Cass_29_5_99_5108 Cassazione civile, SEZIONE III, 26 maggio 1999, n. 5108 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Franco BILE Presidente Dott. Gaetano FIDUCCIA Consigliere Dott. Roberto PREDEN Consigliere Dott. Vincenzo SALLUZZO Consigliere Dott. Alberto TALEVI Rel. Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: OLIVIERI OLIVIERO, elettivamente domiciliato a Roma viale Gorizia 52presso lo studio dell'avv. SALVATORE ORESTANO che lo difende insieme agli avvocati ACHILLE SFRAGARO e LUIGI BARBASSO GATTUSO, giusta delega in atti,e da OLIVIERI s.p.a., ora Fallimento OLIVIERI s.p.a. in liquidazione, elett.te dom.to in ROMA VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell'avvocato ENRICO ROMANELLI, che lo difende anche disgiuntamente insieme all'avv. TOMASO GALLETTO, giusta procura speciale per Notar Andrea FUSARO di Genova del 18-01-1999 n. 17029 di rep; Ricorrenti contro ROMEO PIETRO FABRIZIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIASANSOVINO 6, presso lo studio dell'avvocato CLAUDIO DE MATTEIS, difeso dall'avvocato FRANCO ROMEO, giusta delega in atti; Controricorrente avverso la sentenza n. 277-97 della Corte d'Appello di PALERMO, emessa il 07-03-97 e depositata il 03-04-97 (R.G. 227-94);udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del22-01-99 dal Consigliere Dott. Alberto TALEVI; udito l'Avvocato Enrico ROMANELLI; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Paolo DETTORI che ha concluso per l'accoglimento del ricorso p.q.r.. Fatto Con atto di citazione notificato il 25 gennaio 1990 Pietro Fabrizio Romeo conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo Oliviero Olivieri nonché la Olivieri S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro - tempore, esponendo: - che aveva messo in relazione la predetta società con la "Turistica La Porta" di Antonia ed Elena La Porta s.n.c., per la vendita, da parte di quest'ultima, del Villaggio Turistico "Calàmpisu"; - che aveva appreso nell'ottobre 1988 da Vittorio Basile e Vincenzo Todaro, rispettivamente agente di vendita e responsabile commerciale per la Sicilia della Olivieri S.p.A., che detta società era interessata all'acquisto di un villaggio turistico, ed aveva, pertanto, organizzato, in data 26 novembre 1988, un incontro preliminare presso il Villaggio "Calàmpisu" tra il Basile ed il Todaro, da una parte, e gli incaricati della società Turistica La Porta dall'altra; - che a seguito di questi fatti, il Todaro aveva contattato l'Olivieri, legale rappresentante della Olivieri S.p.A., per un ulteriore sopralluogo, effettuato il 10 dicembre 1988, al quale avevano preso parte esso attore, certo Nuccio Randazzo, il Todaro, il Basile, Giovanni Chiung Ching (direttore generale della società convenuta), lo stesso Olivieri, nonché l'avv. Franco Ucelli, procuratore speciale delle germane La Porta, uniche quotiste della Turistica La Porta S.n.c.; - che essendosi conclusa, dopo successivi incontri, la vendita del complesso Turistico per il corrispettivo di lire 12.700.000.000, concordato in occasione della visita del 10.12.88, gli era stata offerta dall'Olivieri, a titolo di provvigione per la mediazione svolta, la somma di trenta milioni di lire, pari al 3% di un miliardo, importo che lo stesso Olivieri sosteneva di avere pagato a titolo di prezzo. Tanto premesso, il Romeo chiedeva condannarsi i convenuti, in solido tra loro, al pagamento della somma di lire 381.000.000, "...pari al 3% sul prezzo pattuito e concluso..." maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi legali. L'Olivieri, in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro - tempore della Olivieri S.p.A., contestava la fondatezza della domanda, deducendo tra l'altro: che ben diversi erano stati, rispetto alla pretesa mediazione del Romeo, la natura, l'oggetto e le parti del contratto effettivamente concluso; - che era intercorso, tra esso attore in proprio unitamente al prof. Avv. Vittorio Afferni e le germane La Porta, l'acquisto del 51% delle quote della Turistica La Porta, previamente trasformata in S.r.l.; - che il corrispettivo pattuito, pari ad un miliardo di lire era stato determinato con riferimento al patrimonio sociale, al netto dei cospicui debiti e delle passività in genere, valutato con una perizia di stima ex art. 2498 c.c. nell'ambito del procedimento di trasformazione, secondo le condizioni di cui al contratto preliminare del 6.2.1989, prodotto in atti. Con sentenza 4-6 - 11-11-1993, il Tribunale, pur ritenendo che l'affare tra la predetta società e l'Olivieri si fosse concluso grazie all'intermediazione del Romeo, condannò i convenuti, in solido tra loro, al pagamento a favore di quest'ultimo della somma di L. 30.000.000 (trenta milioni) e con gli interessi legali dal 6.2.1989 all'effettivo soddisfacimento del credito, e non della somma di L. 381.000.000 (oltre rivalutazione monetaria) domandata dall'attore, rilevando che valore dell'affare, ai fini della provvigione dovuta al mediatore, doveva considerarsi nella specie quello di un miliardo, pattuito in seno al preliminare di vendita stipulato tra le venditrici e l'Olivieri e ragguagliato al "patrimonio netto "dall'azienda venduta, e non già quello ben maggiore sostenuto dall'attore. A sostegno di ciò, il Tribunale, oltre al prezzo indicato nel preliminare, adduceva tra l'altro: - 1) la perizia di stima - aggiornata al 21.2.1989 redatta ai sensi dell'art. 2498 c.c. nell'ambito dei procedimento di trasformazione della Turistica La Porta s.n.c. nella Nuova Turistica La Porta s.r.l., nella quale il patrimonio netto della s.n.c., era stato valutato in L. 1.289.963.485; - 2) l'atto di transazione del 31.7.1990, col quale (oltre a definirsi un procedimento arbitrale promosso dalle germane La Porta per sentire dichiarare rescissa, per lesione ultra dimidium, la compravendita del pacchetto di maggioranza della turistica La Porta) le suddette venditrici avevano addirittura ceduto all'Olivieri ed al suo socio Afferni la restante quota del 49% della società trasformata, per il prezzo di 1.350.000.000. Contro questa decisione, proponeva appello il Romeo. Resisteva in Giudizio l'Olivieri in proprio e nella qualità, proponendo appello incidentale (negando completamente il diritto del Romeo a qualsivoglia provvigione). Con sentenza 7.3 - 3.4.97, la Corte di Appello di Palermo in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palermo, elevava a L. 381.000.000 (trecentottantunomilioni), con gli interessi legali come da sentenza impugnata, la somma al cui pagamento in favore del Romeo gli appellati erano stati condannati dal primo giudice, e condannava gli stessi appellati al pagamento in favore dell'appellante principale delle spese di entrambi i gradi del giudizio, liquidate in complessive L. 13.800.000, quelle del primo grado, ed in complessive L. 19.500.000 quelle del secondo grado. Nella motivazione detta Corte esponeva tra l'altro le seguenti argomentazioni. Racconta il teste Basile, nel corso della sua deposizione al Consigliere Istruttore del 10 luglio 1996: "l'affare di cui ho parlato concerneva l'acquisto dell'intero villaggio Calampiso sulla base, tale risultata alla fine di lunghe discussioni, di lire tredici miliardi: importo che per Oliviero Olivieri stette più che bene.... le La Porta non potevano concluderlo per un importo apprezzabilmente inferiore, avendo da ripianare, col ricavato, la loro pesantissima esposizione debitoria". "Il ripianamento dei debiti era considerato come valore reale ed effettivo della conclusione dell'affare, nel senso che il prezzo dovuto dall'Olivieri non era di uno, bensì di tredici miliardi, dei quali oltre undici, come già detto, destinati all'estinzione dei debiti della Calampiso, o meglio della "Turistica La Porta" e delle germane La Porta". Poco prima, lo stesso aveva precisato le ragioni della sua minuta conoscenza della situazione. "So questo perché, essendo io all'epoca funzionario dell'Oliviero Olivieri con la qualifica di collaboratore alle compravendite ed avendo.... attivamente partecipato alle trattative poi sfociate nella conclusione dell'affare.... ebbi mostrato dall'avv. Ucelli, in occasione dell'incontro immediatamente precedente quello con Oliviero Olivieri (primi di dicembre 1988), una copia dello stato patrimoniale della Società all'ottobre 1988, dal quale emergeva un'esposizione debitoria della società di circa nove miliardi. "Ucelli aggiunse che a questi debiti ne andavano aggiunti altri non figuranti dallo stato patrimoniale, nonché debiti personali delle sorelle La Porta, ammontanti - gli uni e gli altri - ad altri due miliardi circa". Che la "Turistica La Porta" s.n.c. fosse all'epoca dell'Affare pesantemente indebitata è del resto ammesso dagli stessi appellati. Se questo è vero è evidente l'errore in cui è caduto il Tribunale e che è stato - e continua ad essere fatto proprio dagli appellati: confondere il prezzo del 51% delle quote sociali, pattuito in L. 1.000.000.000 (col preliminare dell'89) perché incorporante il pesante passivo da cui le quote stesse erano incise con il valore complessivo dell'affare, cioè con il valore del villaggio turistico concordato dalle parti. Questo valore è pari a L. 13.000.000.000. Perché l'Olivieri non abbia acquistato subito uno actu tutte le quote sociali delle La Porta ed abbia preferito nell'89 obbligarsi ad acquistarne solo il 51% è stato chiarito sia dal Basile, sia dagli stessi appellati. Entrambi riconducono la decisione dell'Olivieri alla sua intenzione di dilazionare il pagamento dei pesanti debiti della Turistica La Porta s.n.c., cioè di andarli pagando con i ricavi della vendita in 13 multiproprietà delle unità immobiliari del complesso: vendite, la cui campagna iniziò addirittura nel dicembre 1988, vale a dire prima ancora della stipulazione del preliminare del 6.2.89 tra l'Olivieri e le La Porta (dichiarazioni Basile cit.) e - si potrebbe aggiungere - la cui fruttuosità fece riflettere tanto le stesse La Porta, da indurle a chiedere la rescissione per lesione ultra dimidium del preliminare dell'89 (controversia tosto definita col complesso regolamento transattivo del 31.7.1990). Non c'è dubbio, comunque, che l'affare avuto di mira dall'Olivieri fin dall'inizio fosse l'acquisto dell'intero villaggio "Calàmpisu" cioè l'acquisto di tutte le quote sociali delle La Porta. Concludendo sul punto, con altre e più semplici parole può quindi dirsi che alle La Porta venne riconosciuto col preliminare dell'89 un corrispettivo "monetario" di L. 1.000.000.000 per il 51% della quota sociale (e, potrebbe aggiungersi, con la transazione dei 31.7.1990 un ulteriore corrispettivo di 1.350.000.000 per l'altro 49%), perché le altre L. 12.000.000.000 circa del prezzo venivano "assorbite" dal passivo delle quote stesse. Ma è pacifico che l'importo relativo all'esistenza di debiti rientri nella sfera economica di un affare. Infatti, con riguardo alla compravendita dell'intero pacchetto azionario di una società, detta provvigione non può essere correlata al mero valore delle azioni o dell'azienda sociale, dovendosi prendere in considerazione l'esborso totale dell'acquirente comportante anche l'erogazione di somme per sanare passività precedenti (Cass. 19 marzo 1984, n. 1885). Contro questa decisione ricorrono per cassazione Oliviero Olivieri e la Olivieri s.p.a. con due motivi. Resiste con controricorso e memoria Pietro Fabrizio Romeo. All'udienza di discussione è comparso l'avv. Enrico Romanelli per il Fallimento Olivieri s.p.a. in liquidazione. Diritto Il controricorrente afferma l'inammissibilità del ricorso osservando: - a) che Oliviero Olivieri e la Olivieri s.p.a. hanno proposto ricorso per cassazione dichiarando di essere rappresentati e difesi congiuntamente dagli avv.ti Salvatore Orestano, Achille Sfragaro e Luigi Barbasso Gattuso giusta una procura speciale notarile; nel ricorso però non sono indicati gli estremi della procura e manca qualsiasi elemento per ricavarne la regolarità; - b) il ricorso non è sottoscritto da tutti i difensori nominati congiuntamente; - c) i motivi si esauriscono in una generica postulazione di erroneità della sentenza; - d) non ha il ricorrente "...coi nomi, precisato, in modo specifico, completo ed intellegibile, le ragioni della censura proposta..."; - e) nel ricorso si pretende il riesame nel merito; - f) il ricorso fa rinvio alle risultanze del giudizio di primo grado; - g) i ricorrenti avrebbero dovuto precisare le risultanze asseritamente e specificamente non valutate od insufficientemente valutate. Tale assunto non può essere accolto. Infatti la procura risulta ritualmente depositata, appare conferita "...congiuntamente e-o separatamente...", non è necessario che il ricorso sia sottoscritto da tutti i difensori, ed i motivi sono sufficientemente chiari e devono ritenersi rituali. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ex art. 360, n. 5 insufficiente e contraddittoria motivazione sull'appello incidentale e sulla ricostruzione del fatto. Con il secondo motivo, che va esaminato insieme al primo in quanto a questo strettamente connesso, denunciano ex art. 360 n. 5 omessa motivazione "sul 1) punto decisivo della controversia ART. 365, N. 3 OMESSO ESAME DI PUNTO DECISIVO". Al di là delle due intestazioni predette le doglianze esposte sono, in estrema sintesi, le seguenti - 1) la Corte si è basata sulla testimonianza di Vittorio Basile (secondo il quale, tra l'altro, l'affare concerneva l'acquisto dell'intero villaggio sulla base di L. 13.000.000.000, importo che all'Olivieri stette più che bene) pervenendo poi ad affermazioni del tutto apodittiche; - 2) in realtà su queste basi la trattativa non venne mai avviata: in luogo della compravendita del complesso turistico tra La Nuova Turistica La Porta s.n.c. e la Olivieri s.p.a. si addivenne alla cessione della quota dei 51% della prima società, previamente trasformata in s.r.l. ad Oliviero Olivieri ed a Vittorio Afferni; - 3) era essenziale una analisi accurata diretta a stabilire se le parti avevano posto in essere una compravendita di quote societarie o l'acquisto di un villaggio turistico; - 3) l'Olivieri nè in proprio nè quale rappresentante della società Olivieri si accollò debiti personali delle sorelle La Porta nè debiti della Turistica La Porta s.n.c.; - 4) solo successivamente alla domanda di rescissione ultra dimidium ed al giudizio arbitrale, circostanze entrambe che avevano reso impossibile ogni rapporto associativo tra la Olivieri e le sorelle La Porta, venne stipulata la transazione che prevedeva tra l'altro l'acquisto da parte della Olivieri del restante 49% per L. 1.350.000.000; - 5) si deve escludere che le La porta avessero complessivamente ricevuto, sotto qualsiasi forma, benefici economici superiori al corrispettivo pattuito nel preliminare del 6.2.1989; - 6) il frazionamento in multiproprietà e la commercializzazione attengono alla fase (successiva alla conclusione dell'affare) della libera utilizzazione del bene e l'aspetto economico, patrimoniale, finanziario di questa fase, insieme con il costo delle ingenti opere di ristrutturazione che ha comportato è estraneo al negozio stipulato; trattasi infatti di attività non collegate all'intervento del mediatore. - 8) "...Il consulente tecnico incaricato dal Presidente del Tribunale di Palermo, nell'ambito del procedimento di trasformazione della società turistica La Porta s.n.c., di procedere alla valutazione del patrimonio netto della società, ha preliminarmente inventariato i beni aziendali e li ha poi descritti analiticamente pervenendo ad un patrimonio netto di L. 1.558.450.400 al netto dei debiti...". I ricorrenti sembrano anzitutto lamentare la mancata affermazione dell'insussistenza del diritto della controparte a qualsivoglia provvigione. Per tale parte le loro doglianze sono prive di pregio in quanto sul punto la motivazione in esame è sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione. Per quanto concerne l'entità della somma dovuta, occorre rilevare che, anche se le doglianze sopra sintetizzate potrebbero apparire in genere a prima vista in fatto, in realtà sottintendono (quasi tutte) chiaramente (anche se in parte implicitamente) il rilievo in diritto che il valore dell'affare ai fini del computo della provvigione del mediatore è costituito dal valore del bene effettivamente compravenduto, oltre al rilievo in fatto che nella specie l'affare in questione ha riguardato il 51% delle quote sociali (e quindi solo il primo dei due contratti sopra citati) e non il complesso immobiliare, e più precisamente che il prezzo da considerare è quello in concreto pagato (un miliardo) posto che oltre a detto prezzo tra i contraenti non è stato pattuito (nè di fatto corrisposto) alcun corrispettivo ulteriore, ed in particolare non vi è stato l'accollo di debiti. In altri termini appare indubbio che si intende censurare soprattutto la mancata applicazione di un (implicitamente affermato) principio di diritto secondo il quale nel caso di compravendita di quote di società è al prezzo pagato per le stesse che si deve far riferimento e, quanto all'individuazione dell'oggetto dell'affare nella fattispecie, il fatto che la Corte si è basata essenzialmente sulla deposizione del Basile senza considerare le altre risultanze sul punto (come la scrittura privata 6.2.89 e la testimonianza Todaro) e pervenendo a conclusioni apodittiche (e cioè che è pervenuta alla conclusione che l'affare nella specie è costituito dalla compravendita dell'intero complesso immobiliare invece che dalla compravendita delle sole quote societarie del 51% sulla base di vizi logici consistenti nell'omessa valutazione della motivazione sul punto). Le doglianze in esame appaiono sopra citate risultanze e nell'insufficienza della motivazione sul punto). Le doglianze in esame appaiono fondate per quanto di ragione. Il nucleo centrale della motivazione oggetto di censura è la seguente: "...alle La Porta venne riconosciuto col preliminare dell'89 un corrispettivo "monetario" di L. 1.000.000.000 per il 51% della quota sociale (e, potrebbe aggiungersi, con la transazione dei 31.7.1990 un ulteriore corrispettivo di 1.350.000.000 per l'altro 49%), perché le altre L. 12.000.000.000 circa del prezzo venivano "assorbite" dal passivo delle quote stesse. Ma...! con riguardo alla compravendita dell'intero pacchetto azionario di una società, detta provvigione non può essere correlata al mero valore delle azioni o dell'azienda sociale, dovendosi prendere in considerazione l'esborso totale dell'acquirente...comportante anche l'erogazione di somme per sanare passività precedenti (Cass. 19 marzo 1984, n. 1885)...". I principi di diritto sui quali sembra poggiare l'impugnata decisione non possono essere condivisi. Si deve infatti distinguere tra due situazioni ben distinte: se un acquirente paga un bene di valore 100 tramite il pagamento di una somma 20 e l'assunzione (utilizzando qualsivoglia idoneo istituto giuridico) dell'obbligo di pagare uno o più debiti (di valore 80) è evidente che il prezzo complessivo pagato (e quindi il valore dell'affare) non può essere pari a 20 ma è pari a 100 (cfr. Cass. 5117-83; cfr. inoltre Cass. 1885-84 e Cass. 3820-76); se invece acquista un bene (ad es. una parte o tutte le quote di capitale di una società) che potrebbe avere un valore di mercato 100 in considerazione del complesso delle attività sociali, ma ha invece solo un valore 20 dato che a fronte di tali attività vi sono anche ingenti debiti sociali, pagando solo 20 (senza assumere ulteriori obblighi), il valore dell'affare corrisponde a detto prezzo da lui effettivamente sborsato. In altri termini il valore di mercato di una società (o più precisamente delle quote od azioni che ne rappresentano il capitale) è dato (oltre che da numerosi altri fattori, come le potenzialità future di attività e sviluppo, in relazione alla caratteristiche dell'impresa e del mercato) dal complesso delle attività e delle passività sociali; ed è normale ed ovvio che acquirente e venditore considerino tutti tali dati nel decidere il prezzo rispettivamente da offrire e chiedere. Se la società compravenduta (in tutto od in parte) è oberata da debiti le sue quote od azioni si trovano ad avere necessariamente un valore oggettivo e quindi un prezzo di mercato inferiore (eventualmente anche molto inferiore) a quello che avrebbero senza i debiti medesimi. Più in concreto è ben possibile che i beni mobili od immobili di una società abbiano un ingente valore ma se ad essere oggetto della compravendita sono non essi ma quote sociali, cambia nettamente il bene compravenduto; e quindi il suo valore oggettivo (che va valutato in base ad elementi radicalmente diversi); chi acquista una azione od una quota sa che dovrà (in un modo o in un altro) farsi carico delle problematiche derivanti dai debiti sociali (che peraltro sono e resteranno comunque debiti di un altro soggetto e cioè della società di capitali) ma tale onere economico (che incide, come si è detto, sul valore delle quote od azioni compravendute, diminuendolo) deriva semplicemente (e necessariamente) dalla sua nuova posizione di socio e, in quanto conseguenza inevitabile dell'acquisto, è stato ovviamente valutato da venditori e compratori al momento della determinazione del prezzo; non è quindi un obbligo ulteriore che l'acquirente si è assunto volontariamente (mentre avrebbe potuto farne a meno), oltre al pagamento della somma convenuta, e che quindi può essere considerato parte del prezzo. Seguendo la tesi della Corte di Appello, nell'ipotesi che ad essere compravenduta fosse una società di modesto valore in quanto dotata di rilevanti attività ma con debiti per un importo quasi uguale a queste ultime, ci si troverebbe di fronte ad un atto avente il medesimo modesto valore per tutti i soggetti interessati (le parti, che hanno coerentemente concordato un prezzo modesto, l'eventuale terzo creditore intenzionato a proporre una azione surrogatoria ecc.) e sotto tutti i profili giuridici (ad es. somme da indicare nella contabilità della società acquirente e di quella venditrice, importo indicato nella relazione di stima ex art. 2498 c.c., importo rilevante ai fini fiscali ecc.) salvo che per il mediatore ai fini del computo delle sue spettanze; e quindi l'acquirente ed venditore potrebbero persino trovarsi a dover pagare a titolo di provvigione al mediatore una somma maggiore di quella pagata dall'acquirente al venditore a titolo di prezzo. Non sembra pertanto conforme alla logica ed ai principi di diritto sopra esposti ritenere che il valore dell'affare possa nella specie essere costituito non dal prezzo oggettivamente pagato per il bene compravenduto (le quote suddette; si badi bene che non è stata ritualmente sollevata alcuna questione di simulazione nè in ordine all'oggetto della vendita nè in ordine al prezzo) ma dal valore di un bene ben diverso (e di valore pacificamente ben superiore): il complesso immobiliare che la stessa Corte di merito sembra non considerare oggetto (in senso giuridico) dei contratti in questione. Va inoltre rilevato - sotto il profilo del vizio di motivazione che la Corte di merito ha (evidentemente) calcolato l'entità della provvigione con riferimento ad entrambi gli atti in questione (anche la transazione concernente il residuo 49% delle quote) con una motivazione insufficiente. Nè basta dal punto di vista logico a giustificare la conclusione in esame l'affermazione che l'affare avuto di mira dall'Olivieri fin dall'origine era l'acquisto dell'intero villaggio. La Corte di merito non ha considerato tra l'altro che, stando a quanto si evince dalla sua stessa motivazione, non era quella di vendere l'intero bene l'intenzione iniziale delle venditrici e cioè quella espressa da queste nel primo atto del 1989 e (sempre a proposito di detta intenzione e dell'epoca in cui le venditrici hanno espresso una volontà negoziale concernente la parte residua del bene) che inoltre poi da parte dell'Olivieri intervennero le vendite "...la cui fruttuosità fece riflettere tanto le stesse La Porta, da indurle a chiedere la rescissione per lesione ultra dimidium del preliminare dell'89 (controversia tosto definita col complesso regolamento transattivo del 31.7.1990)..." (ciò si legge nell'impugnata sentenza alla quartultima pagina). La Corte avrebbe pertanto dovuto motivare in modo sufficiente in ordine al nesso eziologico tra l'attività del mediatore e la conclusione anche del secondo atto (transazione). Il ricorso va dunque accolto per quanto di ragione; l'impugnata sentenza va cassata in relazione e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo alla quale va rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo. Così deciso a Roma il 22.1.1999. Nota - Sul calcolo della provvigione, Cass. 19 marzo 1984 n. 1885,.