Cassazione civile, SEZIONE I, 4 aprile 1998, n. 3500 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE I CIVILE Composta dagli Ill. mi Sigg. Magistrati: Dott. Nicola LIPARI Presidente" Pellegrino SENOFONTE Consigliere" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "" Antonio CATALANO "" Mario CICALA "ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: CESTISTICA PIETRO VIOLA REGGIO CALABRIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEITRE OROLOGI 14, rappresentata e difesa dall'avvocato PAOLO PICOZZA,giusta delega a margine del ricorso; Ricorrente contro PALLACANESTRO VIRTUS ROMA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CAVOUR 275, presso l'avvocato EMANUELE RICCI, che lo difende unitamente all'avvocato GIUSEPPE LOMBARDI, giusta procura speciale per Notaio Anna Barachinidi Roma rep. 11409 del 13. 3. 1996; Controricorrente avverso la sentenza n. 754-95 della Corte d'Appello di MILANO,depositata il 10-03-95; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del31-01-97 dal Relatore Consigliere Dott. Gian Carlo BIBOLINI; udito per il ricorrente, l'Avvocato Francario, con delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; uditi per il resistente, gli Avvocati Lombardi e Ricci, che hanno chiesto il rigetto del ricorso; udito il P. M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carmine DI ZENZO che ha concluso per il rigetto del ricorso. Fatto La S. r. l. Pallacanestro Virtus S. Roma, instaurò il procedimento arbitrale nei confronti della Cestistica Pietro Viola Reggio Calabria e ne chiese la condanna al pagamento della rata scaduta, e di quelle che sarebbero andate a scadere nelle more del giudizio, dovute dalla convenuta in corrispettivo della cessione dei diritti di utilizzazione sportiva del giocatore Tiziano Lorenzon. La Cestistica P. Viola contrastò questa richiesta deducendo che dopo la conclusione del contratto erano state accertate le non perfette condizioni fisiche del giocatore in relazione ai postumi di un intervento chirurgico al menisco, suscettibili di compromettere quelle garanzie di durata temporale, in termini di carriera residua, costituenti la giustificazione, a fronte delle assicurazioni fornite dalla società cedente, dell'erogazione dell'elevato corrispettivo di L. 3. 850. 000. 000. Sulla base di queste premesse, la convenuta, adducendo di essere stata indotta in errore sull'oggetto essenziale dell'accordo che diversamente non sarebbe stato mai sottoscritto a quelle condizioni, chiese, in via principale, l'annullamento del contratto per dolo determinante e, in subordine, la risoluzione di esso, in ogni caso con condanna della Virtus Roma al risarcimento del danno ed alla restituzione dell"acconto percepito. Il collegio arbitrale respinse le domande di annullamento e risoluzione proposte dalla Cestistica P. Viola e determinò in L. 800. 000. 000 il danno subito dalla società acquirente per le menomazioni fisiche del giocatore, condannandola al pagare la differenza di L. 2. 300. 000. 00 con gli interessi legali dalla scadenza di ogni singola rata. A tal fine gli arbitri rilevarono che la domanda di annullamento per dolo era riconducibile alla violazione del dovere di informazione sicché si era in presenza di un dolo omissivo influente, non sulla decisione della Cestistica P. Viola di assicurarsi le prestazioni del giocatore, ma sulla valutazione della congruità del corrispettivo; se raggiri erano stati posti in essere dai rappresentanti della Virtus Roma, questi non erano stati tali da determinare l'altrui consenso. Era, parimenti, non accoglibile la domanda risoluzione, attesa l'impossibilità del ripristino della situazione " quo ante " rispetto alla conclusione del contratto, perché la residua carriera dell'atleta si andava avvicinando al suo termine naturale con progressiva diminuzione di ogni connesso valore economico e, per di più, la Cestistica P. Viola aveva fruito per ben due anni delle prestazioni sportive del Lorenzon traendone una utilità che non poteva essere oggetto di restituzione specifica. Il collegio arbitrale accolse, invece, la domanda di risarcimento del danno valutandola in via autonoma nell'anzidetta misura di L. 800. 000. 000 per la ridotta fruibilità del giocatore sul mercato. Avverso il lodo proposero impugnativa entrambe le parti. La Cestistica Virtus dedusse: a) la violazione delle regole di diritto nella formazione del lodo, con riguardo alla domanda principale di annullamento per dolo qualificato in forma "incidente, anziché" determinante", sulla base di elementi che non potevano essere posti a base della decisione, quali l'interrogatorio libero reso dal dott. Viola; b) la violazione dell'art. 1492 c. c. , con riferimento alla domanda subordinata di risoluzione del contratto, posto che il ritrasferimento del giocatore era sempre possibile con il nullaosta federale, ed il vizio afferente il lodo anche in ragione dell'accoglimento della domanda di risarcimento non introdotta in via principale, ma soltanto in via accessoria, subordinatamente all'accoglimento di quella di annullamento o di risoluzione. La Virtus Roma pose a base della domanda di annullamento: a) la nullità del lodo per ultrapetizione sul rilievo che mai la Cestistica Viola aveva svolto azione autonoma di danni o " quanti minoris"; b) la nullità per violazione delle norme in tema di responsabilità contrattuale od extracontrattuale. La corte di appello di Milano, pronunciando su entrambe le impugnazioni, ha così deciso sulle questioni che formano oggetto del giudizio in questa sede. Il motivo di nullità del lodo per "error in procedendo" ai sensi dell'art. 829, n. 4 c. p. c. , comune alle parti, era fondato, avendo gli arbitri pronunciato su di una questione che esulava dai limiti del compromesso. Ed invero, dall'inequivoco tenore delle domande proposte dalla Cestistica P. Viola, risultava che quest'ultima aveva chiesto, in via principale l'annullamento del contratto, ed in via subordinata, la risoluzione con la restituzione, in entrambi i casi, di quanto già pagato a titolo di acconto, ed il risarcimento dei danni conseguenti. Era, perciò, evidente che la domanda di risarcimento non costituiva una domanda autonoma, svincolata da quelle di annullamento o di risoluzione, ma rappresentava il naturale compendio di esse, sicché il loro rigetto impediva agli arbitri di travalicare la materia del contendere e di pronunciare sulla prima, surrettiziamente trasformata in un'azione "estimatoria" mai proposta. Era, invece, inammissibile la domanda di nullità formulata dalla Cestistica P. Viola sulla base della dedotta inosservanza delle regole di diritto nella delibazione della richiesta di annullamento del contratto per dolo, poiché la censura era stata dedotta sotto il profilo che gli arbitri erano pervenuti alla decisione utilizzando "argomenti di prova" e non "prove", quali le risultanze dell'interrogatorio libero dei dott. Viola in uno alla scorretta dal loro contesto di argomenti difensivi. Tale censura, infatti, si risolveva in una generica doglianza circa supposti errori di apprezzamento delle risultanze processuali il cui valore più o meno probante è rimesso al libero apprezzamento dei giudice, purché adeguatamente motivato. Conclusione analoga si imponeva, secondo il giudice del merito, con riguardo al motivo di annullamento del lodo per asserita violazione dell'art. 1492 c. c. , con riferimento alla domanda subordinata di risoluzione contrattuale per vizi della "compravendita" poiché, pur rimanendo nell'ambito della qualificazione negoziale attribuita dagli arbitri, la censura, formulata sotto il profilo di un "error in iudicando" per inesatta applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale era da ritenere infondata. Gli arbitri, infatti, avevano rinvenuto nella supposta impossibilità di ripristino della situazione "quo ante" un ostacolo alla pretesa risoluzione ai sensi dell'art. 1492, terzo comma c. e c. , e tale conclusione era immune dalla critiche dedotte dall'appellante, stante la sua conformità al disposto della norma indicata. Si imponeva, pertanto, l'annullamento parziale del lodo con riguardo alla statuizione in tema di danno, determinazione del prezzo residuo e corrispondente misura della condanna e la conseguente condanna della Cestistica P. Viola alla esecuzione del contratto, con il pagamento alla Virtus Roma del saldo prezzo di L. 3. 100. 000. 000, oltre interessi e spese. Ricorre per cassazione la Cestistica Pietro Viola Reggio Calabria sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la s. r. l. Pallacanestro Virtus Roma. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Diritto La ricorrente deduce, con il primo motivo, la violazione o falsa applicazione dell'art. 829 c. p. c. , nonché degli artt. 1439, 1440, W 2729 c. c. in relazione all'art. 360, n. 3 c. p. c. ed il vizio di motivazione. Con il proposto mezzo di ricorso viene censurata, in primo luogo, la pronuncia di inammissibilità del primo motivo di impugnazione sollevato in appello sotto il profilo che nell'impugnazione del lodo deve essere consentito il riesame del merito finalizzato alla verifica della corretta applicazione delle norme di diritto che si assumono violate. La violazione di legge permette, in sostanza, una rinnovata valutazione dei fatti quando ciò sia richiesto dalla esigenza di verificare che nella decisione degli arbitri non siano state violate norme di diritto. Questo è quanto si verifica in caso di violazione delle norme di ermeneutica contrattuale, con conseguente errata valutazione dell'effettiva volontà delle parti nella fase di stipulazione dei negozio controverso. Nella specie la doglianza dell'appellante aveva ad oggetto l'esatta individuazione della volontà delle parti ed il nucleo della censura in appello consisteva proprio nella contestazione del lodo nella parte in, qualificando come incidente il dolo della controparte a nonna dell'art. 1440 c. c. , aveva erroneamente interpretato le motivazioni ed il senso complessivo dell'atto di volontà della Cestista Pietro Viola all'atto dell'acquisto, travisando, oltre i fatti, la effettiva volontà delle parti e violando la disciplina recata dalla nonna innanzi indicata nel ritenere il dolo incidente. Nell'ambito dello stesso mezzo, la ricorrente si duole che la corte del merito abbia ritenuto inammissibile l'appello anche sotto il profilo del dedotto vizio di motivazione, ritenendo che ai fini dell'annullabilità del lodo ai sensi dell'art. 829, n. 5 c. p. c. rileva soltanto la sussistenza e la sufficienza della motivazione, non anche la congruità e la sua eventuale nullità . Per l'esatta comprensione della censura è necessario tenere conto, come esposto in premessa, che la ricorrente, con il primo motivo di impugnazione del lodo dedusse la violazione delle regole di diritto nella formazione di questo, con riferimento alla domanda principale di annullamento per dolo che il collegio arbitrale aveva qualificato come "incidente", anziché "determinante", sulla base di elementi che non avrebbero potuto essere posti a base della decisione, quali le risultanze dei libero interrogatorio di chi, come il dott. Viola, all'epoca dei fatti neppure rappresentava la società , ed il comportamento processuale desunto dal tenore travisato delle proprie difese. La corte di appello, valutando la censura così formulata come una generica doglianza concernente supposti errori di apprezzamento delle emergenze del processo, l'ha disattesa, sul rilievo che gli arbitri avevano dato ampiamente conto delle ragioni per le quali erano addivenuti alla esclusione del determinante il consenso, indicando gli elementi univocamente rilevanti in tal senso. Con il motivo di ricorso che si sta esaminando, la ricorrente sottopone a critica questa conclusione sotto il profilo della violazione dell'art. 1440 c. c. e delle norme di ermeneutica contrattuale, ma la censura è articolata in modo del tutto generico e fuorviante poiché la violazione della norma codicistica è formulata con esclusivo riguardo alla non corretta applicazione della disciplina sulla interpretazione dei contratti, senza alcuna indicazione relativamente ai criteri legali di interpretazione che risulterebbero malamente applicati. E conclusione analoga si impone con riguardo all'ulteriore profilo nel quale si articola il motivo di ricorso con il quale la Cestistica Viola censura la pronuncia della corte del merito nella parte in cui è stato escluso che potesse assumere rilievo, ai fini dell'annullabilità del lodo, la congruità della motivazione e la sua eventuale contraddittorietà . La deduzione così svolta assume come punto di partenza alcuni passi della decisione impugnata, estrapolandoli dal contesto generale delle argomentazioni sviluppate dal giudice dei merito il quale, in realtà , ha escluso la conclamata violazione della norma sostanziale di cui si è detto sulla considerazione che essa si traduceva nella postulazione di un vizio nell'interpretazione degli elementi di prova ed in un vizio di motivazione. Ma questa impostazione è del tutto immune dalla critica della ricorrente la quale deduce in tal modo un vizio inerente alla motivazione della decisione impugnata, vizio che in realtà non sussiste poiché la denuncia di esso, secondo il costante orientamento di questa corte, ha un obiettivo limitato, che si coordina con il giudizio di legittimità proprio della Corte di Cassazione, e tende soltanto al controllo di legalità sul modo e sui mezzi adoperati dal giudice del merito nel motivare la sua decisione affinché si accerti se questa sia coerente nell'esposizione delle ragioni e delle fonti di convincimento, tanto da rendere possibile la verifica. del processo logico seguito. Ma, poiché il sindacato consentito dall'art. 360, n. 5 c. p. c. riguarda esclusivamente la legittimità , e non può essere diretto ad un riesame delle risultanze probatorie in quanto il potere discrezionale del giudice del merito trova, al riguardo, unicamente il limite dell'obbligo di indicare le fonti del proprio convincimento, ne consegue che si è del tutto al di fuori del vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione quando, come nella specie, la proposta doglianza, pur formalmente rivolta a prospettare un difetto nel ragionamento del giudice, si traduce in una generica critica del provvedimento, in quanto non conforme alle aspettative del ricorrente. Con il secondo motivo la Cestitica P. Viola denuncia la violazione o falsa applicazione dell'art. 1492 c. c. , nonché degli artt. 1 e 17 del regolamento esecutivo della FIP, ritualmente approvato dal CONI in virtù dei poteri normativi regolamentari conferiti con al legge n. 426-1942, ed il vizi di motivazione, deducendo: a) che la preclusione contenuta nell'art. 1492 c. c. ha riferimento alla impossibilità di restituzione verificatasi prima della proposizione dell'azione redibitoria mentre nella specie gli elementi evidenziati dalla corte di appello sull'impossibilità di restituire il giocatore con le medesime capacità sportive esistenti ala stipulazione del contratto attengono a fatto verificatisi in corso di causa; b) che l'avvenuta utilizzazione del bene nella consapevolezza della sussistenza dei vizi, assume rilievo al fine soltanto quando costituisca comportamento atto ad evidenziare che acquirente abbia inteso accettare il bene rinunciando alla maggiore tutela risolutoria. Conseguentemente al rilievo della corte di appello secondo cui il giocatore sarebbe stato nel campionato 1990-1991 in trentadue gare, la ricorrente rileva che il vizio lamentato non incideva sulla idoneità del medesimo a svolgere la sua attività , ma soltanto sulla durata della sua capacità attiva e dei tempi di carriera, riducendone sensibilmente il valore di mercato. Quanto alla circostanza, valorizzata dalla corte milanese, secondo cui la Viola avrebbe fatto valere i postumi dell'intervento chirurgico soltanto nell'aprile maggio 1992 e in modo strumentale in relazione alla richiesta di pagamento del prezzo, la ricorrente rileva che così argomentando non si è tenuto conto della lettera del 2 agosto 1991 con la quale, subito dopo i postumi dell'operazione, essa istante aveva comunicato alla controparte che l'accordo era da considerare invalido ed inoperante la cessione, ed a tal fine viene richiamata tutta la corrispondenza intercorsa fra le parti in causa. Infine, si assume che la corte non ha tenuto conto del fatto che la cessionaria, ai sensi della normativa federale, non poteva restituire nell'immediato il giocatore, ed a propria iniziativa, in quanto ciò avrebbe potuto avvenire soltanto alla fine del campionato e con l'adesione della controparte. Neppure questo motivo di ricorso merita accoglimento. Ed invero, rimanendo nell'alveo della qualificazione giuridica alla quale si sono riferiti gli arbitri sulla base delle prospettazioni delle parti, va rilevato che nell'ipotesi che la cosa presenti vizi, secondo quanto dispone l'art. 1492 c. c. , sono attribuiti al venditore due rimedi, l'azione di risoluzione e quella di riduzione del prezzo; ma la prima resta esclusa tutte le volte in cui la restituzione sia divenuta impossibile essendo la cosa " perita per caso fortuito o per colpa del compratore o se questi l'ha alienata o trasformata". Ed è pacifico che tale situazione si verifica allorché la restituzione non sia più possibile, non soltanto per effetto dell'alienazione o trasformazione della cosa, ma anche a causa dell'espropriazione, dello smarrimento, della consumazione o della sua messa "extra commercium". Si ritiene, altresì, che analoga situazione si verifica nel caso dei perimetro del deterioramento della cosa, o della modificazione della sua consistenza da parte dell'acquirente (in tal senso, Cass. 28 aprile 1992, n. 5034). Nella specie la corte del merito ha rilevato che, secondo quanto accertato dagli arbitri, l'atleta aveva speso necessariamente parte delle sue energie sportive in favore della Cestistica Viola che l'aveva utilizzato per due stagioni in campionato ed ha argomentato da questo dato, nonché dalla ulteriore emergenza processuale consistente nella fruizione delle prestazioni del giocatore anche nel periodo immediatamente successivo all'accertamento dei postumi dell'intervento chirurgico al ginocchio dei quali era portatore per concludere che in tal modo la ricorrente aveva tenuto un comportamento incompatibile con la volontà e la finalità di provocare l'immediato scioglimento del vincolo. Si tratta, come è evidente, di una conclusione, per un verso, ancorata a puntuali elementi oggettivi di riscontro, per altro verso, fondata su criteri giuridici corretti atteso che nel quadro dei fattori preclusivi dell'azione di risoluzione di cui si discute può farsi rientrare anche il comportamento dei compratore il quale, accettando il bene pur nella consapevolezza del vizio, esprime in tal modo la volontà di rinunciare alla maggior tutela derivante dall'esercizio dell'azione di risoluzione. Si impone, quindi, per quanto si è esposto, il rigetto del ricorso. Sussistono giusti motivi per compensare interamente le spese del presente giudizio. P. Q. M la Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese. Così deciso in Roma, addì 31 gennaio 1997 Nota Redazionale - In tema di azione redibitoria, Cass. 8 giugno 1994 n. 5552, Arch. civ. , 1995, 48.