitorio dei danni, derivanti dalla, risoluzione del contratto per fatto addebitabile al conduttore a titolo di inadempimento. Invero, è del tutto pacifico che il risarcimento, spettante al locatore ai sensi dell'art. 1588 cod.civ., deve comprendere pure i canoni dovuti in base al contratto fino allo spirare dello stesso, come importo riconosciutogli per suo mancato guadagno in conseguenza di un evento risolutivo della locazione da lui non voluto né altrimenti determinato (Cass. n. 4794/89). Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente M. - denunciando la violazione della norma di cui all'art. 1227 cod.civ. nonché il difetto di motivazione sul punto - assume che la Corte di merito non aveva i: provveduto a diminuire l'ammontare della somma, liquidata per danni al locatore, in proporzione al concorso del fatto colposo del creditore R., che, al fine di edificare un capannone notevolmente più grande di quello distrutto, aveva, perciò, allungato di molto i tempi per la ricostruzione dell'immobile, in tal modo venendo meno al suo dovere di agire con l'ordinaria diligenza per limitare il danno cagionatogli. Il motivo non è fondato. In tema di interpretazione della norma di cui all'art. 1227 cod.civ., questa Corte, in indirizzo ormai del tutto pacifico (da ultimo: Cass. n. 1684/99; Cass. n. 12267/92), distingue l'ipotesi del fatto colposo del creditore, che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso, regolata dal primo comma, da quella, disciplinata dal secondo comma della stessa norma, riferibile al comportamento dello stesso danneggiato, che, omettendo di usare la dovuta ordinaria diligenza, abbia prodotto un aggravamento del danno senza contribuire a causarlo ovvero non abbia contribuito a ridurne la entità dopo che il fatto produttivo di esso si era già verificato; con la conseguenza che mentre nella ipotesi del primo comma il giudice deve proporsi di ufficio l'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali possa essere ricavata la colpa concorrente causale dello stesso; nella ipotesi di cui al secondo comma della norma, nella quale il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo do vere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede, la relativa eccezione integra una eccezione in senso stretto, che non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di cassazione. Del principio di cui al secondo comma dell'art. 1227 cod.civ. certamente deve farsi applicazione anche in tema di contratto di locazione, onde, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, il locatore ha titolo per pretendere per danni quanto avrebbe potuto conseguire se le obbligazioni fossero state adempiute, detratto, tuttavia, l'utile ricavato (o che con l'uso della normale diligenza avrebbe potuto ricavare) dall'immobile nel periodo intercorso tra la risoluzione anticipata del contratto ed il termine di convenzionale durata del rapporto inadempiuto. Tuttavia, nel caso di specie, non avendo il ricorrente mai eccepito nel giudizio di merito che il danno non poteva comprendere anche il pregiudizio che il locatore avrebbe potuto evitare usando della sua normale diligenza, il motivo di ricorso deve considerarsi inammissibile sotto entrambi i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione. Il ricorso n. 15693/98 del M. deve, perciò, essere rigettato. Con il primo mezzo di doglianza del ricorso n. 14217/98 la ricorrente società (omissis) denunciando, in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. la violazione e la errata applicazione delle norme di cui agli artt. 1911, 1888 e 1362 cod.civ. ed all'art. 116 c.p.c. nonché la omessa, incongrua ed illogica motivazione sul punto decisivo della controversia relativo alla sussistenza del riparto coassicurativo ed alle conseguenze di esso critica la impugnata sentenza e ne chiede a riguardo l'annullamento, in quanto, pur in presenza di una ripartizione del rischio assicurativo pro-quota tra essa società istante e la società (omissis), la Corte territoriale aveva escluso la esistenza della coassicurazione ex art. 1911 cod.civ. nella considerazione che il contratto era stato sottoscritto soltanto dalla (omissis) che non risultava mai indicata la "veste" che la coassicuratrice avrebbe assunto verso l'assicurato; che, dovendosi ritenere, in base alla interpretazione del contratto in senso favorevole all'assicurato, che alla coassicuratrice (omissis) era stata attribuita, quale delegataria, l'intera legittimazione processuale, conseguentemente la stessa compagnia di assicurazione, legittimata a resistere alla intera pretesa del danneggiato, doveva essere condannata a manlevare l'assicurato M. in ordine a tutti i danni relativi al capannone, salvo l'eventuale diritto di rivalsa nei confronti dell'altro assicuratore quanto al recupero della quota di indennizzo di pertinenza della coassicuratrice (omissis). La censura è fondata e deve essere accolta, con la conseguente cassazione, sul punto, della sentenza impugnata e con il rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Secondo la nozione che ne dà la norma dell'art. 1911 cod.civ., il contratto di coassicurazione si ha qualora la medesima assicurazione o l'assicurazione di rischi relativi alle medesime cose "sia ripartita tra più assicuratori per quote determinate", per cui ciascun assicuratore è tenuto al pagamento dell'indennità assicurata soltanto in proporzione della rispettiva quota, anche se unico è il contratto, sottoscritto da tutti gli assicuratori. Si realizza in tal modo -siccome bene è stato evidenziato in dottrina- una struttura oggettivamente unitaria del negozio (avente ad oggetto il medesimo rischio ovvero rischi diversi riguardanti lo stesso bene), ma soggettivamente composita dal lato degli assicuratori, che, d'accordo tra loro e con il contraente assicurato, prestano la garanzia frazionatamente, in misura della rispettiva concordata partecipazione al rischio, per cui, in presenza di una pluralità di posizioni debitorie distinte caratterizzate dalla parziarietà, viene ad essere escluso tra i coassicuratori ogni vincolo di solidarietà, con la conseguente insussistenza di un diritto di regresso (ex plurimis: Cass. n. 9786/95; Cass. 5673/90; Cass. n. 2923/83; Cass. n. 1038/80). Quanto alla forma del contratto, questo giudice di legittimità ha più volte precisato (Cass. n. 4500/85; Cass. n. 661/88; Cass. n. 1839) che la coassicurazione non può essere esclusa per il fatto che la polizza sia stata sottoscritta da uno soltanto degli assicuratori, piuttosto che da tutti i coassicuratori, precisandosi in proposito che la forma scritta (art. 1888 cod.civ.) è richiesta non "ad substantiam" bensì "ad probationem", per cui essa può risultare anche "aliunde" e da scritti diversi dalla medesima polizza. La sottoscrizione della polizza da parte di uno soltanto degli assicuratori, che dichiari di assumere con altri proquota l'obbligazione di pagamento dell'indennità, può derivare dal fatto che tutti i coassicuratori affidino ad uno solo di essi il potere di stipulare il contratto anche in nome e per conto degli altri, mediante attribuzione al sottoscrittore di un potere di rappresentanza in virtù di cd. clausola di delega o di guida (generalmente inquadrata nello schema del mandato con rappresentanza), la quale può, nella prassi, comprendere pure l'incarico di gestire la polizza, con delega a compiere, altresì, una serie di altri atti successivi, quali la riscossione e la ricezione di comunicazioni dell'assicurato, il rilascio di dichiarazioni e quietanze nonché, eventualmente, il pagamento dello stesso indennizzo. In tale ultima ipotesi, con l'incarico, conferito alla compagnia, del pagamento dell'indennizzo, la compagnia delegataria assume la legittimazione a resistere in giudizio alla pretesa dell'assicurato anche in rappresentanza del coassicuratore (Cass. n. 8400/93). Tuttavia, pur in presenza di clausola di delega nella più ampia sua estensione della rappresentanza in giudizio al coassicuratore delegatario, costui non diviene obbligato in solido verso il contraente assicurato, ma continua ad essere tenuto in proprio nei limiti della quota di sua pertinenza (Cass. n. 1712/2000) e, per il resto, in nome e per conto degli altri coassicuratori, sicché la pronuncia di condanna emessa a suo carico per 1' intero indennizzo non può non tenere conto di detta sua diversa posizione sostanziale, in proprio e come rappresentante, al fine di determinare ed indicare la quota di pertinenza di ciascuno dei coassicuratori rispetto alla complessiva indennità spettante all'assicurato. Nella ipotesi di specie, al sentenza impugnata, rispetto a tutto quanto innanzi evidenziato da questo giudice di legittimità, innanzitutto, si basa sulla errata interpretazione della legge laddove, negando la sussistenza della coassicurazione per il fatto che la polizza sia stata sottoscritta dalla sola società (omissis), si pone in contrasto con il principio per il quale la sottoscrizione del contratto da parte di una sola impresa di assicurazione non può essere assunta come elemento decisivo per escludere la fattispecie ex art. 1911 cod.civ. (Cass. n. 1830/99 da ultimo) quando non si esclusa anche la sussistenza di una clausola di delega attributiva di rappresentanza alla medesima impresa. Inoltre, la medesima sentenza assolutamente non spiega secondo quali altre modalità -pur nella precisa indicazione che tra la società (omissis) e la società (omissis) la copertura dell'unico rischio assicurativo veniva ripartito nella misura, rispettivamente, del settanta e del trenta per cento- sarebbe dovuta risultare la "veste" di assicuratrice della società (omissis). Infine, la Corte di merito, ritenendo che dalla interpretazione del contratto risulta che alla coassicuratrice (omissis) era stata conferita, con clausola di deroga, l'intera legittimazione processuale, con detto accertamento smentisce implicitamente la precedente sua conclusione di insussistenza della coassicurazione; condanna la stessa (omissis) in proprio al pagamento della indennità per l'intero, evidentemente supponendone la responsabilità solidale dato che ammette la eventuale rivalsa nei confronti "dell'altro coassicuratore", mentre, invece, avrebbe dovuto ritenerne la responsabilità in proprio per la sola quota, per la eventualità della sussistenza di una coassicurazione, ovvero, nella eventualità di ritenuta inesistenza di un rapporto ex art. 1911 cod.civ., giustificarne la condanna per l'intero, oltre che in virtù del contratto per la quota del settanta per cento, per il diverso effetto giuridico della responsabilità del "falsus procurator" ex art. 1398 cod.civ., per avere contrattato come rappresentante della (omissis) senza averne i poteri o eccedendo i limiti della-facoltà conferite. Il giudice di rinvio, in applicazione dei principi di diritto enunciati, provvederà, di conseguenza, ad eliminare la contraddittorietà della motivazione della impugnata sentenza, attenendosi ai principi di diritto enunciati. Con il secondo motivo del ricorso - denunciando la violazione e la mancata applicazione della norma di cui all'art. 1224 cod.civ. nonché il vizio di motivazione sul punto - la ricorrente società lamenta che la Corte di merito, anche se con riferimento alla quota di indennità che assume essere della (omissis), aveva erroneamente statuito che gli interessi di legge dovevano essere calcolati sul capitale rivalutato. La censura non è ammissibile, poiché essa costituisce motivo nuovo non proposto già con l'appello, siccome dà atto la medesima sentenza impugnata, la quale specifica che la statuizione di primo grado circa la rivalutazione e gli interessi non è stata oggetto di doglianza in sede di gravame. Con l'unico motivo del ricorso incidentale, avanzato per la ipotesi di accoglimento del ricorso principale della (omissis) nei suoi confronti, L. M. denuncia il vizio di motivazione della impugnata sentenza in quanto i giudici di appello avrebbero omesso di esaminare e decidere la sua richiesta di condanna della società al pagamento dell'indennità per l'intero in virtù del riconoscimento del debito dalla stessa effettuato nella sua comparsa di costituzione in primo grado. Il ricorso incidentale deve esso pure essere dichiarato inammissibile in quanto trattasi di censura che non risulta essere stata proposta con l'appello, avendo con la impugnazione della sentenza di primo grado il M. richiesto soltanto che la condanna della (omissis) fosse dell'indennità estesa anche al restante trenta per cento gravante sull'assicuratrice (omissis) e, perciò, in base al titolo obbligatorio della responsabilità derivante dal contratto di assicurazione. Pertanto la questione della diversa "ratio" del riconoscimento del debito che pure poteva in quella sede essere invocata, ancorché subordinatamente all'azione esperita costituisce in questa sede di legittimità un tema di indagine nuovo, che non risulta devoluto già ex art. 346 c.p.c. Il giudice di rinvio innanzi indicato provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione. PER QUESTI MOTIVI La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso principale n. 14217/98 della (omissis) e ne dichiara inammissibile il secondo; rigetta il ricorso n. 15693/98 di L. M. e dichiara inammissibile il ricorso incidentale n. 15956/98 dello stesso M.; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di Appello di Torino.