Cassazione civile, SEZIONE II, 29 aprile 1998, n. 4354 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE Composta dagli Ill. mi Sigg. Magistrati: Dott. Gaetano GAROFALO Presidente" Michele ANNUNZIATA Consigliere" Francesco Orestano CRISTARELLA "" Alfredo MENSITIERI "" Carlo CIOFFI Rel. "ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: CARIGNANI CARLO, difeso dall'avv. Costantino Ventura di Bari,domiciliato in Roma, via Laura Mantegazza 24, presso il sig. LuigiGardin; Ricorrente contro E MICHELE FILOMENA, DE MICHELE PIETRO, MICCOLIS SANTA, DE MICHELEIMMACOLATA, DE MICHELE PIERA, difesi dall'avv. Vincenzo Russo di Bari, domiciliati in Roma, via Nicotera 29, presso lo studio dell'avv. Umberto Flamini; Resistenti avverso la sentenza della Corte d'appello di Bari N. 13-95 DEL18-1-1995Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9gennaio 1998 dal Consigliere Carlo Cioffi; Udito l'avv. Costantino Ventura: Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Alessandro Carnevali; La Corte osserva quanto segue. Fatto Il 10 dicembre 1979 i coniugi Vito Rocco De Michele e Angela Miccolis promisero di vendere a Carlo Carignani sette appezzamenti di terreno, estesi complessivamente poco più di 34 ettari, facenti parte di un unico fondo sito in agro di San Vito dei Normanni; promisero altresì di cedergli la comproprietà , in ragione di quattro settimi, del pozzo esistente su un fondo limitrofo, per modo che ne potessero usare quattro giorni su sette, per irrigare 12 dei 34 ettari oggetto del contratto preliminare; ed infine promisero di vendergli 40 tubi zincati e 12 irrigatori. Il tutto, unitamente considerato, dietro pagamento della complessiva somma di 195 milioni, in parte pagata con cambiali, il resto da pagarsi in occasione di quella del contratto definitivo, che sarebbe dovuta avvenire entro e non oltre la fine del luglio 1980. Il due settembre del 1980, quando dunque il termine per stipulare il contratto definitivo era scaduto,, le parti (e per Vito De Michele, nel frattempo deceduto, i suoi eredi) convennero che avrebbero stipulato non uno, ma più contratti definitivi, relativi ai diversi appezzamenti in diverso modo raggruppati, scadenzati nel dettaglio; e stabilirono che l'ultima stipulazione sarebbe avvenuta dopo il pagamento, da parte dei promittenti venditori, delle imposte di successione ed altre tasse relative ai terreni. Fu nella circostanza pattuita anche una penale per la parte eventualmente inadempiente. La stipulazione dei contratti definitivi di compravendita avvenne nei tempi e con le modalità stabiliti. Tutte, meno l'ultima, relativa ad un appezzamento di terreno esteso poco più di due ettari. Angela Miccolis e gli eredi di Vito De Michele convennero allora Carlo Carignani innanzi al Tribunale dei Bari (atto notificato il 15 dicembre 1981) per ottenere l'esecuzione specifica della parte del contratto preliminare rimasta inattuata, ed accusando Carlo Carignani di inadempimento. Carlo Carignani si costituì e ritorse contro gli attori l'accusa, sostenendo 1) che parte del complesso immobiliare oggetto del contratto preliminare non era irriguo, come promesso (in particolare che al riguardo egli era stato vittima di una truffa, perché con un documento contraffatto gli attori gli avevano fatto credere che il pozzo a lui ceduto in comproprietà aveva una portata molto superiore a quella reale); 2) che di tale complesso non erano stati specificati i confini, e non ne era dunque possibile individuare la consistenza; 3) che non erano stati a lui trasferiti i tubi e gli irrigatori promessi; 4) che gli attori non avevano (ovvero non avevano dimostrato di aver) pagato le imposte, così come previsto dal contratto preliminare. Carlo Carignani chiese dunque di rigetto della domanda, ed in via riconvenzionale la risoluzione del contratto preliminare, per la parte che non era stata ancora eseguita, il risarcimento dei danni e il pagamento della penale convenuta. Chiese inoltre la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica, in considerazione del falso e della truffa da lui denunziate, e la sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 3 cod. proc. pen. del tempo. Il Tribunale accolse la domanda principale, e trasferito a Carlo Carignani la proprietà dell'ultimo appezzamento di terreno, lo condannò a pagare agli attori il relativo prezzo, pari a lire 16. 085. 000, con gli accessori di legge. La Corte di appello di Bari ha rigettato, per quel che qui rileva, l'impugnazione proposta dal soccombente, osservando tra l'altro che: - i reati denunziati da Carlo Carignani sono ormai prescritti, e non è dunque il caso di trasmettere gli atti al Pubblico Ministero per l'inizio dell'azione penale; comunque egli non ha provato che i promittenti venditori gli hanno mostrato il documento che ha affermato essere stato contraffatto. - i promittenti venditori hanno adempiuto puntualmente le loro obbligazioni; in particolare non vi è prova che essi abbiano garantito una portata del pozzo, contemplato dal contratto preliminare, superiore a quella reale; - oggetto della controversia è soltanto l'ultimo appezzamento di terreno, esteso poco più di due ettari, non anche l'intero complesso immobiliare, e dunque non sono pertinenti le eccezioni di Carlo Carignani relative alle dimensioni di quest'ultimo e alle sue caratteristiche; - i tubi ed erogatori erano stati oggetto di uno dei contratti definitivi in precedenza, ed essendone stata ceduta la proprietà , la mancata consegna materiale di essi, allegata da Carlo Carignani, è da considerare come inadempimento del contratto definitivo di cui sono stati oggetto, non dalla parte del contratto preliminare rimasta inattuata e dedotta in lite; - i promittenti venditori avevano provato, esibendo le opportune certificazioni, di aver pagato tutte le imposte considerate nel contratto preliminare. Carlo Carignani ricorre per la cassazione di tale sentenza, formulando sei motivi. Santa Miccoli, Filomena, Pietro, Immacolata e Piera De Michele resistono con controricorso. Il Pubblico ministero chiede Diritto Con il primo motivo di ricorso Carlo Carignani denuncia "invasione della sfera giurisdizionale penale da parte del giudice civile, e violazione degli art. 1 cod. proc. civ. , art. 1 cod. proc. pen.. , art. 102 Cost. , art. 1 e 53 r. d. 30 gennaio 1941 n. 12"; lamenta in particolare che i giudici civili del Tribunale e della Corte d'appello di Bari si sono arrogati il potere di delibare, tra l'altro in modo quantomeno parzialmente errato, l'opportunità dell'inizio dell'azione penale per i reati di falso e truffa da lui denunziati; sostiene che "il documento a suo dire contraffatto è stato preso in considerazione dalle parti", che "l'accertamento del reato, riservato al giudice penale, avrebbe prodotto effetti vincolanti per il giudice civile",, e che "l'effetto sospensivo del giudizio civile, obbligatorio nel sistema previgente (art. 3 cod. proc. pen. e 295 cod. proc. civ. ) non è stato eliminato dalla riforma del codice di procedura penale e dalla novella dell'art. 295 cod. proc. civ. "; e conclude chiedendo che questa "Corte, unitamente alla cassazione della sentenza impugnata, dichiari che la giurisdizione sui reati di truffa e falso da lui denunziati spetta al giudice penale, adottando ogni altro consequenziale provvedimento". Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione degli art. 1362 e ss. 2932, 1460, 1476 e 1495 cod. civ.; lamenta in particolare che il giudice di merito ha "preso in considerazione solo alcune parziali espressioni letterali dei vari contratti stipulati (il preliminare e quelli definitivi relativi ai singoli appezzamenti di terreno) separatamente considerati, senza tenere presente il comportamento complessivo osservato dalle parti stipulanti; sostiene che l'inadempimento contrattuale degli attori deve essere valutato con riferimento all'intero compendio immobiliare promesso in vendita. Che costituisce un'unica azienda di 34 ettari, e non può essere invece riscontrato se si considerano unicamente i due ettari e mezzo su cui non è stata effettuata la stipula". Con il terzo motivo di ricorso Carlo Carignani denunzia violazione degli art. 2932, 1439 e 1460 cod. civ. , e "del principio della presupposizione"; sostiene in particolare che il fondo (tutto quello oggetto del preliminare) non è irriguo come promesso, e ciò giustifica il suo rifiuto di completare l'esecuzione del contratto preliminare e di acquistare l'ultimo dei sette appezzamenti di terreno da esso contemplati. Con il quarto motivo il ricorrente denunzia violazione dell'art. 2932, 1460, 1537 cod. civ. , nonché "contraddittorio ed erroneo esame di un punto decisivo della controversia"; sostiene in particolare che la Corte ha errato nel non prendere in considerazione la sua eccezione con la quale aveva rilevato che la consistenza effettiva dell'intero fondo oggetto del contratto preliminare era inferiore a quella promessa. Con il quinto motivo di ricorso Carlo Carignani denunzia "erroneo e contraddittorio esame di punto decisivo della controversia, nonché violazione degli art. 1460, 1476 e 2932 cod. civ. "; sostiene in particolare che la Corte Territoriale ha errato nell'affermare che la proprietà dei 40 tubi e degli irrigatori, oggetto del contratto preliminare, sia stata da lui acquistata con la stipulazione di uno dei contratti definitivi, segnatamente quello sottoscritto il 29 settembre 1980; tale contratto ha infatti avuto ad oggetto le attrezzature fisse e mobili di un pozzo artesiano, cosa diversa rispetto ai tubi e agli irrigatori promessi, che non sono stati a lui nè trasferiti nè consegnati. Con il sesto motivo Carlo Carignani denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 2932 cod. civ, ed omesso esame di un punto decisivo della controversia; sostiene in particolare che la Corte d'appello ha ritenuto, sulla scorta delle certificazioni esibite, che i promettenti venditori avevano pagato le imposte relative ai terreni oggetto del contratto preliminare, e che si era dunque verificata la prevista condizione alla quale è stata subordinata la stipulazione dell'ultimo contratto definitivo; ma non ha specificato nella sua sentenza se è stata pagata anche l'imposta complementare di successione a seguito della morte di Vito De Michele. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso vanno preliminarmente e congiuntamente esaminati, poiché le argomentazioni che li sostanziano sono tutte articolazioni della tesi che costituisce il fulcro dell'impostazione difensiva del ricorrente, a termini della quale la sua azione di risoluzione per inadempimento del contratto preliminare è fondata, e comunque il suo rifiuto di stipulare l'ultimo dei contratti previsti dal contratto preliminare è legittimo, perché controparte, nello stipulare gli altri contratti definitivi, gli ha trasferito la proprietà di u fondo le cui dimensioni sono inferiori a quelle indicate nel contratto preliminare, e che non è irriguo come promesso. Tale tesi non è condivisibile nella sua impostazione, e va disattesa, prima ancora di verificarne la fondatezza, in fatto. Questa Corte ha avuto occasione più volte di affermare che quando le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, stipulano anche il contratto definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l'obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta da questo superato (vedi, tra le più recenti, Cassazione civile sez. III, 29 novembre 1994, n. 10210). Questa Corte ha inoltre affermato che l'applicazione delle norme sulla garanzia per i vizi della cosa veduta presuppone l'avvenuto trasferimento della proprietà della stessa, e non riguarda quindi il contratto preliminare di vendita, il quale è caratterizzato dalla mancanza dell'effetto traslativo (Cassazione civile, sez. II, 14 novembre 1988 n. 6143). In applicazione di tali principi, deve affermarsi che, se gli stipulanti del contratto preliminare frazionano il suo oggetto materiale, e prevedono per ciascuna delle sue parti la stipulazione di distinti contratti definitivi, man mano che tali singole stipulazioni vengono poste in essere, la corrispondente parte del contratto preliminare, ormai attuata, perde rilevanza e valore, con la conseguenza che, per tale parte, non può essere configurato inadempimento di esso, e non è dunque esperibile la relativa azione risolutiva; diventano invece configurabili i vizi e le difformità delle cose trasferite, che legittimano per la domanda di risoluzione dei contratti definitivi dei quali costituiscono l'oggetto, non anche del contratto preliminare per la parte che non ha avuto ancora attuazione, la quale in tesi attiene a diverso oggetto. Il ricorrente non ha proposto azione risolutiva dei contratti definitivi stipulati, e si è limitato a chiedere la risoluzione del contratto preliminare per la parte in cui questo ha avuto attuazione con la stipulazione di contratti definitivi; nè per giustificare il suo rifiuto di stipulare l'ultimo dei contratti definitivi previsti, ha allegato vizi e difformità della cosa che costituisce l'oggetto di quest'ultimo. Il primo motivo di ricorso ha rilevanza solo se si accede alla tesi difensiva del ricorrente, perché finalizzato a dimostrarne la fondatezza, in fatto. Tale tesi però, come appena si è detto, è infondata, e al censura resta dunque assorbita. Gli ultimi due motivi di ricorso sono inammissibili, perché con esse si denunziano, più che errori nella valutazione delle prove raccolte, come tali comunque non censurabili in sede di legittimità , travisamenti dei fatti quali incontestabilmente emergono - a dire del ricorrente - dai documenti esibiti (il contratto definitivo del 29 settembre 1980 e le ricevute delle imposte pagate), e che vanno dunque fatti eventualmente valere con il rimedio della revocazione. Le spese giudiziali seguono la soccombenza. P. Q. M La Corte rigetta il ricorso e condanna Carlo Carignani a rifondere ai resistenti le spese di lite, che liquida in lire 174700, oltre lire 2. 500. 000 per onorari. Roma, 9 gennaio 1998 Nota Redazionale - Conforme, Cass. 29 novembre 1994 n. 10210. Nota Redazionale - Conforme, Cass. 14 novembre 1988 n. 6143, Vita notar. , 1988, I, 1177.