Cass_4_2_00_1231 Cassazione civile, SEZIONE III, 4 febbraio 2000, n. 1231 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Gaetano FIDUCCIA - Presidente - Dott. Roberto PREDEN - Consigliere - Dott. Antonio LIMONGELLI - Consigliere - Dott. Bruno DURANTE - Rel. Consigliere - Dott. Antonio SEGRETO - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: CANCELLARA SAVERIO, HELVETIA IMMOBILIARE SRL, in persona del suo legale rappresentante Marco Borreani, elettivamente domiciliati in ROMA CIRCONVALLAZIONE CLODIA 80, presso lo studio dell'avvocato MICHELE DE NOVELLIS, che li difende unitamente all'avvocato per GIORGIO GENTILLI, giusta delega in atti; - ricorrente - contro BOBBIO ANGELO, MARZOLLA GABRIELLA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA LAZIO 20-C presso lo studio dell'avvocato CLAUDIO COGGIATTI, che li difende unitamente all'avvocato GUGLIELMINETTI PIER GIACOMO giusta delega in atti; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 941-96 della Corte d'Appello di TORINO, emessa il 28-6-1996 depositata il 08-07-96; RG. 42-96, udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28-09-99 dal Consigliere Dott. Bruno DURANTE; udito l'Avvocato MICHELE DE NOVELLIS; udito l'Avvocato CLAUDIO COGGIATTI; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo MACCARONE che ha concluso per il rigetto del ricorso. Fatto Bobbio Angelo e Marzolla Gabriella proponevano opposizione all'ingiunzione di pagamento della somma di lire 31.420.000, oltre accessori, emessa a richiesta di Cancellara Saverio e della s.r.l. "Helvetia Immobiliare" dal presidente del Tribunale di Torino nei loro confronti. Deducevano: - non era chiaro se titolare del diritto di credito fosse il Cancellara in proprio o la società; - a parte che la stipula di contratto preliminare di vendita non bastava a fare sorgere il diritto alla provvigione, all'uopo occorrendo la stipula di contratto definitivo, il contratto "de quo" era stato concluso al di fuori di qualsiasi attività del Cancellara, sicché lo stesso non aveva diritto alla provvigione; - in relazione alla società non era configurabile un rapporto di mediazione, rivestendo la stessa la qualità di mandataria della società venditrice ed essendo, inoltre, ad essa legata da un vincolo di collaborazione ed interdipendenza; - la clausola del contratto preliminare, secondo la quale "le provvigioni relative al Cancellara rimangono a carico della parte promissaria", era generica e non costituiva prova idonea del diritto alla provvigione. Resistevano gli opposti, i quali sostenevano: - il contratto era stato concluso per effetto dell'attività svolta dal Cancellara in proprio e quale rappresentante della società; - la circostanza che i promittenti acquirenti avessero a sè sostituito altro soggetto nel contratto definitivo non valeva ad escludere il diritto alla provvigione; - la clausola del contratto preliminare concretava contratto a favore di terzo ed ai fini della sua efficacia non era necessario che alla stipula partecipasse il Cancellara. Il Tribunale accoglieva l'opposizione; i soccombenti proponevano gravame, che la Corte d'Appello di Torino rigettava con sentenza resa il 28.6.1996. La corte ha così motivato in relazione ai punti ancora in discussione: - l'art. 1758 c.c. contempla l'ipotesi della pluralità di mediatori e la disciplina nel senso che ciascun mediatore ha diritto ad una frazione della provvigione; - non contempla l'ipotesi dell'"intera mediazione realizzata indipendentemente da due soggetti" per l'ovvia ragione che, se due soggetti hanno provocato "per intero la conclusione dell'affare", non è dato individuare quale attività sia dotata di efficienza causale; il che si risolve sul piano processuale nella nullità della citazione per indeterminatezza dell'oggetto e sul piano sostanziale comporta insussistenza del diritto alla provvigione; - il contratto concluso dalla "Helvetia leasing" e dalla "Helvetia immobiliare" va qualificato mandato in relazione al tenore letterale delle clausole, che la compongono, ed alla valutazione dalle medesime ispirata a criteri di buona fede; - da tale qualificazione discende l'impossibilità di inquadrare l'attività della "Helvetia immobiliare" nella mediazione, per mancanza del requisito dell'imparzialità, ed il rigetto della domanda; - seppure è astrattamente vero che l'autonomia contrattuale può dare vita a contratto mediatizio atipico, tale contratto va provato e nella specie non lo è stato; il fatto che il Cancellara abbia svolto attività marginale (apertura e chiusura dell'immobile) è privo di rilevanza ai fini della mediazione; - la dichiarazione "le provvigioni relative al Cancellara rimangono a carico di parte promissaria" non è dotata di valenza confessoria (non concernendo fatti obiettivi), non configura riconoscimento di debito (per difetto di recettizietà), non è qualificabile contratto a favore di terzo (mancando "una stipulazione fra i paciscenti in favore del terzo"); seppure valesse, come ritenuto dai primi giudici, quale riconoscimento di debito, comporterebbe esclusivamente inversione dell'onere probatorio nel senso che nel caso concreto i dichiaranti (Bobbio e Marzolla) dovrebbero provare l'assenza di cause sottostanti; prova pienamente raggiunta. Il Cancellara e la s.r.l. "Helvetia immobiliare" hanno proposto, ricorso per cassazione, affidandone l'accoglimento a sei motivi; hanno resistito con controricorso il Bobbio e la Marzolla; i ricorrenti hanno depositato memoria. Diritto 1. Per ragioni di ordine logico va esaminato per ultimo il primo motivo del ricorso. 2.1. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt. 1322, 1350, 1362, 1754, 1755 c.c. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.; lamentano che la Corte di merito abbia attribuito decisiva importanza al contratto 20.9.1987, erroneamente qualificato mandato, omettendo non solo di considerare che manca la prova che si tratti in effetti di contratto proveniente dalla "Helvetia leasing", ma anche di verificare se vi sia stata accettazione scritta (necessaria, trattandosi di beni immobili) e se il contratto si riferisca all'immobile per cui è causa; aggiungono che l'esistenza di mandato non esclude il diritto alla provvigione nei confronti del Bobbio e della Marzolla. 2.2. Il motivo è inammissibile nella parte che si riferisce al contratto, introducendo questioni che non sono state prospettate nel giudizio di appello e richiedono valutazioni di fatto; è infondato nel resto. 2.3. Al qual proposito va rilevato che l'art. 1754 C.C. pone come requisito soggettivo negativo per l'esercizio dell'attività di mediazione l'inesistenza di rapporti di dipendenza, collaborazione, rappresentanza tra il mediatore e le altre parti. Non sono, pertanto, compatibili le posizioni di mediatore e di rappresentante di una parte dell'affare. La giurisprudenza di questa Corte ha individuato la ragione dell'incompatibilità nell'esigenza di garantire l'imparzialità del mediatore (cfr. ex plurimis Cass. 25.2.1987 n. 1995; Cass. 28.2.1986 n. 1294) anziché nel fine di evitare una duplicazione di rapporti o un cumulo di retribuzioni. Solo quando l'attività di mediazione risulti esaurita con la conclusione dell'affare, l'incompatibilità viene meno e chi l'ha svolta può essere incaricato da una delle parti di rappresentarla negli atti relativi al contratto concluso con il suo intervento (art. 1761 C.C.). La provvigione è inesigibile tanto nei confronti del rappresentato che nei confronti dell'altro contraente: nei confronti del primo perché il rappresentante agisce in tale veste; nei confronti dell'altro perché si presenta in veste di parte dell'affare (sia pure agente in nome altrui) e non già in quella di mediatore. 3.1. Con il terzo motivo i ricorrenti, denunciando violazione degli artt. 1988, 2697 c.c. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., nonché vizi di motivazione, deducono che la Corte di merito 1) ha erroneamente ritenuto che l'onere di provare la sussistenza di mediazione atipica gravasse su di loro; 2) per questo modo ha mostrato di prescindere dal documento 10.2.1988, che, a suo giudizio, ha valore di riconoscimento di debito; 3) dal documento e dal l'interrogatorio del Bobbio e della Marzolla, di cui è stata omessa la valutazione, risulta la consapevolezza da parte di questi ultimi dell'attività mediatoria. 3.2. Il motivo è privo di fondamento. 3.3. L'onere di provare l'esistenza della fattispecie mediatoria, sia essa tipica o atipica, grava sul mediatore, il quale faccia valere in giudizio il diritto alla provvigione, e può essere assolto con ogni mezzo, presunzioni comprese. La Corte di merito ha ritenuto che il documento, al quale viene fatto riferimento, non vale come riconoscimento di debito per mancanza del requisito della recettizietà e ha aggiunto "ad abundantiam" che, ove avesse tale valore, non altro effetto si produrrebbe che onerare i contraenti della prova dell'inesistenza della fattispecie mediatizia. In questo contesto è infondato sostenere che il documento ha indotto dispensa dall'onere di provare la detta fattispecie. Nel ribadire che, così come affermato da questa Corte (cfr. Cass. 21.7.1994 n. 6814), la mediazione presuppone la volontà di avvalersi dell'opera del mediatore, per cui non sorge il rapporto - con esso il diritto alla provvigione - nei confronti della parte che non è stata posta in condizione di conoscere l'opera di intermediazione, va rilevato che infondatamente i ricorrenti sostengono che tale consapevolezza avrebbe dovuto essere desunta dal documento di cui sopra, essendo il medesimo privo di valenza probatoria, mentre la mancata indicazione del contenuto dell'interrogatorio formale impedisce il controllo di legittimità da esercitare sulla base del ricorso per il principio di autosufficienza del medesimo (cfr. Cass. 1.2.1995 n. 1161). 4.1. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono "omessa e comunque erronea valutazione delle risultanze processuali ed in particolare omessa valutazione degli interrogatori formali prestati dai Bobbio e Marzolla; violazione degli artt. 2730 c.c. e 228 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c."; sostengono che la corte di merito ha ritenuto che sia stato provato soltanto che "il Cancellara ha aperto e chiuso alcune volte il magazzino, onde consentire la visita dei Bobbio - Marzolla"; viceversa, dalla deposizione della teste Di Mase risulta che "lo stesso Drudi fece palese la necessità - per potere visionare l'immobile - di passare attraverso il Cancellara"; "maggiore importanza hanno le risposte dei Bobbio - Marzolla rese in sede di interpello formale ed in relazione alle quali la corte ha omesso qualsiasi valutazione"; secondo tali risposte "i contatti con la proprietà sono avvenuti dopo che i Bobbio - Marzolla avevano già preso visione dell'immobile a seguito dell'attività mediatoria posta in essere dal Cancellara". 4.2. Occorre premettere che ai fini della realizzazione della fattispecie mediatizia si richiede "la messa in relazione" delle parti, da intendere estensivamente come attività che presenti un'efficienza causale, sia pure insieme ad altri fattori, rispetto alla conclusione dell'affare. Rientra, pertanto, nel concetto di opera intermediatrice il reperimento e l'indicazione dell'altro contraente, la segnalazione dell'affare (cfr. ex plurimis Cass. 3.9.1991 n. 9350; Cass. 14.10.1988 n. 5560), la rimozione di difficoltà insorte tra le parti che siano già in contatto tra di loro (cfr. Cass. 18.5.1977 n. 2030), con la precisazione che ai fini della configurazione del nesso causale tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare non è necessario che l'intervento del primo copra tutte le fasi delle trattative fino all'accordo definitivo (cfr. Cass. 13.8.1997 n. 7554; Cass. 14.10.1988 n. 5560). Ora, la Corte di merito, dopo avere prestato adesione alla tesi della natura contrattuale della mediazione (per la quale cfr. - tra tutte - Cass. 23.7.1983 n. 5212; Cass. 6.10.1981 n. 5240) e dopo avere rilevato che le parti non hanno "allegato di avere precisamente stipulato alcunché (derivandone l'irrilevanza del fatto che "il Cancellara abbia pur svolto qualche marginale attività di apertura e chiusura del magazzino"), ha svolto la considerazione colpita dalla censura e, cioè, che "le prove testimoniali escludono la sussistenza di qualsiasi attività mediatoria". A parte che si tratta di argomento "ad abundantiam", va rilevato: in ordine alla prova testimoniale che per il tramite strumentale dell'art. 360 n. 5 c.p.c. viene richiesta una rivalutazione delle risultanze processuali, non consentita al giudice di legittimità; in relazione agli interrogatori formali che in tanto il loro mancato esame varrebbe a concretare il vizio di omessa motivazione in quanto fosse possibile ritenere che le circostanze da essi emergenti avrebbero certamente portato a diversa decisione (cfr. Cass. 26.11.1997 n. 11853); il che non è stato neppure dedotto dai ricorrenti. 4.3. Il motivo è, pertanto, insuscettibile di trovare accoglimento. 5.1. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt. 1362, 1367, 2735, 1411, 1988 c.c. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., nonché vizi di motivazione; lamentano che la corte di merito 1) dopo avere negato valenza probatoria alla dichiarazione "le provvigioni relative al Cancellara rimangono a carico della parte promissaria", ha con grave contraddizione prima affermato e poi negato che la medesima possa essere qualificata riconoscimento di debito; 2) ha ritenuto che la dichiarazione non concreti contratto a favore di terzo in quanto manca la costituzione di un diritto, di cui il terzo divenga autonomamente e direttamente titolare, 3) nell'interpretazione della dichiarazione ha violato i principi della conservazione del contratto e della valutazione del comportamento complessivo delle parti; 4) ha omesso di considerare che pur in difetto di recettizietà il riconoscimento di debito ha valenza probatoria del rapporto fondamentale, cui si riferisce. 5.2. Neppure questo motivo può essere accolto. 5.3. La Corte di merito ha ritenuto che la dichiarazione "de qua" non costituisce riconoscimento di debito per mancanza di recettizietà e si è cosi uniformata alla giurisprudenza di questa Corte che considera la recettizietà requisito del riconoscimento (cfr. ex plurimis Cass. 22.1.1987 n. 567). L'avere, poi, la Corte considerato ad altri fini la, dichiarazione riconoscimento di debito, lungi dal concretare il dedotto vizio di contraddittorietà, si pone nell'iter logico della sentenza impugnata come argomento "ad abundantiam", inidoneo a costituire oggetto di autonoma censura in questa sede. Ben vero che la dichiarazione, inefficace come riconoscimento di debito, può valere come prova del rapporto debitorio (cfr. Cass. 6.12.1988 n. 6625), ma a questo fine è necessario che sia dotata di efficienza confessoria; il che nella specie la Corte di merito ha escluso, senza che al riguardo sia stata elevata doglianza. Le ulteriori censure si sostanziano nel semplice rilievo che non si è fatta applicazione dei canoni interpretativi della conservazione del contratto e della valutazione del comportamento complessivo delle parti. Tali censure sono inammissibili, atteso che in tema di interpretazione ai fini dell'ammissibilità del ricorso per cassazione non basta che la parte richiami genericamente i criteri, che assume violati, ma è necessario che indichi specificamente il punto e il modo in cui il giudice si è da essi discostato (cfr. Cass. 20.8.1997 n. 7738; Cass. 15.11.1997 n. 11334). 6.1. Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano la mancata ammissione dei mezzi di prova richiesti e, particolarmente, deducono che la Corte di merito ha ritenuto che tali mezzi si riferiscono alla circostanza dell'apertura del locale, mentre in effetti hanno un contenuto più ampio; aggiungono che la Corte avrebbe dovuto sentire "Cerrato" come teste di riferimento. 6.2. Il motivo è inammissibile in ogni sua articolazione: quanto alla richiesta di prova, non avendo i ricorrenti indicato specificamente le circostanze che ne formano oggetto sì da consentire il controllo della decisività dei fatti da provare sulla sola base del ricorso (cfr. Cass. 22.3.1993 n. 3356); quanto all'audizione del teste, costituendo la medesima esercizio di potere discrezionale, incensurabile in sede di legittimità anche sotto il profilo del difetto di motivazione (cfr. Cass. 3.10.1995 n. 10371). 7.1. Può ora passarsi all'esame del primo motivo, con il quale i ricorrenti lamentano violazione degli artt. 1755, 1758, 2909 c.c., 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 stesso codice, nonché vizi di motivazione, e censurano la sentenza impugnata per avere fatto discendere dalla doppia impostazione (Cancellara - Helvetia immobiliare) la nullità della citazione per indeterminatezza dell'oggetto; in effetti - sostengono - la sentenza, dopo avere affermato la nullità della citazione, è contraddittoriamente passata all'esame del merito; inoltre sull'ammissibilità della domanda si sono affermativamente pronunciati i giudici di primo grado e la pronuncia è passata in giudicato con effetti preclusivi; infine, la concorrenza delle domande può tutt'al più comportare rigetto di una di esse, giammai di entrambe. 7.2. La Corte territoriale ha escluso che nella specie sia ravvisabile mediazione e non avrebbe dovuto esaminare per niente la problematica concernente l'ammissibilità di domanda cumulativa, presupponendo tale problematica la sussistenza del contratto escluso. Ne consegue che l'eventuale fondatezza delle censure non potrebbe incidere sulla sentenza impugnata, determinandone l'annullamento, ed il motivo è inammissibile. In conclusione, il ricorso va rigettato con condanna dei ricorrenti al pagamento in solido delle spese per il principio della soccombenza. P.Q.M La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese in L 303.400, oltre onorari liquidati in lire 3.000.000. Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione il 28 settembre 1999. Nota - In senso conforme alla prima parte della massima, cfr.: Cass. 25 febbraio 1987 n. 1995. - Sulla natura recettizia della ricognizione di debito, cfr.: Cass. 9 gennaio 1998 n. 130; Cass. 1 dicembre 1994 n. 10253.