Cass_6_9_02_12983 Corte di cassazione, Sezione Seconda Civile, Sentenza del 6 settembre 2002 n. 12983 Estensione della proprietà al sottosuolo stabilito dall'art. 840 c.c. La massima L’articolo 840 del codice civile stabilisce il principio che la proprietà del sottosuolo spetta al proprietario del suolo sovrastante. Esso opera in via generale, e quindi indipendentemente dall'autonomia del bene che si trova nel sottosuolo. Non opera solo quando in senso contrario disponga il titolo di acquisto del proprietario del suolo oppure quando la proprietà risulti spettare ad altri in base ad un titolo opponibile al proprietario del suolo, che può essere costituito da un contratto anteriormente trascritto o da un acquisto originario. Quindi l'autonomia funzionale ed economica di una grotta naturale posta nel sottosuolo e la possibilità che, in ragione di tale autonomia, essa possa essere utilizzata separatamente dal suolo soprastante, non escludono, di per sè, l'applicabilità del primo comma dell'art. 840 c.c La sentenza REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Mario SPADONE - Presidente - Dott. Alfredo MENSITIERI - Consigliere - Dott. Rosario DE JULIO - Consigliere - Dott. Olindo SCHETTINO - Consigliere - Dott. Giovanna SCHERILLO - Rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Talenti Giovanni, Giannuzzi Franca, Talenti Maria, elettivamente domiciliati in Roma via Pierluigi Da Palestrina 1, presso lo studio dell'avvocato Alessandro Terenzio, difesi dall'avvocato Giancarlo Russo Frattasi, giusta delega in atti; - ricorrenti - contro La Medica Sud s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma via A. Bertoloni 49, presso lo studio d l'avvocato Alberico Occhinegro, difeso dall'avvocato Giovanni Sinesi, giusta delega in atti; - controricorrente - avverso la sentenza n. 390/99 della Corte d'Appello di Bari, depositata il 26/04/99; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/02102 dal Consigliere Dott. Giovanna Scherillo; udito l'Avvocato Alessandro Terenzio, per delega dell'avv. G. Russo Frattasi, depositata, in udienza, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito l'Avvocato Giovanni Sinesi, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carlo Destro che ha concluso per il il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto 30/3/1990 la s.r.l. La Medica Sud, in persona del suo legale rappresentante, deducendo che con atto per notaio Cesaroni 21/6/1989 aveva acquistato un fabbricato posto in Polignano a mare, al vico S. Clemente 8, 10, 12 e 14, con la precisazione che da uno dei vani posti a piano terra si accedeva a mezzo di una scala alla sottostante grotta naturale, e che con successivo atto 10/11/1989, per lo stesso notaio, aveva acquistato un'altra porzione del fabbricato, posta al civico 16 della medesima strada, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Bari Giovanni Talenti, Franca Giannuzzi e Maria Domenica Talenti chiedendo che nei loro confronti fosse accertato il suo diritto di proprietà esclusiva sulla grotta naturale esistente nel sottosuolo, quanto meno per la parte corrispondente all'estensione del suolo su cui insisteva il fabbricato; chiedeva, inoltre, di essere dichiarata immessa nel libero possesso del bene, condannando convenuti al risarcimento dei danni per l'abusiva detenzione e per i ritardi causati che le avevano cagionato nella ristrutturazione dell'immobile. I convenuti, costituitisi, si opponevano alla domanda sostenendo che, in forza di atto pubblico 31/1/1979 per notaio Cesaroni, la grotta doveva considerarsi di loro proprietà. Dall'atto risultava, infatti, che essi avevano acquistato dal precedente proprietario Chiantera alcuni vani posti a vico Chiangella 9, con la "scala esterna di accesso a delle grotte adibite anticamente a frantoio oleario" (corrispondenti alla grotta oggetto di causa). Chiedevano, pertanto, in via riconvenzionale, che fosse dichiarato il rapporto pertinenziale della grotta con l'immobile di loro proprietà e, in subordine, che ne tosse dichiarato l'avvenuto acquisto per usucapione. All'esito di una CTU (da cui risultava che la grotta in discussione, estesa mq. 191,80, era sovrastata dal fabbricato attoreo per mq. 89,93, corrispondenti al fabbricato di cui al rogito Cesaroni 21/6/89, mentre l'immobile dei convenuti non era sovrastante alla grotta, pur comunicando con essa), il Tribunale, con sentenza 2/5/1995, dichiarava che detta, grotta, per la porzione individuata dal tecnico (pari ad un'estensione di mq. 89,93), apparteneva in proprietà esclusiva alla società attrice condannando i convenuti al rilascio. Rigettava le altre domande. La decisione, tranne che nel capo relativo alle spese di causa, veniva confermata dalla Corte d'Appello di Bari che, con sentenza 26/4/1999, rigettava l'appello principale e, in parziale accoglimento dell'appello incidentale, condannava i Talenti - Giannuzzi alla rifusione delle spese della CTU. Contro la sentenza i soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione per cinque motivi illustrati da una memoria. Ha resistito al gravame l'intimata con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE 1 - Col primo motivo di ricorso si denunciano violazione di legge nonchè vizi della motivazione per avere l'impugnata sentenza ritenuto non rilevante, ai fini dell' applicabilità dell'art. 840 c.c., l'accertata autonomia funzionale della grotta controversa. Secondo i ricorrenti, il fatto che la grotta, come rilevato dal CTU e riconosciuto anche dalle parti, fosse un bene suscettibile di utilizzazione separata doveva indurre il giudice d'appello ad un'applicazione della norma diversa da quella letterale seguita, essendo possibile configurare, in ragione dell'autonomia del bene, una proprietà per piani orizzontali, riferibile, quindi, a proprietari diversi. La censura va disattesa. In tema di proprietà del sottosuolo, e con specifico riferimento alle grotte, questa Corte ha affermato che, in base al disposto dell'art. 840 c.c., la proprietà del sottosuolo spetta al proprietario del suolo sovrastante, salvo che in senso contrario disponga il titolo di acquisto di questo oppure che la detta proprietà risulti spettare ad altri in base ad un titolo opponibile al proprietario del suolo, che può essere costituito da un negozio anteriormente trascritto o da un fatto di acquisto originario; tale fatto non può consistere nella mera situazione dei luoghi, come l'esclusiva possibilità di accesso al sottosuolo dal fondo altrui (Cass. 3989/2001; 3318/87). Corollario di tale principio è che l'autonomia funzionale ed economica di una grotta naturale posta nel sottosuolo e la possibilità che, in ragione di tale autonomia, essa possa essere utilizzata separatamente dal suolo soprastante, non escludono, di per sè, l'applicabilità del primo comma dell'art. 840 c.c.. Perchè si possa configurare una proprietà del sottosuolo separata da quella del suolo, occorre, infatti, che la separata proprietà risulti da un titolo di acquisto anteriormente trascritto ovvero da un titolo di acquisto originario (v. in tal senso Cass. 5130/81). Nel caso di specie, la Corte territoriale si è conformata ai suddetti principi. Ha, infatti, ritenuto, sulla scorta della CTU e degli altri atti di causa, che soltanto la società attrice aveva diritto alla proprietà del sottosuolo ex art. 840 c.c. (nella misura corrispondente alla proiezione ortogonale del fabbricato acquistato col primo rogito Cesaroni del 1989), e non anche i ricorrenti, il cui fabbricato non sovrastava la grotta, ma era solo collegata con essa, e che a nessun altro titolo potevano vantarne la proprietà. In particolare, sulla base della surrichiamata giurisprudenza, la Corte di merito ha correttamente osservato che, il principio dell'estensione della proprietà al sottosuolo stabilito dall'art. 840 c.c. opera in via generale, e quindi indipendentemente dall'autonomia del bene che si trova nel sottosuolo, mentre non opera solo quando un titolo originario o derivativo stabilisca la divisione per piani orizzontali. Infine, con una considerazione insuperabile sul piano logico e non censurata dai ricorrenti, ha rilevato che costoro, mentre sostenevano l'inapplicabilità dell'art. 840 c.c. nei confronti della società attrice, invocavano poi la medesima norma a sostegno della loro domanda di attribuzione della proprietà. II - Col secondo motivo di ricorso si denunciano violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento all'art. 817 c.c. per avere la sentenza negato il vincolo pertinenziale tra la grotta e il fabbricato acquistato dai ricorrenti col rogito Cesaroni del 1979, nonostante risultasse dall'atto che oggetto della compravendita era stata anche "una scala esterna di accesso a delle grotte adibite anticamente a frantoio oleario" (coincidenti con la grotta controversa). La doglianza è infondata. L'esclusione del vincolo pertinenziale è stata adeguatamente motivata dalla Corte territoriale, che ha rilevato la mancanza sia del requisito oggettivo dell'appartenenza del bene accessorio e del bene principale in proprietà al medesimo soggetto (in proposito la sentenza osserva, a pag. 8, che gli stessi appellanti - attuali ricorrenti - riconoscevano che la grotta non era compresa nel rogito Cesaroni del 1979), sia del requisito soggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra il due beni, opportunamente sottolineando come, nella relazione pertinenziale, l'utilità sia arrecata dalla cosa accessoria a quella principale "e non al proprietario di questa", intendendo, con ciò, che la originaria utilizzazione della grotta a frantoio non comportava automaticamente la sua relazione pertinenziale con la proprietà dei ricorrenti. III - Col terzo motivo si denunciano violazione di legge (artt. 1362 - 1367 c.c.) e vizi di motivazione per avere la sentenza ritenuto che l'oggetto della compravendita stipulata dai ricorrenti con il rogito Cesaroni del 1979 era determinato solo per il fabbricato e la scala esterna di accesso, ma non anche per la grotta, non considerando che l'espressione usata dai contraenti ("con scala di accesso alle grotte naturali") era più che sufficiente a individuare come bene compravenduto anche la grotta in quanto non avrebbe avuto alcun senso se, insieme alla scala, i predetti non avessero inteso trasferire anche la proprietà del detto bene. Anche tale censura va disattesa. Correttamente applicando i canoni ermeneutici la Corte territoriale ha ritenuto che il titolo di acquisto derivativo invocato dai ricorrenti (rogito Cesaroni del 1979), interpretato anzitutto secondo il senso letterale, riguardava soltanto il fabbricato e la scala esterna, non la grotta, che non risultava indicata nell'atto. Ad analoga conclusione si perveniva sul piano logico, apparendo singolare, secondo il giudice d'appello, che la scala risultava indicata specificamente solo nel rogito, mentre nella procura allegata al rogito, nel preliminare e nella piantina allegata al preliminare non figuravano nè la scala nè le grotte. Da tutti questi elementi doveva presumersi "con gravità e concordanza", secondo il giudicante, che nessuna indicazione era contenuta nel titolo di provenienza del dante causa, significativamente mai esibito dai ricorrenti. IV - Col quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento agli artt. 1146 - 1158 c.c., lamentando che l'impugnata sentenza non ha valutato, ai fini dell'accessio possessionis, il fatto che la grotta, sin dal secolo scorso, era stata sempre posseduta dal dante causa dei ricorrenti ed ha erroneamente negato l'ammissione della prova testimoniale da essi richiesta. Anche tale censura va disattesa. Sotto il primo profilo, la Corte territoriale, con un apprezzamento di fatto non censurabile in questa sede perchè adeguatamente motivato, ha evidenziato che l' immobile si trovava in stato di abbandono e, pertanto, in mancanza del titolo di provenienza, doveva essere escluso un possesso dei danti causa dei ricorrenti. Sotto il secondo profilo, ha rilevato che la prova per testi; era genericamente articolata e senza neppure l'indicazione nominativa del teste. Al riguardo il motivo di ricorso è del tutto generico, essendosi i ricorrenti limitati a lamentare l'apoditticità della decisione della Corte territoriale, senza indicare, al fine dell'autosufficienza del gravame da essi proposto sul punto, quali erano state le loro richieste istruttorie, che, disattese dal giudicante, potevano condurre, se accolte, a una diversa decisione. V - Col quinto motivo si denunciano violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento all'art. 102 c.p.c. per non avere la sentenza disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei cinque soggetti che la CTU (pagg. 55 - 56) aveva individuato come proprietari della grotta. La censura è inammissibile per mancanza di interesse, atteso che la domanda di rivendica era stata proposta (ed è stata accolta) con riferimento soltanto alla parte di grotta sottostante la proprietà attorea. Consegue il rigetto del ricorso con la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese, liquidate come segue. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi euro 2391,00 di cui euro duemila per onorari. Roma, 6 febbraio 2002. DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 6 SETTEMBRE 2002