Cass_7_8_02_11911 MEDIAZIONE Provvigione Mediazione - Provvigione - Misura della provvigione - Carattere sussidiario dei criteri previsti in ordine successivo dall'art. 1755 c.c. - Conseguenze - Ricorso alla determinazione secondo le tariffe professionali o gli usi solo in mancanza di pattuizione Cassazione civile, SEZIONE III, 7 agosto 2002, n. 11911 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Vito GIUSTINIANI Presidente Dott. Michele VARRONE Consigliere Dott. Italo PURCARO Consigliere Dott. Giovanni B. PETTI Consigliere Dott. Mario FINOCCHIARO Cons. Relatoreha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: CAMELI Walter, FIUMARELLA Maddalena, elettivamente domiciliati in Roma, via Bardanzellu n. 121, presso l'avv. Emanuela Russo, difesi dall'avv. Domenico De Angelis, giusta delega in atti;- ricorrenti -contro MAZZAFERRI Ivano, elettivamente domiciliato in Roma, via Sabotino n.46, presso l'avv. Patrizia Properzi, che la difende unitamente all'avv. Lucio Olivieri, giusta delega in atti;- controricorrente - avverso la sentenza della Corte d'appello di Ancona n. 96-99 del 9 -27 marzo 1999 (R.G.363-96).Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13maggio 2002 dal Relatore Cons. Mario Finocchiaro; Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fulvio Uccella, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. Fatto Su ricorso di MAZZAFERRI Ivano, titolare in Cupra Marittima di una agenzia immobiliare, il presidente del tribunale di Fermo ingiungeva a CAMELI Walter e a FIUMARELLA Maddalena il pagamento, in favore del MAZZAFERRI, della somma di lire 5.080.000, oltre interessi al tasso legale del 10% a far data dalla costituzione in mora: tale somma era pretesa dal ricorrente a titolo di saldo per l'attività svolta quale mandatario relativamente a una vendita immobiliare perfezionata il 30 novembre 1992, avendo gli obbligati corrisposto esclusivamente l'importo di lire 2.200.000. Proposta opposizione, innanzi al tribunale di Fermo, CAMELI Walter e FIUMARELLA Maddalena hanno eccepito, in limine, la invalidità e inefficacia del contratto 30 novembre 1992, con il quale l'immobile era stato promesso in vendita a un terzo. Esponevano gli opponenti, infatti, che essi concludenti avevano rifiutato l'offerta di acquisto sottoposta al loro esame dal mediatore MAZZAFERRI, essendo sorto disaccordo circa le modalità di pagamento del prezzo e i tempi di consegna dell'immobile, ma il MAZZAFERRI aveva ugualmente redatto il preliminare con il promissario acquirente, sottoscrivendo l'atto pure se sprovvisto di qualsiasi potere. Riferito, ancora, che avevano denunziato alla autorità giudiziaria, in sede penale, il MAZZAFERRI e che questi era stato ritenuto responsabile di illecito disciplinare per la condotta tenuta nei loro confronti, gli opponenti facevano presente che il mandato a vendere fatto loro sottoscrivere dal mediatore il 7 luglio 1992 era contestabile sotto vari profili, atteso, da un lato, che l'intestazione "mandato alla vendita" aveva tratto in errore essi concludenti che avevano ritenuto di sottoscrivere un mero incarico di vendita, dall'altro, che non erano state fissate le condizioni relative alle modalità di pagamento del prezzo e di consegna dell'immobile, da ultimo, perché erano presenti nell'atto clausole vessatorie non separatamente approvate per iscritto. Un tale mandato a vendere, esponevano gli opponenti, violava le regole della correttezza e buona fede e quelle specifiche previste dall'art. 18 della legge n. 39 del 1989, circa l'obbligo per il mediatore di utilizzare moduli chiari e facilmente comprensibili e di depositarli preventivamente presso l'apposita commissione della Camera di commercio. Tutto ciò premesso CAMELI Walter e FIUMARELLA Maddalena chiedevano, in via principale, la revoca del decreto ingiuntivo, in via riconvenzionale la condanna del MAZZAFERRI alla restituzione della somma pagata di lire 2.000.000 oltre Iva non avendo il mediatore con la propria attività direttamente determinato l'affare, nonché al risarcimento dei danni morali e economici subiti. Costituitosi in giudizio il MAZZAFERRI resisteva alla proposta opposizione, eccependone, in rito, la inammissibilità perché notificata alla parte personalmente e non al procuratore, e nel merito, la infondatezza. Faceva presente, infatti, l'opposto, la pretestuosità della domanda, specie considerato che nelle more il giudizio promosso innanzi al tribunale di Macerata dal promissario acquirente per l'esecuzione del preliminare 30 novembre 1992 era stato transatto dai coniugi CAMELI e FIUMARELLA i quali avevano accettato un prezzo leggermente superiore a quello fissato dal compromesso sottoscritto da esso mediatore e confermando, pertanto, la validità dell'affare concluso con il suo intervento. Svoltasi l'istruttoria del caso l'adito tribunale con sentenza 12 aprile - 14 maggio 1996 accoglieva la opposizione e, per l'effetto, revocato il decreto opposto, condannava il MAZZAFERRI a restituire sia quanto ricevuto in forza della provvisoria esecuzione del decreto stesso sia l'acconto di lire 2.200.000 oltre Iva e interessi. Gravata tale pronunzia, in via principale dal soccombente MAZZAFERRI e, in via incidentale, da CAMELI Walter e FIUMARELLA Maddalena, la corte di appello di Ancona con sentenza 3 marzo 1999, deliberata il 9 marzo 1999 e pubblicata il 27 marzo 1999, rigettato l'appello incidentale, in accoglimento di quello principale, in totale riforma della decisione dei primi giudici rigettava l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo 23 aprile 1993 del presidente del tribunale di Fermo con condanna degli appellanti incidentali al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio. Per la cassazione di tale pronunzia, non notificata, hanno proposto ricorso, con atto 24 febbraio 2000, CAMELI Walter e FIUMARELLA Maddalena, affidato a quattro motivi. Resiste, con controricorso, MAZZAFERRI Ivano. Entrambe le parti hanno presentato memoria. Diritto 1. Con il primo motivo i ricorrenti denunziando "violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione alle norme che disciplinano la mediazione ex art. 1754 c.c., dei doveri di correttezza e diligenza ex art. 1175, 1176, 1375, 1489 c.c., del conflitto di interessi ex art. 1394 c.c., della rappresentanza senza potere ex art. 1398 c.c., della ratifica ex art. 1399 c.c.", nonché "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia della sentenza impugnata ex art. 360 n. 5 c.p.c.", censurano la sentenza gravata nella parte in cui questa ha affermato il diritto del mediatore MAZZAFERRI a conseguire il compenso del caso per l'opera svolta nell'"affare" concluso per effetto del suo intervento e perfezionatosi con la vendita a certa MARIANI MANZONI Enrica di un immobile di proprietà degli attuali ricorrenti. 2. Il motivo non può trovare accoglimento. Sotto nessuno dei molteplici profili in cui si articola. 2.1. Quanto alla denunziata violazione, da parte dei giudici del merito, degli artt. 1754 e seguenti c.c., nonché degli artt. 1175, 1176, 1375, 1489 e, ancora, degli artt. 1394, 1398 e 399 c.c. la censura è inammissibile. Deve ribadirsi al riguardo, infatti, che quando nel ricorso per cassazione pur denunziandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate - o con la interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina - il motivo è inammissibile poiché non consente alla Corte di cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 12 maggio 1998 n. 4777). In altri termini è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un'affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la pronunzia impugnata (Cass. 21 agosto 1997, m n. 7851, nonché Cass. 26 gennaio 2001, n. 1109, specie in motivazione). Pacifico quanto precede si osserva che nella specie, come si ricava dal contesto del motivo, parte ricorrente omette sia di indicare quale sia la interpretazione data, dal giudice del merito, delle richiamate disposizioni (artt. 1754 e seguenti c.c., nonché artt. 1175, 1176, 1375, 1489 c.c. e, ancora, artt. 1394, 1398 e 1399 stesso codice) e i motivi per cui la stessa non possa essere accettata, sia quale sia la "corretta" interpretazione di tali norme. In realtà parte ricorrente, lungi dal censurare l'interpretazione che il giudice del merito ha dato delle ricordate disposizioni, si limita a dolersi che l'esito della lite sia stato sfavorevole alle proprie aspettative, per essere state le risultanze di causa valutate in modo difforme alla sua, soggettiva, interpretazione di quelle stesse risultanze ed è evidente - pertanto - che la denuncia esula totalmente dalla previsione di cui all'art. 360 n. 3 c.p.c.. 2.2. In margine, ancora, alla lamentata violazione, da un lato, dell'art. 1489 c.c., in tema di vendita di "cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi" dall'altro degli artt. 1394, 1398 e 1399 stesso codice, relativi, nell'ordine il primo al "conflitto di interessi", gli altri, rispettivamente alla "rappresentanza senza poteri", nonché alla "ratifica", sussiste un ulteriore motivo di inammissibilità che esonera questa Corte, altresì dal dovere di prendere in esame le censure de quibus sotto il diverso profilo - pur esso denunziato - della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. In particolare si osserva che i giudici del merito, nel rendere la loro pronunzia, non hanno, in alcun modo fatto applicazione delle ricordate disposizioni normative. Si precisa, in particolare, nella pronunzia in questa sede gravata, da un lato, che la controversia poteva essere decisa (ed è stata in concreto decisa) senza considerare l'esistenza di un rapporto di mandato a vendere l'immobile [pur] ricavabile dalla scrittura 7 luglio 1992, atteso che tra le parti, come risultando dalla detta scrittura e come non contestato da alcuna delle parti in causa è intervenuto tra le parti "un contratto di mediazione avente ad oggetto l'incarico affidato dai coniugi CAMELI - FIUMARELLA al mediatore di reperire un acquirente del loro appartamento". Non controverso quanto precede e ritenuto - ancora - che i giudici del merito hanno ritenuto il diritto del MAZZAFERRI al compenso per l'opera prestata esclusivamente in forza del contratto di mediazione e tenuto presente che l'"affare" da lui procurato era consistito nella "vendita" dell'appartamento già degli attuali ricorrenti a MARIANI MANZONI Enrica (come da atto notarile 20 ottobre 1993) è palese l'irrilevanza, al fine del decidere, del preliminare sottoscritto, per conto dei venditori, dal solo MAZZAFERRI e dei vizi che si assume affliggano un tale contratto. 2.3. Premesso quanto sopra si osserva che, in buona sostanza, gli attuali ricorrenti negano di essere tenuti a corrispondere un corrispettivo a titolo di mediazione al MAZZAFERRI sulla base delle seguenti argomentazioni: - il contratto di vendita è intervenuto tra persone diverse, rispetto a quelle indicate dal mediatore (in particolare dalla figlia del promittente acquirente, indicato dal mediatore), pertanto, manca qualsiasi prova circa il nesso di causalità tra l'opera svolta dal mediatore e la conclusione dell'affare; - il mediatore ha violato l'obbligo di informazione di cui all'art. 1759 comma 1, c.c. e il contratto, in ogni caso è stato concluso a condizioni parzialmente diverse rispetto a quelle da lui indicate; - il mediatore ha agito in conflitto di interessi atteso che lo stesso era anche socio della omonima ditta Edilmazzaferri di Mazzaferri Ivano e C. s.n.c. per cui lo stesso era stato cancellato dal ruolo dei mediatori, con delibera della giunta camerale del 25 ottobre 1993; - la Giunta Camerale ha affermato che non sembra corretta neppure la clausola del maggior prezzo, inserita nella scrittura privata; 2.4. Nessuna delle riassunte censure coglie nel segno. 2.4.1. Quanto, in primis, all'affermazione secondo cui deve escludersi il diritto del MAZZAFERRI alla provvigione perché non esisterebbe coincidenza tra il soggetto indicato dal mediatore MAZZAFERRI quale possibile acquirente dell'immobile per cui è controversia e quello - che, in realtà, si è reso acquirente dell'immobile stesso (la figlia di detto soggetto) l'assunto è palesemente infondato, alla luce di quanto in molteplici occasioni affermato dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice (e da cui totalmente prescinde parte ricorrente). Al riguardo, in particolare, deve ribadirsi, ulteriormente, che il mediatore ha diritto al pagamento della provvigione nei confronti delle parti che conclusero l'affare, anche ove si verifichi la sostituzione di una di esse nella stipulazione del contratto, indipendentemente dal concreto coinvolgimento della parte sostituita nella ricerca e nella sostituzione del diverso contraente (Cass. 21 maggio 1998, n. 5080). Il diritto del mediatore alla provvigione, ex art. 1755 c.c., in altri termini, deve essere riconosciuto in relazione alla conclusione dell'affare e non già in relazione alla conclusione del relativo negozio giuridico tra le stesse parti. Il mediatore, pertanto, ha diritto alla provvigione anche se le parti dell'affare sostituiscano altri a sè stesse nella stipulazione del contratto (Cass. 7 giugno 1990, n. 5457; Cass. 27 maggio 1987, n. 4734). Non controverso quanto precede e pacifico che il MAZZAFERRI, in esecuzione dell'incarico ricevuto ha posto in relazione, per la vendita di un immobile di proprietà degli attuali ricorrenti, questi ultimi con tale MANZONI Luigi è di palmare evidenza che non è sufficiente al fine di negare il diritto del MAZZAFERRI alla provvigione la circostanza che il contratto notarile di vendita sia stato perfezionato dagli attuali ricorrenti non con MANZONI Luigi, ma con la figlia di questi, MANZONI Enrica. 2.4.2. Quanto alla presunta violazione dell'art. 1759 c.c. da parte del mediatore, per avere questo indicato al possibile acquirente un termine per il rilascio dell'immobile in vendita diverso dalle esigenze familiari degli alienanti, nonché termini per il pagamento non coincidenti con quelli di essi concludenti e per avere trattenuto l'importo della caparra omettendo, infine, di dare notizia al possibile acquirente della esistenza di una ipoteca volontaria sull'immobile, deve escludersi, in radice - a prescindere da ogni altra considerazione - che la riferita condotta integri violazione dell'art. 1759, comma 1, c.c.. Il mediatore, in particolare, a norma della ricordata disposizione deve "comunicare alle parti le circostanze a lui note relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare che possono influire sulla conclusione di esso": palesemente nessuna delle circostanze sopra riferite, pur nell'ipotesi fosse stata conosciuta dal mediatore, era tale da influire sulla "conclusione dell'affare", nè, ancora, è stato dedotto, o dimostrato, che a causa delle descritte "omissioni" gli attuali ricorrenti hanno subito un qualche pregiudizio (cfr. Cass. 26 maggio 1999, n. 5107) o hanno - quantomeno - concluso il contratto a condizioni "diverse" rispetto a quelle auspicate (è stato, in realtà, accertato, in linea di fatto, dalla sentenza gravata, con apprezzamento in alcun modo sindacato dai ricorrenti, che l'immobile è stato ceduto a un prezzo superiore rispetto a quello stimato dagli stessi venditori e deve presumersi, pertanto, con loro soddisfazione). 2.4.3. La ulteriore questione trattata nel motivo, relativa alla esistenza di un presunto conflitto di interessi, per essere il MAZZAFERRI socio della ditta Edilmazzaferri di Mazzaferri Ivano & C., nonché titolare dell'agenzia di mediazione è per un verso manifestamente inammissibile, non risultando la relativa questione affrontata dalla sentenza gravata, e tale da integrare una nuova questione di fatto inammissibilmente introdotta in causa per la prima volta in sede di legittimità, per altro totalmente infondata. Non si comprende infatti quale rilievo, negativo, e tale da giustificare il non diritto al compenso, possa avere avuto sulla attività prestata dal mediatore MAZZAFERRI, nel reperire un acquirente all'immobile di proprietà degli attuali ricorrenti (per un prezzo superiore a quello indicato dagli stessi alienanti), la circostanza che lo stesso MAZZAFERRI sia socio di una società avente per oggetto l'attività di costruzioni di immobili civili e industriali. Nè, ancora, può affermarsi, come si adombra in ricorso, che sussiste incompatibilità tra la qualità di socio di una società esercente l'attività di costruzione di immobili e la qualità di mediatore immobiliare. L'iscrizione del mediatore nel ruolo di cui all'art. 2, l. 3 febbraio 1989, n. 53, infatti, non diversamente rispetto all'iscrizione in un albo professionale, integra un accertamento costitutivo dello status del professionista che opera erga omnes fino a quando non intervenga un provvedimento di cancellazione (cfr., Cass. 10 novembre 1990 n. 10858. Sempre nello stesso senso, altresì, Cass. 8 settembre 1999 n. 9549; Cass. 17 marzo 1993 n. 3145). Pacifico quanto precede, e non controverso, ancora, che sia alla data del 7 luglio 1992, sia all'epoca in cui il MAZAFERRI ha "procurato" agli attuali ricorrenti un acquirente del loro immobile, così dando esecuzione al contratto 7 luglio 1992 lo stesso era iscritto nel ruolo degli agenti di affari in mediazione, è palese che il diritto dello stesso alla provvigione non può escludersi solo perché successivamente a detti fatti lo stesso sia stato (come si afferma in ricorso) cancellato dal ruolo dei mediatori. 2.4.4. Quanto, da ultimo, alla "invalidità" del contratto di mediazione perché prevedeva un "premio" in favore del mediatore in caso di sopravvalutazione del bene, rispetto al valore preteso dai venditori, i giudici a quibus hanno ritenuto la legittimità di una tale clausola, sul rilievo, assorbente, che "i venditori liberamente si affidarono all'organizzazione del MAZZAFERRI e altrettanto liberamente sottoscrissero l'incarico di mediazione". In nessun modo i ricorrenti censurano una tale ratio decidendi limitandosi a evidenziare come il presidente della Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali denunciasse la pratica del c.d. sovrapprezzo, posta in essere dal MAZZAFERRI, tale da turbare gravemente il normale andamento del mercato immobiliare, con lesione, altresì, per tutta la categoria degli Agenti immobiliari. È palese la inammissibilità della deduzione, sia considerato che la stessa non è in alcuna relazione con gli argomenti addotti dai giudici a quibus, sia tenuto presente che l'art. 1418 c.c. tra le cause di nullità del contratto non attribuisce alcun potere alle Associazioni di categoria, nè, tantomeno, ai loro presidenti. Nè - ancora - la circostanza che un certo comportamento sia stigmatizzato, o, per ventura, sanzionato disciplinarmente nell'ambito di una certa organizzazione professionale, importa che quel comportamento sia ex se anche "illecito" sul piano civilistico e nei rapporti con i terzi. Al riguardo, infine, non può tacersi - a prescindere da ogni apprezzamento sul piano deontologico di una tale clausola contrattuale - che la giurisprudenza di questa Corte regolatrice in diverse occasioni ha affermato che la pattuizione in favore del mediatore di una provvigione corrispondente al supero (rispetto ad una cifra stabilita) ricavabile dalla vendita di un immobile, ove conclusa, entro una certa data, sia con l'intervento del mediatore sia direttamente da parte del proprietario, è lecita e conciliabile con l'imparzialità che deve caratterizzare il contratto di mediazione (Cass. 16 giugno 1986, n. 4003, nonché, ancora, Cass. 10 aprile 1970, n. 993). Essendosi i giudici del merito attenuti, nel ritenere la validità della pattuizione in questione alla giurisprudenza, assolutamente pacifica di questa Corte regolatrice, è palese - anche sotto tale profilo - l'assoluta infondatezza della censura in esame. 3. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano "violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 c..p.c., in relazione alle norme di legge che disciplinano i moduli e-o i formulari, ex art, 1342 c.c., legge n. 39 del 1989 e relativo regolamento d.m. 2 dicembre 1990, n. 452 e per violazione alle norme imperative ex art. 1418 c.c., per violazione delle norme che regolano i contratti a favore del consumatore ex art. 1341, 1342, 1469 bis c.c. nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia della sentenza impugnata ex art. 360 n 5 c.p.c.". 4. La deduzione è manifestamente inammissibile. Alla luce delle considerazioni che seguono. 4.1. Come osservato sopra, in sede di esame del primo motivo, costituisce ius receptum, nell'ambito di una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, in particolare, il principio - da cui prescindono totalmente gli attuali ricorrenti e che nella specie deve ulteriormente ribadirsi - in forza del quale quando nel ricorso per cassazione pur denunziandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate - o con la interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina - il motivo è inammissibile poiché non consente alla Corte di cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 12 maggio 1998, n. 4777). Pacifico quanto precede - si osserva che nella specie, come si ricava dal contesto del motivo, parte ricorrente omette sia di indicare quale sia la interpretazione data, dal giudice del merito, delle richiamate disposizioni (artt. 1342 c.c., legge 3 febbraio 1989 n. 39, d.m. 2 dicembre 1990 n. 452, e, ancora, artt. 1418, 1341, 1342 e 1469 bis c.c.) e i motivi per cui la stessa non possa essere accettata, sia quale sia la "corretta" interpretazione di tali norme. In realtà parte ricorrente, ancora una volta, lungi non censurare l'interpretazione che il giudice del merito ha dato delle ricordate disposizioni, si limita a dolersi che l'esito della lite sia stato sfavorevole alle proprie aspettative, per essere state le risultanze di causa valutate in modo difforme alla sua, soggettiva, interpretazione di quelle stesse risultanze ed è evidente - pertanto - che la denuncia esula totalmente dalla previsione di cui all'art. 360 n. 3 c.p.c.. 4.2. Anche a prescindere da quanto precede la censura in esame è palesemente inammissibile atteso che la stessa si risolve in una serie di considerazioni in alcun modo pertinenti al fine del decidere, alla luce delle pacifiche risultanze di causa, quali emergenti dalla sentenza in questa sede impugnata (e da cui prescinde totalmente il motivo in discorso). I giudici a quibus, in particolare, hanno escluso sia riferibile al contratto 7 luglio 1992 la problematica di cui agli artt. 1341 e ss., nonché l'art. 7 della legge n. 39 del 1989, sull'obbligo del deposito presso la CCIAA del modulo o formulario predisposto dal mediatore per la generalità dei suoi rapporti, sul rilievo, assorbente, che "il documento [7 luglio 1992] non era predisposto a stampa da una delle parti, ma venne da questa dattiloscritto in occasione di quel contratto". "Inoltre - hanno ancora evidenziato quei giudici - manca la caratteristica essenziale del modulo o formulario predisposto, cioè l'esistenza di una serie di clausole predeterminate nel documento e valide per ogni tipo di contrattazione e di contraente alle quali vengono poi aggiunte, in occasione del concreto utilizzo per la singola contrattazione, le specifiche indicazioni dei singoli contraenti e le ulteriori, eventuali, pattuizioni particolari e ciò mediante la riempitura di appositi spazi o righi lasciati in bianco nel documento predisposto. Al contrario, nulla di tutto questo è dato ricavare dalle semplice lettura dell'atto in questione".."il documento [inoltre] non venne redatto su modello intestato all'agenzia immobiliare del MAZZAFERRI, ma su comune foglio di carta uso - bollo". "Lo stesso dicasi - hanno ancora evidenziato i giudici a quibus - per la mancanza nel contratto di quelle clausole vessatorie, che solitamente accompagnano invece i contratti per adesione". "Ne consegue, in conclusione sul punto - ha accertato la sentenza in questa sede impugnata - che il documento contrattuale di specie risulta possedere tutti i requisiti ed i caratteri - formali e sostanziali - per essere considerato un normalissimo contratto di mediazione stipulato e redatto in relazione allo specifico accordo raggiunto tra quelle determinate parti e al fine di documentare solo e soltanto tale specifico accordo". Pacifico quanto precede, atteso che tali proposizioni, contenute nella sentenza impugnata, non sono in alcun modo censurate, con il motivo in esame, è palese la inammissibilità del motivo in esame. Lo stesso, infatti, è formulato sulla base di un presupposto di fatto escluso dalla sentenza stessa con statuizione non censurata e, quindi, coperta da giudicato, e, in particolare, sul rilievo che il contratto 13 luglio 1992 sia stato concluso mediante la utilizzazione di un modulo o formulario. 4.3. Si assume, al riguardo, nel motivo - ancora - che "il MAZZAFERRI ha predisposto unilateralmente un mandato a vendere che è stato stampato dal computer del mediatore, previa compilazione degli estremi anagrafici e delle indicazioni dell'immobile, dei venditori. Il testo è sempre il medesimo per ogni cliente, con le stesse clausole a favore dell'agenzia...". La deduzione de qua è inammissibile. Si osserva, infatti, che giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, statuizioni e questioni che abbiano formato oggetto del giudizio di merito, restando escluso, pertanto, che in sede di legittimità possano essere prospettate questioni nuove o nuovi temi di contestazione involgenti accertamenti di fatto non compiuti, perché non richiesti, in sede di merito (Cass. 6 giugno 2000, nn. 7583 e 7579). I motivi del ricorso per cassazione - in altri termini - devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito, nè rilevabili d'ufficio (Cass. 5 maggio 2000, n. 5671; Cass. 31 marzo 2000, n. 3928). Inoltre, si osserva, ove una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 12 settembre 2000, n. 12025, nonché Cass. 9 aprile 2001, n. 5255, specie in motivazione). Pacifico, in diritto, quanto precede si osserva che nella sentenza gravata non è affrontato, in alcuna sua parte, il problema del quomodo sia stato stampato il contratto 7 luglio 1992, e come si sia pervenuti alla definizione delle singole clausole, nè il connesso problema della assimilabilità, o meno, ai contratti conclusi a mezzo formulari dei contratti stipulati con l'ausilio di un computer [pratica, questa, pressoché consolidata in moltissimi studi notarili, senza che possa, per ciò solo, affermarsi che tutti i contratti così stipulati rientrino nella previsione degli artt. 1341 e 1342 c.c.]. È palese, pertanto che il motivo di ricorso per cassazione è inammissibile nella parte in cui prospetta tali problematiche, non affrontate dalla sentenza gravata, atteso che i ricorrenti non indicano in quale loro scritto del giudizio di secondo grado, nel rispetto del principio del contraddittorio, hanno prospettato la specifica questione. 5. Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano, ancora, "violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione alle norme di diritto che disciplinano la prova ex art. 2697, comma 1, c.c., posta a carico del convenuto opposto, e dell'art. 1226 c. c. sulla mancata valutazione equitativa del danno in via riconvenzionale dai ricorrenti, nonché per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia della sentenza impugnata ex art. 360 n 5 c.p.c.". Si osserva, infatti, da un lato, che controparte, in violazione delle norme indicate nella intestazione del motivo, non ha chiesto l'ammissione di prove, atte a sostenere il diritto portato dal decreto ingiuntivo, con la conseguenza che nessuna prova è emersa, dal processo, che sostenga la tesi attorea, dall'altro che erroneamente, e in violazione dell'art. 1226 c.c. giudici del merito non hanno liquidato i danni patiti da essi concludenti per fatto del MAZZAFERRI, nonostante tutti i documenti in atti relativi al procedimento disciplinare a carico dello stesso MAZZAFERRI e conclusosi con la sua sospensione dell'attività di mediazione. 6. La deduzione è infondata. Sotto entrambi i profili in cui si articola. 6.1. Quanto, in primis, all'assunto in forza del quale i giudici del merito avrebbero accolto la domanda del MAZZAFERRI pur in assenza di qualsiasi prova da questi data, a sostegno dei suoi assunti, la deduzione è manifestamente infondata, attese le pacifiche risultanze di causa. Al riguardo, in termini opposti, rispetto a quanto si assume - del tutto apoditticamente - nel motivo in esame si osserva che a norma dell'art. 115, comma 1, c.p.c., salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalla parti o dal pubblico ministero. L'obbligo del giudice di fondare la propria decisione soltanto sugli elementi di prova indicati dalle parti, peraltro, non gli impedisce di valutare in via autonoma, ai fini della prova, all'infuori di qualsiasi deduzione delle parti stesse, le risultanze emergenti da dette prove (Cass. 17 gennaio 2001, n. 583). Nel vigente ordinamento processuale - infatti - opera il principio cosiddetto dell'acquisizione della prova in forza del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza (Cass. 29 novembre 2000, n. 15312). Il giudice del merito, in particolare, ha il potere - dovere di formare il proprio convincimento sulla base di qualsiasi elemento di prova obbiettivamente conferente (Cass. 17 dicembre 1999, n. 14227), atteso che le risultanze istruttorie, comunque ottenute (e qual che sia la parte ad iniziativa della quale sono state raggiunte), concorrono, tutte ed indistintamente, purché ritualmente acquisite agli atti, alla formazione del libero convincimento del giudice (Cass. 27 agosto 1998, n. 8530; Cass. 19 aprile 2000, n. 5126; Cass. 27 novembre 2001, n. 15033), senza che la relativa provenienza possa condizionare tale convincimento in un senso o nell'altro, e senza che possa, conseguentemente, escludersi la utilizzabilità di un prova fornita da una parte per trarne argomenti favorevoli alla controparte (Cass. 16 giugno 1998, n. 5980; Cass. 25 settembre 1998, n. 9592). Il risultato della prova, in altri termini, deve essere valutato indipendentemente dalla posizione della parte che l'abbia dedotta, sicché ben può valere a dimostrare la fondatezza dell'assunto di una parte, quand'anche richiesta dall'altra (Cass. 26 aprile 2000, n. 5342). Pacifico, in diritto, quanto precede si osserva che nella specie i giudici del merito hanno accertato: - da un lato, che con la scrittura 7 luglio 1992, ritenuta per la parte de qua perfettamente valida, è intervenute tra le parti, un contratto di mediazione, avente ad oggetto l'incarico affidato dai coniugi CAMELI - FIUMARELLA al mediatore MAZZAFERRI di reperire un acquirente del loro appartamento; - dall'altro, che il mediatore ha efficacemente adempiuto all'incarico, atteso che è riuscito a "procurare loro un acquirente che si obbligò a corrispondere un prezzo di lire 220 milioni a fronte di quello stimato dagli stessi venditori in 214 milioni"; - da ultimo, che l'immobile è stato venduto dai coniugi CAMELI - FIUMARELLA a MANZONI Enrica (persona indicata come acquirente dal potenziale acquirente reperito dal mediatore) con rogito 20 ottobre 1993 per un prezzo anche superiore a quello inizialmente offerto, grazie all'intervento del mediatore MAZZAFERRI [come oramai incontestabile, a seguito del rigetto del primo motivo del ricorso]. Non controverso quanto sopra esposto, è palese la manifesta infondatezza, come anticipato, della censura in esame sotto il profilo e, in particolare, per quanto attiene alla denunziata violazione dell'art. 2697 c.c. 6.2. Quanto, ancora, al secondo profilo di censura, e alla denunziata violazione dell'art. 1226 c.c. per non avere i giudici del merito liquidato i "danni morali ed economici" patiti da essi concludenti per i fatti posti in essere dal mediatore e sfociati con il più volte ricordato [nell'ambito del ricorso] procedimento disciplinare a carico dello stesso mediatore, la deduzione è inammissibile. Giusta un insegnamento assolutamente pacifico presso la giurisprudenza di questa Corte regolatrice e che nella specie deve trovare ulteriore conferma - e da cui totalmente prescindono i ricorrenti - ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario - per giungere alla cassazione della pronunzia - non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l'accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo stesso della impugnazione. Questa, infatti, è intesa alla cassazione della sentenza in toto, o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che autonomamente l'una o l'altro sorreggano. È sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perché il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (in tale senso, ad esempio, tra le tantissime, Cass. 12 settembre 2000, n. 12040, specie in motivazione, nonché Cass. 24 maggio 2001, n. 7077; Cass. 12 aprile 2001, n. 5493 e Cass. 14 marzo 2001 n. 3671). Non controverso quanto precede si osserva che i giudici del merito, nel rigettare l'appello incidentale dei coniugi CAMELI e FIUMARELLA hanno osservato che "i danni morali ed economici da costoro pretesi non solo risultano del tutto indeterminati nella loro stessa entità ontologica (come giustamente osservò il tribunale), ma per di più appaiono privi di una precisa causa petendi una volta che è stato accertato l'inadempimento contrattuale proprio della parte che quel risarcimento invoca". I detti giudici, pertanto, hanno rigettato la domanda di risarcimento di cui ora si discute non solo sotto il profilo che gli stessi "risultano del tutto indeterminati", perché, cioè, fanno difetto, in radice, i presupposti cui l'art. 1226 c.c. subordina il potere, per il giudice del merito, di liquidare i danni "con valutazione equitativa" (secondo una valutazione non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, Cass. 15 gennaio 2000, n. 409), ma anche perché i danni stessi "appaiono privi di una precisa causa petendi, una volta... accertato l'inadempimento contrattuale proprio della parte che quel risarcimento invoca". In altri termini, mentre i primi giudici, accolta la pretesa sotto il profilo dell'an debeatur, la hanno rigettata sotto quella del quantum, la corte di appello di Ancona ha escluso anche l'esistenza di una condotta in tesi idonea a essere fonte di danni. Deriva da quanto precede, pertanto, che al fine di pervenire alla cassazione - nella parte de qua - della sentenza gravata i ricorrenti non potevano limitarsi a censurare la decisione gravata nella parte in cui ha confermato la pronunzia del primo giudice in ordine all'inesistenza di qualsiasi elemento di prova in ordine al quantum debeatur, ma anche [e in via pregiudiziale] denunziare l'altro capo della motivazione. In assenza, per contro, di qualsiasi censura sul punto è palese che il motivo è inammissibile per difetto di interesse. Anche, infatti, nella eventualità si ritenessero pertinenti e fondate le censure svolte, al riguardo dai ricorrenti, al fine di dimostrare l'esistenza di un "danno" risarcibile in conseguenza della ritenuta responsabilità disciplinare del MAZZAFERRI, non per questo potrebbe mai pervenirsi alla cassazione della sentenza sul punto, essendo coperto da giudicato l'altra ratio decidendi invocata a suffragio della decisione, non censurata dai soccombenti. 7. Con il quarto - e ultimo - motivo i ricorrenti denunziano "violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione alle norme che disciplinano la misura della provvigione, ex art. 1755, comma 2, c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, circa un punto decisivo della controversia della sentenza impugnata, ex art. 360 n. 5 c.p.c.". La misura della provvigione - assumono i ricorrenti - viene determinata dagli usi come stabilita dalla CCIAA di Ascoli Piceno, che all'epoca dei fatti era pari all'1% come provato dalla tabella dei compensi usuali di mediazione, come predisposto dalla CCIIAA di zona, pertanto, la somma che sarebbe spettata al mediatore era pari a lire 2.100.000 (a fronte di un affare di lire 212 milioni) e non il maggior importo reclamato dal MAZZAFERRI e riconosciuto dovuto dai giudici a quibus. 8. La deduzione è manifestamente infondata. Giusta la letterale formulazione dell'art. 1755, comma 2, c.c. in tema di mediazione "la misura della provvigione... in mancanza di patto, di tariffe professionali o di usi, sono determinate dal giudice secondo equità". È palese, pertanto, contrariamente a quanto del tutto apoditticamente affermato dagli attuali ricorrenti, che la norma positiva lungi dal rimettere in via esclusiva agli "usi" la determinazione della "misura della provvigione", prevede che questa, sia in primis convenuta tra le parti. Ove le parti nulla abbiano disposto al riguardo, nel conferire l'incarico (o, eventualmente, successivamente) devono trovare applicazione le "tariffe professionali". Solo nell'ipotesi - ancora - non esistano "tariffe professionali" soccorrono gli "usi" richiamati dai ricorrenti e ove - infine - anche questi nulla prevedano al riguardo, la determinazione è rimessa al potere equitativo del giudice. Certo quanto sopra, non controverso, come accertato in sede di merito, che nella specie la misura della provvigione era stata pattuita tra le parti, è palese - come anticipato - che non sussiste nè la denunziata violazione di legge (atteso che i giudici del merito si sono, puntualmente attenuti a questa) nè la lamentata "omessa insufficiente e contraddittoria motivazione". 9. Risultato totalmente infondato il proposto ricorso, in conclusione, deve rigettarsi. Sussistono, comunque, giusti motivi onde disporre la compensazione delle spese di questo giudizio di legittimità, tra le parti. P.Q.M La Corte, rigetta il ricorso; compensa, tra le parti, le spese di questo giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte di Cassazione, il giorno 13 maggio 2002.