Cass_30_8_95_9162 Cassazione civile, SEZIONE I, 30 agosto 1995, n. 9162 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE I CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati: Dott. Michele CANTILLO Presidente" Giuseppe BORRÈ Consigliere" Alessandro CRISCUOLO "" Giulio GRAZIADEI "" Renato RORDORF Rel. "ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da FELY DI VINCENZO LUCA STRUZZOLA E C. S.A.S., rappresenta e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall'avv. Adelmo Orsenigo ed elettivamente domiciliata in Roma, via Cardinal Mistrangelo n. 59,presso l'avv. Anna Paola Zaccariello. Ricorrente Contro LA SIG.RA PIERA GUERRI, quale socia e legale rappresentante della società di fatto Napier di Luci Nadia e Guerri Piera, elettivamente domiciliata in Roma, via Nizza n. 45, presso l'avv. Alberto Di Mauro,che la rappresenta e difende unitamente all'avv. Pier Luigi Santoro,giusta procura in calce al controricorso. intimata e ricorrente incidentale nonché LA SIG.RA NADIA LUCI, quale socia e legale rappresentante dellasocietà di fatto Napier di Luci Nadia e Guerri Piera. non costituita avverso la sentenza n. 1032 della corte d'appello di Firenze, depositata il 6 novembre 1993;udita la relazione del consigliere dr. Rordorf; udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore generale dr. Domenico Nardi, che ha concluso per l'accoglimento, per quanto di ragione, del secondo motivo del ricorso principale e per il rigetto degli altri motivi di detto ricorso, nonché di quello incidentale. Fatto Il 1 aprile 1989 fu stipulato in Firenze un contratto avente ad oggetto la vendita alla società Fely di Vincenzo Luca Struzzola e C. s.a.s. (in prosieguo indicata solo come Fely) di un'azienda costituita per l'esercizio di una pizzeria, sita al numero civico 2 della locale via Carnesecchi, intestata alla società di fatto Napier di Nadia Luci e Piera Anna Guerri. Nel contratto, sottoscritto per la parte alienante dalla Luci e da tal Giuseppe De Gennaro, in veste di procuratore della Guerri, datosi atto che la quota di prezzo a quest'ultima spettante era stato già da costei ricevuta, si prevedeva altresì che le eventuali controversie relative all'interpretazione o all'esecuzione di quello stesso contratto sarebbero state devolute ad un collegio di tre arbitri. Ed in seguito una controversia effettivamente sorse, perché risultò che, per una parte della superficie coperta occupata dall'esercizio commerciale, difettava la necessaria autorizzazione comunale. Pertanto, l'acquirente Fely provvide alla nomina del proprio arbitro ed altrettanto fece, ma tardivamente, la Luci. L'acquirente Fely, allora, rilevato che la nomina operata dalla Luci, oltre che tardiva, non appariva neppure imputabile alla società venditrice Napier, il cui nome non era stato indicato nell'atto di nomina dell'arbitro, si rivolse al presidente del tribunale ed ottenne in tal modo il completamento del collegio arbitrale. Dinanzi agli arbitri si costituì, quindi, la Fely, che chiese la risoluzione del contratto o, in via subordinata, la riduzione del prezzo ed il risarcimento dei danni. Resistette la sola Luci chiedendo, in via subordinata, un'equa riduzione della pattuita clausola penale. Il 17 luglio 1991 il collegio arbitrale emise il proprio lodo, respingendo la domanda principale di risoluzione del contratto di vendita dell'azienda, accogliendo quella subordinata di riduzione del prezzo e condannando quindi la società venditrice, e per essa le due socie Luci e Guerri, al conseguente rimborso, nonché al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese. Il lodo arbitrale fu però impugnato per nullità, dinanzi alla corte d'appello di Firenze, sia dalla Luci che dalla Guerri. Quest'ultima, in particolare, sostenne di essere estranea al rapporto negoziale in questione e di difettare, pertanto, di legittimazione passiva rispetto alla pretesa fatta valere dinanzi agli arbitri dalla Fely. Eccepì, inoltre, la nullità della clausola compromissoria inserita nel contratto di cessione d'azienda, per essere stata detta clausola stipulata da un procuratore, il De Gennaro, non munito dei necessari poteri. Con sentenza depositata il 6 novembre 1993 la corte d'appello, dopo aver disatteso i motivi d'impugnazione prospettati dalla Luci, accolse invece la domanda di nullità del lodo formulata dalla Guerri. Ritenne, infatti, che effettivamente il De Gennaro, intervenuto alla stipulazione del contratto in veste di procuratore della Guerri senza alcuno specifico mandato che lo autorizzasse a sottoscrivere una clausola compromissoria, non fosse dotato dei poteri a tal fine richiesti dalla legge. Ne dedusse l'inefficacia del relativo consenso negoziale e, di riflesso, la nullità della clausola compromissoria, per difetto del requisito indicato dall'art. 1325 n. 1, c.c., non essendo stata riguardo ad essa validamente manifestata la volontà di entrambe le socie della società Napier. Per questa ragione, disatteso ogni altro motivo di gravame, la corte dichiarò la nullità della pronuncia arbitrale, ex art. 829, n. 1, c.p.c., e compenso per equità le spese processuali. Contro tale decisione ha proposto ricorso in cassazione la Fely, chiedendone l'annullamento per tre motivi. Ha resistito con controricorso la Guerri, la quale ha altresì proposto ricorso incidentale condizionato, cui la Fely ha replicato depositando a propria volta un controricorso. La Guerri, infine, ha presentato un'ulteriore memoria. Diritto 1. - Dev'essere preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale. Ciò fatto, si può passare senz'altro all'esame dei motivi del ricorso principale. 2. - Con il primo di tali motivi la Fely si duole dell'interpretazione restrittiva che la corte territoriale ha dato ai poteri del procuratore De Gennaro, lamentando che tale interpretazione contrasterebbe con quanto dispone l'art. 1708 c.c., in tema di limiti del mandato, anche alla luce delle usuali pratiche contrattuali in materia (argomento ex art. 1368 c.c.). Infatti, il mandato conferito a suo tempo dalla Guerri al De Gennaro si riferiva alla stipulazione del contratto di cessione d'azienda di cui si discute ed abilitava il procuratore ad intervenire alla stipulazione di detto contratto, in nome della summenzionata Guerri, "con ogni più ampia facoltà necessaria e sufficiente per l'espletamento" dell'incarico ed "in maniera che ad esso mandatario non possa mai eccepirsi difetto di rappresentanza, mancanza o imprecisione di poteri". Di modo che, secondo la ricorrente, alla stregua delle disposizioni del codice dianzi menzionate, si sarebbe dovuto ritenere che la stipulazione della clausola arbitrale, pur sempre accessoria rispetto al contratto che la comprende, rientrasse nei poteri conferiti al De Gennaro, essendo annoverabile tra gli strumenti utili per il raggiungimento del fine cui il mandato tendeva. E sarebbe inoltre significativo - sempre a giudizio della ricorrente che la recente legge 5 gennaio 1994, n. 25, modificando parzialmente la disciplina dell'arbitrato, abbia introdotto nel testo dell'art. 808 c.p.c. l'espressa previsione secondo la quale "il potere di stipulare il contratto comprende il potere di convenire la clausola compromissoria": così avallando, in via interpretativa, una delle soluzioni che già prima dovevano ritenersi possibili. Non reputa però la corte che tali rilievi siano persuasivi. L'autonomia della clausola arbitrale, rispetto al contratto che la prevede, è principio da tempo affermato in dottrina e giurisprudenza, con il quale occorre quindi raffrontare la naturale portata dei poteri di rappresentanza conferiti al procuratore. È senza dubbio esatto che tali poteri si estendono a tutto quanto necessario per l'espletamento pieno dell'incarico, e quindi al compimento di ogni atto strumentale a tal fine. Non è però affatto condivisibile la tesi secondo la quale nella specie il compromesso in arbitri fosse strumento necessario per la stipulazione del contratto di cessione aziendale cui si riferiva la procura rilasciata al De Gennaro. Proprio la già rilevata autonomia della clausola compromissoria sta a dimostrare, al contrario, che il contenuto ed i fini di tale clausola si collocano su di un piano ulteriore e diverso rispetto a quello del contratto di cessione aziendale. Non si tratta, insomma, di un passaggio occorrente per realizzare (o agevolare) gli scopi tipici di quel contratto, bensì di un'ulteriore convenzione, destinata a regolamentare effetti e situazioni successive al perfezionamento del contratto ed al trasferimento di titolarità dell'azienda che da esso deriva: una convenzione, cioè, che in nessun modo sarebbe lecito presumere già per implicito presente alla volontà della parte rappresentata allorché questa conferì la procura al rappresentante (nè trova riscontro l'affermazione della ricorrente secondo cui la previsione di simili clausole sarebbe normale in contratti di tal genere), onde neppure sotto questo profilo potrebbe giungersi a configurare una naturale, quasi tacita, estensione in tal senso dei poteri del procuratore (cfr. anche, in argomento, Cass. 23 aprile 1968, n. 1247). Quanto, poi, alla nuova formulazione del citato art. 808 c.p.c. (privo di effetti retroattivi e perciò non ancora applicabile alla presente fattispecie), lungi dal potersene desumere argomenti in favore della tesi qui discussa, pare evidente alla corte che essa valga a confermare ed a rafforzare, nel suo insieme, l'accennato principio dell'autonomia della clausola compromissoria: onde l'aggiunta nel testo della nuova norma, per cui il potere di stipulare il contratto comprende il potere di convenire detta clausola - significativamente preceduta dall'avversativo "tuttavia" giova a sottolineare il carattere eccezionale di tale estensione di potere, che sarebbe altrimenti esclusa dal suaccennato principio di autonomia della clausola. 2. - Il secondo e terzo motivo di ricorso prospettati dalla Fely attengono ad aspetti strettamente connessi della vertenza e possono essere, perciò, esaminati congiuntamente. La ricorrente lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 829, n. 1, c.p.c., e 1418 c.c., perché, a suo dire, l'eventuale difetto di potere del procuratore della Guerri avrebbe, al più, potuto provocare l'inefficacia o l'invalidità relativa dell'atto compiuto dal procuratore senza potere, ma non nè avrebbe comunque cagionato la radicale nullità: di talché, la sentenza arbitrale non avrebbe dovuto essere considerata nulla, dal momento che solo la radicale nullità del compromesso o della clausola compromissoria, a norma del citato art. 829, sarebbe idonea a produrre una simile conseguenza. Inoltre, sempre secondo la ricorrente, il difetto di rappresentanza ravvisato dalla corte territoriale, in relazione alla clausola compromissoria in discorso, sarebbe stato superato dalla ratifica della parte contraente società Napier, la quale - validamente rappresentata anche dalla sola Luci - si era infatti a suo tempo costituita in giudizio dinanzi agli arbitri senza sollevare tale questione, dedotta poi soltanto in seguito dalla Guerri dinanzi alla corte d'appello. Per una migliore comprensione del problema giova premettere che, secondo la corte territoriale, essendo stato il contratto di cessione d'azienda stipulato, per conto ed in nome della cedente società di fatto Napier, da entrambe le socie di tale società, è irrilevante stabilire se e quale eventuale patto fosse stato convenuto per attribuire la rappresentanza congiuntamente o disgiuntamente a dette socie, risultando invece decisivo che, come detto, esse abbiano comunque inteso stipulare quel contratto congiuntamente. E da ciò il giudice fiorentino ha tratto la conclusione che l'inefficacia del consenso prestato dal De Gennaro, a nome della socia. Guerri, in ordine alla clausola compromissoria in esame, comporterebbe la nullità di tale clausola, perché avrebbe impedito il valido formarsi dell'inscindibile volontà dei soci, riferibile alla parte contrattuale società Napier, e, quindi, avrebbe determinato il difetto di uno degli elementi essenziali richiesti dall'art. 1325 c.c. per la validità del negozio. La ricorrente, come s'e accennato, non mette in discussione l'assunto secondo il quale la sola firma della socia Luci non sarebbe stata sufficiente ad impegnare validamente la società (società di fatto) alienante, e neppure contesta che la necessità di partecipazione all'atto di entrambe le socie della Napier fosse riconoscibile dalla controparte, per il fatto stesso che tale partecipazione era postulata nel testo del contratto. Resta perciò assodato che la volontà negoziale espressa nell'atto da una sola delle socie della società venditrice, e non riferibile anche all'altra socia per difetto di potere del rappresentante volontario di quest'ultima, non è per ciò stesso correttamente riferibile neppure alla società in quanto tale. La ricorrente sostiene, invece, che il difetto di rappresentanza di colui che sottoscrisse il contratto a nome di essa Guerri non si rifletterebbe sulla validità del lodo arbitrale, ex art. 829, n. 1, c.p.c. Ma la censura non coglie nel segno. Può condividersi, in linea di principio, l'assunto secondo il quale, anche in relazione ad atti negoziali stipulati in nome e per conto di una società di persone, l'eventuale difetto di potere di colui il quale sottoscrive un atto - o perché privo del!a necessaria rappresentanza organica o perché non fornito di idonea procura negoziale non tanto provoca la nullità di quell'atto, quanto piuttosto la sua inefficacia assoluta rispetto al soggetto giuridico solo apparentemente rappresentato. Diversamente opinando, sarebbe difficile spiegare, infatti, la pur pacifica possibilità che l'atto compiuto dal rappresentante privo di poteri (o dotato di poteri insufficienti allo scopo) produca tuttavia effetti in caso di successiva ratifica compiuta dalla stessa società per mezzo di soggetti all'uopo abilitati. Ma, nella specie, una valida ed idonea ratifica non è possibile ravvisarla. Non è neppure dedotta una qualche deliberazione espressa in tal senso delle socie della Napier; e, quanto poi all'ipotizzata ratifica implicita - che deriverebbe dall'essersi la Luci costituita nel giudizio arbitrale (anche per la società da essa rappresentata) senza nulla eccepire in proposito - e di immediata evidenza che il carattere necessariamente solenne, inerente alla clausola arbitrale, impedisce di riconoscere valore ad una ratifica per facta concludentia. È vero, infatti, che la partecipazione della Napier (rappresentata dalla socia Luci) al giudizio arbitrale si è tradotta anche nel compimento di atti scritti; ma la ricorrente neppure sostiene che in taluno di tali atti si sia fatta menzione del difetto di rappresentanza di cui si sta discutendo e si sia espressa la volontà di ratificare la clausola compromissoria sottoscritta dal rappresentante privo di poteri: sicché solo di ratifica implicita potrebbe parlarsi, come del resto fa la stessa ricorrente, incontrando però il già sottolineato ostacolo formale derivante dal disposto dell'art. 1399, primo comma, c.c.. Ed, inoltre, e quanto meno dubbio che la ratifica potesse efficacemente provenire dalla sola Luci, volta che non si contesti la necessità del concorso della volonta congiunta di entrambe le socie per la stipulazione della clausola arbitrale cui la ratifica si riferirebbe. Allora, posto che la clausola in questione era da considerare inefficace - per non essere in realtà riferibile alla parte contrattuale di cui è stato speso il nome - e che tale è rimasta, l'interrogativo da sciogliere e se possa esser tenuta tuttavia per valida la pronuncia emessa dagli arbitri in forza di quella clausola. Come s'è accennato, la corte d'appello fiorentina lo ha escluso, argomentando dall'art. 1325, n. 1, c.c. e dal!a asserita nullità della clausola in esame. Quantunque l'indicato argomento non persuada (onde necessità rettificarlo, a norma dell'art. 384, secondo cornma, c.p.c.), la conclusione è da condividere. Di nullità della clausola contrattuale per difetto di consenso, a rigor di termini, non può parlarsi, perché non può dirsi che la manifestazione di volontà negoziale sia mancata o che non si sia verificato il consenso dei soggetti che hanno partecipato alla stipulazione del contratto. È accaduto che la volontà manifestata da uno di quei soggetti non risulti in realtà riferibile alla parte da esso apparentemente rappresentata, che vi sia stata cioè un'incompletezza nella rappresentanza della società equiparabile al difetto di rappresentanza, ma, come tale, produttiva d'inefficacia - nel senso che poi si preciserà - e non d'invalidità del negozio concluso da chi non aveva (o non compiutamente) i necessari poteri rappresentativi. Questo però sta comunque a significare che la manifestazione di volontà negoziale espressa in nome e per conto della società Napier non era, in realtà, a detta società riferibile. Ora, se è vero che l'art.. 829, n. 1, c.p.c. espressamente prevede tra le cause di nullità del lodo arbitrale la nullità della clausola compromissoria, e non anche la sua mera inefficacia (onde, in una precedente occasione, questa medesima corte ha escluso l'invocabilità di detta norma in un caso di clausola compromissoria inefficace per il mancato verificarsi di una condicio juris che non nè aveva però intaccato la validità: cfr. Cass. 16 dicembre 1974, n. 4290), è ugualmente vero che nell'ordinamento non esiste una disciplina generale ed organica delle cause d'inefficacia degli atti negoziali: onde non può prescindersi dall'indagare sull'eventuale diverso modo di porsi di ciascuna di esse, ne di valutare se, o in qual misura, le differenti cause da cui l'inefficacia di un atto di volta in volta dipenda si rifletta sul regime giuridico conseguenziale. Ora, con riguardo alla fattispecie in esame, sembra al collegio che occorra muovere dalla considerazione per la quale gli arbitri sono dotati di una potestas judicandi limitata alla ben specifica controversia che tra parti sia irsorta o sia per insorgere: un potere derivante, in via diretta, dalla volontà negoziale di quelle medesime parti. Ove, dunque, il compromesso o la clausola compromissoria, su cui la potestà arbitrale si fonda, non risulti in realtà riferibile ad una delle parti in controversia, e la radice stessa del potere decisorio degli arbitri ad essere messa in crisi, perché anche quel potere non è più riferibile alla parte mal rappresentata, con la conseguenza che esso cessa di basarsi sulla volontà negoziale di tutte le parti in lite e viene a trovarsi, dunque, privo del suo stesso fondamento. Da questo punto di vista, pertanto, la particolare causa d'inefficacia di una clausola compromissoria, derivante dall'essere stata essa stipulata da un rappresentante senza potere, e ben più rilevante di una qualsiasi altra ipotesi d'inefficacia negoziale (quale, ad esempio, quella che dipenda dal mancato verificarsi di una condizione o dalla mancata scadenza di un termine). Quantunque, per le ragioni già chiarite, in casi siffatti non possa parlarsi di nullità della clausola compromissoria, nell'accezione usuale del codice civile, deve nondimeno convenirsi che la situazione si presenta in termini assai simili: perché nell'uno come nell'altro caso è la stessa potestà decisoria degli arbitri a non trovare radici nella manifestazione di volontà contrattuale delle parti in lite su cui essa dovrebbe invece potersi fondare. Ed essendo questa proprio, intuitivamente, la ragione ispiratrice della norma dettata dal citato art. 829, n. 1 - che esclude la validità di un lodo emesso da arbitri la cui potestas judicandi sia sfornita di una base negoziale riconoscibile come tale dall'ordinamento - è giocoforza ritenere che tale norma debba essere interpretata in modo da farvi rientrare anche l'accennata ipotesi in cui il compromesso o la clausola arbitrale non siano neppure riconducibili alla volontà delle parti per difetto di potere rappresentativo di chi quel compromesso o quella clausola abbia sottoscritto. Detto in altri termini, poiché, non diversamente che nel caso della nullità in senso stretto, anche nella situazione ora descritta gli arbitri si trovano a giudicare pur essendo radicalmente privi di potestas judicandi, anche tale situazione appare riconducibile alla previsione del citato art. 829, n. 1, essendo ragionevole supporre - per quanto sopra chiarito - che la nozione di nullità adoperata dal legislatore in detta norma abbia riguardo non tanto a specifici vizi genetici del negozio compromissorio, quanto alla radicale inidoneità di quel negozio a produrre effetti. 3. - Il ricorso della Fely dev'essere perciò respinto, e non si pone la necessità di procedere anche all'esame del ricorso incidentale, che è stato proposto dalla Guerri in via dichiaratamente subordinata. 4. - La peculiarità della fattispecie suggerisce di compensare tra le parti le spese del giudizio. P.Q.M La Corte: 1) riunisce i ricorsi; 2) respinge il ricorso proposto dalla Fely di Vincenzo Luca Struzzola e C. s.a.s. avverso la sentenza n. 1032 della corte d'appello di Firenze, emessa il 6 novembre 1993; 3) dichiara assorbito il ricorso incidentale proposto da Piera Guerri avverso la medesima sentenza; 4) compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Così deciso, in Roma, il 19 aprile 1995.