Cass_4_1_02_71 Cassazione civile, seconda sezione, sent. n. 71 del 4 gennaio 2002 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Franco PONTORIERI - Presidente
Dott. Ugo RIGGIO - Consigliere
Dott. Giovanni SETTIMJ - Consigliere
Dott. Umberto GOLDONI - Rel. Consigliere
Dott. Sergio DEL CORE - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: CARLOTTI ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA V.LE BRUNO BUOZZI 32, presso lo studio dell'avvocato CARLO MARTUCCELLI, che lo difende unitamente agli avvocati CARMINE COVINO, MASSIMO GUZZELONI, giusta delega in atti; - ricorrente - contro BONO SAVINA, BONO GIUSEPPE, elettivamente domiciliati in ROMA VIA CRESCENZIO 19, presso lo studio dell'avvocato PAOLO PIPERNO, che li difende unitamente agli avvocati COSTANTINO ERCOLI, PIERANTONIO ERCOLI, giusta delega in atti; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 912/99 della Corte d'Appello di MILANO, depositata il 16/04/99; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/10/01 dal Consigliere Dott. Umberto GOLDONI; udito l'Avvocato MARTUCCELLI Carlo, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Massimo FEDELI che ha concluso per il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 11.11.1991 Antonio Carlotti, proprietario dell'immobile sito in Lodivecchio, via S. Rocco 43, affermando che esso era stato edificato sul confine nel 1963 ed aveva due vedute sul fondo confinante, conveniva davanti al Tribunale di Lodi Savina e Giuseppe Bono, i quali, nel maggio del 1991, avevano costruito sul terreno di loro proprietà due box in aderenza all'immobile dell'attore, chiedendo l'accertamento del suo diritto di avere vedute dirette e/o oblique sul fondo vicino, l'accertamento della illegittimità della costruzione dei box di proprietà dei convenuti, in quanto edificati senza il rispetto della norma di cui all'art. 907 c.c. sulle distanze legali, nonché la loro condanna alla eliminazione di dette costruzioni oltre al risarcimento dei danni. Si costituivano i convenuti, i quali contestavano il fondamento delle avverse domande, chiedendo il rigetto delle stesse, previo accertamento della inesistenza del diritto vantato dall'attore e previa qualificazione delle aperture esistenti sulla proprietà dello stesso come luci, e svolgendo domanda riconvenzionale al fine di ottenerne la regolarizzazione ex art. 901 c.c. Con sentenza in data 25.6/10.9.1996 il Tribunale adito dichiarava il diritto dell'attore di avere vedute dirette e/o oblique sul fondo vicino di proprietà dei convenuti, nonché la illegittimità della costruzione dei box di loro proprietà, condannandoli alla eliminazione degli stessi mediante demolizione e/o arretramento delle costruzioni fino alla distanza di metri tre dall'edificio attoreo, oltre al rimborso delle spese di giudizio, e respingeva ogni altra domanda delle parti. I Bono presentavano impugnazione avverso tale pronuncia, allo scopo di sentirla integralmente riformare; si costituiva l'appellato, il quale chiedeva la reiezione di detto gravame e proponeva appello incidentale. Con sentenza in data 17.3/16.4.1999, la Corte di appello di Milano accoglieva l'appello principale, regolando le spese. Osservava la Corte territoriale che il dedotto vizio di ultrapetizione era fondato. Invero, nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado il Carlotti non aveva affatto indicato, nemmeno implicitamente, il titolo a sostegno del suo preteso diritto di veduta sul fondo vicino di proprietà dei Bono; in tale atto non era stata certamente allegata l'usucapione quale titolo acquisitivo del diritto affermato, in quanto le espressioni usate (e, in particolare, la frase "l'immobile di proprietà Antonio Carlotti è stato edificato sul confine nel 1963 ed ha due vedute sul fondo confinante di proprietà Savina Bono e Giuseppe Bono") non consentivano di individuare gli elementi tipici di tale modo di acquisto del diritto; anzi, l'acquisto del diritto per usucapione risultava essere stato escluso dal Carlotti medesimo. Inoltre, le aperture in esame non potevano qualificarsi vedute, Infatti, per definirsi veduta l'apertura sul fondo del vicino, essa deve consentire non solo la visione, ma anche la possibilità di affacciarsi, operazione consistente nello sporgere il capo, in modo da assoggettare detto fondo ad una visione mobile e globale: la presenza delle inferriate apposte alle aperture site nel fabbricato del Carlotti escludeva questa speciale attitudine visiva, come appariva evidente dal solo esame delle fotografie in atti; inoltre, la finestra al piano terra, il cui davanzale interno dista m. 1,07 dal piano di calpestio del locale, era munita di uno schermo in vetro non trasparente, fisso, posto sopra il davanzale per un'altezza di cm. 60. Tanto impediva una visuale completa sul fondo alieno muovendosi all'interno del locale del piano terra, secondo quanto asserito dal consulente tecnico d'ufficio e ritenuto dal Tribunale, il cui giudizio sulla facile amovibilità del vetro, tra l'altro, non aveva alcuna giustificazione obiettiva. Poiché, dunque, le aperture in oggetto non erano vedute, esse non potevano che essere luci, non esistendo un tertium genus; ne derivano il rigetto di ogni domanda proposta dal Carlotti e l'accoglimento delle domande formulate in via riconvenzionale dai Bono: invero, quella che il Carlotti aveva qualificato nella comparsa di costituzione in appello "eccezione riconvenzionale di usucapione relativa al diritto di veduta dalle due finestre de quibus" costituiva, in effetti, non mera eccezione bensì domanda nuova e, come tale, inammissibile in secondo grado. Comunque non era stata fornita prova alcuna in ordine alla sussistenza degli estremi concernenti tale titolo acquisitivo, essendo solo emersa al riguardo una mera tolleranza da parte dei Bono. Il Carlotti, conseguentemente, andava condannato a regolarizzare le aperture in oggetto in adempimento a quanto disposto dall'art. 901 c.c.. Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di sette motivi, Antonio Carlotti; resistono con controricorso Savina e Giuseppe Bono. Entrambe le parti hanno presentato memoria. Motivi della decisione La sentenza impugnata si basa, per pervenire alla reiezione della domanda originariamente proposta dal Carlotti, su due argomentazioni. La prima di esse si basa su di un rilevato vizio di ultra petizione ravvisabile nella sentenza di primo grado per non avere, nell'atto introduttivo del giudizio, l'odierno ricorrente indicato il titolo del vantato diritto di veduta sul fondo delle controparti, in quanto in ragione delle espressioni usate, non era possibile individuare da esse gli elementi tipici dell'usucapione, del resto esclusa dal Carlotti nella comparsa conclusionale di primo grado; in ogni modo, la domanda avanzata in tal senso in sede di appello incidentale era, secondo la Corte di appello di Milano, nuova e, come tale, inammissibile. Dopo tali considerazioni, la Corte territoriale qualifica le aperture di che trattasi come "luci" escludendone la natura di vedute in base ad argomentazioni basate sull'esame diretto delle fotografie in atti ed evidenziando che la presenza delle inferriate e, relativamente alla finestra posta al piano terra, di uno schermo in vetro non trasparente, elementi tali, ad avviso della Corte meneghina, da impedire senza dubbio la necessaria prospectio. Entrambe tali argomentazioni risultano confinate, nel ricorso in esame, dal Carlotti, sotto più profili, nei motivi da uno a cinque con riguardo alla questione dell'usucapione e nei motivi quinto e sesto in ordine alla qualificazione delle aperture come luci. Ad avviso di questa Corte l'ordine di esame delle due questioni deve, per assorbenti ragioni di reciproca interdipendenza, essere invertito. Va infatti ricordata l'ormai consolidata (e condivisa) giurisprudenza di questa Corte secondo cui il possesso di luci irregolari, sprovvisto di titolo e fondato sulla mera tolleranza del vicino, non può condurre all'acquisto per usucapione della relativa servitù, in quanto la servitù di aria e luce - che è negativa, risolvendosi nell'obbligo del proprietario del fondo contiguo di non operarne la soppressione - non è una servitù apparente, perché l'apparenza non consiste soltanto nell'esistenza di segni visibili ed opere permanenti, ma esige che queste ultime, come mezzo necessario per l'acquisto della servitù, siano indice non equivoco del peso imposto al fondo vicino, in modo da far presumere che il proprietario di questo ne sia a conoscenza. Né la circostanza che la luce sia irregolare è idonea a conferire alla indicata servitù il carattere di apparenza, non essendo possibile stabilire dalla irregolarità se il vicino la tolleri soltanto, riservandosi la facoltà di chiuderla nel modo stabilito dalla legge, ovvero la subisce come peso del fondo quale attuazione del corrispondente diritto di servitù o manifestazione del possesso della medesima (così Cass. SS.UU. 21.11.1996, n. 10285). Su questa base interpretativa è conseguente che si esamini preliminarmente la natura delle aperture in quanto se qualificate come luci (sia pure irregolari) ne risulta l'impossibilità di usucapione del relativo diritto e cade ogni questione al riguardo. La giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto, a far tempo dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 10615 del 28 novembre 1996, che affinché sussista una veduta, a norma dell'art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito dell'inspectio, anche quello della prospectio nel fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale. Precedentemente, e condivisibilmente, con riguardo anche alle leggi fisiche che regolano l'agire umano, si era affermato che lo sporgere il capo può in linea astratta non essere impedito dall'esistenza di una inferriata, purché in relazione all'ampiezza delle maglie di questa possa essere in concreto stabilita la possibilità di affaccio, con la possibilità di protendere il capo (Cass. 22.4.1975, n. 1566; 16.11.1983, n. 6820). Ancora, si è ritenuto che, alla stregua dell'art. 900 c.c., la comodità (o quanto meno la non disagevolezza) della inspectio e della prospectio va accertata con riferimento al fondo da cui la veduta è esercitata e non già al fondo oggetto della veduta (Cass. 23.11.1987, n. 8626). È alla stregua di tali consolidate pronunce che il motivo in esame deve essere esaminato. Giova ricordare anche la pronuncia (Cass. 1.9.1997, n. 8331) secondo cui per la sussistenza di una servitù di veduta esercitata mediante una finestra, questa deve avere caratteristiche tali da rilevare la normale e permanente destinazione alla vista ed all'affaccio su fondo altrui e che questo possa esercitarsi senza usare particolari accorgimenti. Le già indicate circostanze sulla cui base la Corte d'appello è pervenuta a qualificare luci e non vedute le aperture sono state riferite in precedenza; non v'ha dubbio che le stesse si fondino su considerazioni obiettive e forniscano ampia giustificazione del convincimento del giudice del merito. La presenza di inferriate e di un vetro opaco, oltre che di grate, sono infatti elementi che impediscono l'affaccio e il diverso parere del CTU (peraltro espresso senza riferimenti al vetro opaco, ammesso solo in sede di chiarimenti) non può elidere le considerazioni svolte sul punto dai giudici, che costituiscono accertamento di fatto non sindacabile in questa sede se, come nella specie, sorrette da argomentazione logica e coerente. Le considerazioni svolte sulla funzione delle inferriate sono peraltro inidonee a scalfire il ragionamento seguito dalla Corte milanese, in quanto obiettivamente tali strumenti sono stati ritenuti inidonei all'affaccio e quindi alla configurazione della veduta in senso tecnico - giuridico. È’ inesatto sostenere che il giudice non possa disattendere le conclusioni del CTU senza disporre una ulteriore consulenza; il provvedimento al riguardo rientra nel potere discrezionale del giudice stesso che, ove disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza sufficienti a dar conto della decisione adottata, può essere censurato solo ove la soluzione scelta non risulti sufficientemente motivata (cfr. Cass. 21.7.1995, n. 7964). Nel caso che ne occupa la facilità dell'accertamento rientra certo nei canoni di comune esperienza e dà conto del convincimento raggiunto; ne consegue che il vizio di motivazione non sussiste. Quanto alla finestra del primo piano, è anch'essa munita di inferriata, come emerge dalle fotografie in atti; e tanto appare sufficiente a dar conto della decisione adottata. In base alle considerazioni che precedono, il quinto ed il sesto motivo di ricorso non possono essere accolti; tanto comporta che ogni questione in tema di usucapione risulta assorbita, non essendo configurabile tale titolo di acquisto a titolo originario relativamente a luci, seppure irregolari; ne consegue l'assorbimento dei motivi da uno a cinque del ricorso. Il settimo motivo, afferente alla mancata condanna al risarcimento dei danni, risulta assorbito dall'esito complessivo della controversia. Il ricorso va pertanto respinto; le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P. Q. M. La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in L. 226.100 (€ 116,77) oltre a L. 3.000.000 (€ 1549,37) per onorari. Così deciso in Roma, il 19.10.2001