Cassazione civile, SEZIONE II, 28 ottobre 1995, n. 11279 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati: Dott. Filippo VERDE Presidente " Mario SPADONE Consigliere " Vincenzo CALFAPIETRA " " Antonio VELLA " " Mario FANTACCHIOTTI Rel. " ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da CALVANESE VINCENZO, difeso, per mandato in margine del ricorso, dall'avv.to Corrado De Liberis nel cui studio, in Roma, via E. Monaci n. 21, è elettivamente domiciliato Ricorrente contro CRIELESI ANGELO, CRIELESI MARIA TERESA e CRIELESI ANNA, difesi, per mandato scritto in margine del controricorso, dall'avv.to Pietro Tosti nel cui studio, in Roma, largo Lanciani n. 1, sono elettivamente domiciliati Controricorrenti per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma del 11 gennaio 1992-3 marzo 1992, n. 600-92. Il cons. dott Mario Fantacchiotti svolge la relazione della causa. Il p.m., in persona del Sost. Proc. Gen., dott. Vincenzo Maccarone, conclude chiedendo che il ricorso sia rigettato. Fatto Vincenzo Calvanese ha chiesto sentenza traslativa, in suo favore della proprietà di un terreno posto in località San Cosimato del Comune di Vicovaro, della superficie di mq. 10.000, promessogli in vendita da Luigi Crielesi per il prezzo di lire 1.000 al mq. Angelo e Teresa Crielesi, quest'ultima anche nella qualità di tutrice di Anna Crielesi, eredi di Luigi Crielesi, deceduto, si sono opposti alla domanda addebitando alla pretestuosa resistenza del Calvanese, che ha già avuto il possesso del terreno, la causa della omessa stipulazione del contratto definitivo di compravendita e chiedendo, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento di questo e l'accertamento del loro diritto di trattenere la caparra di lire 4.000.000 dallo stesso versata all'atto della sottoscrizione del contratto preliminare. Il Calvanese ha replicato che la conclusione del contratto definitivo è stata, invece, impedita dal rifiuto del promittente venditore di assistere alla misurazione del terreno, necessaria per la esatta determinazione del prezzo, e che il Crielesi ha, comunque, rinunciato al diritto di chiedere la risoluzione avendo proposto, nel 1976, domanda di esecuzione specifica del contratto preliminare. Il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda del Calvanese accogliendo quella riconvenzionale dei Crielesi. L'appello proposto dal Calvanese contro questa sentenza è stato rigettato dalla Corte di Appello di Roma. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte territoriale ha rilevato che, non essendovi contestazione sul bene compravenduto, del quale sono stati esattamente indicati nel contratto preliminare sia l'estensione che i confini e gli estremo catastali, ed essendo tale bene gia in possesso del Calvanese, che lo ha ricevuto all'atto della stipulazione del contratto preliminare, con autorizzazione a frazionare, progettare e vendere, per se o per persona da nominare, "nessun rilievo può attribuirsi alla lamentata omessa collaborazione del Crielesi nella esecuzione delle operazioni di misura" e che, conseguentemente, il rifiuto del consenso alla stipulazione del contratto definitivo, opposto dal Calvanese, non può' essere giustificato dalla condotta del promittente venditore ma costituisce un inadempimento evidentemente dovuto alla volontà di non pagare l'intero prezzo concordato. Tale inadempimento, secondo la Corte territoriale, giustifica la domanda di risoluzione dei Crielesi, non ostandovi la precedente domanda giudiziaria di adempimento proposta dal loro comune dante causa, dato che la domanda di adempimento non impedisce la successiva domanda di risoluzione. Contro questa sentenza il Calvanese ricorre in cassazione. I Crielesi resistono con controricorso. Diritto Con il primo motivo il ricorrente denuncia "violazione ed errata interpretazione dell'art. 1537 cod. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. L'errore della Corte territoriale, secondo il ricorrente, è quello di avere ritenuto che nella vendita a misura la misurazione del terreno serva solo per identificare i confini del fondo e che la misurazione non è, quindi, necessaria quando il bene è esattamente individuato con l'indicazione dei suoi confini, quando è del tutto pacifico per la giurisprudenza della Corte di Cassazione che nella vendita a misura la misurazione serve per determinare il prezzo senza del quale non è possibile la stipulazione del contratto definitivo e che, come precisato nella sentenza n. 4227 del 1976, "quando venga concluso un contratto preliminare di vendita di immobile a misura, il promittente venditore che rifiuta di procedere, come pattuito, alla misurazione non può' pretendere che il promittente compratore stipuli il contratto definitivo pagando il prezzo in base alla misura indicata approssimativamente nel preliminare" Il motivo trae spunto da un errore di diritto della Corte di merito che, ricollegandosi ad una antica giurisprudenza di questa Corte, che qualificava "a misura" la vendita in cui la misurazione è necessario criterio di individuazione dell'immobile compravenduto e dei suoi confini, ha ritenuto, nel caso in esame, che la precisa indicazione, nel contratto preliminare, dell'immobile escludesse la necessità della sua misurazione e, conseguentemente, privasse di ogni giustificazione la pretesa del Calvanese di far precedere il contratto definitivo da questa misurazione. L'argomento del quale si è servita la Corte di merito ignora, infatti, che, come la più recente giurisprudenza di questa Corte ha precisato, sostanzialmente modificando il suo originario orientamento ed allineandosi alla dottrina unanime, nella vendita a misura la quantità o estensione della cosa compravenduta non è in funzione della esatta individuazione dell'oggetto del contratto ma criterio di determinazione del prezzo complessivo (sent. n 976-67) e che la pretesa del Calvanese di far precedere la stipulazione del contratto definitivo dalla esatta misurazione del terreno non poteva essere valutata, dunque, in base alla necessità della esatta identificazione, anche solo quantitativa, del bene compravenduto, ma in rapporto alla esigenza o meno dell'accertamento, in concreto, del prezzo dovuto dal promittente compratore all'atto della stipulazione del contratto di compravendita in cui quel prezzo, indicato nel contratto preliminare solo in base alla unità di misura (lire 2.000 al metro quadrato), doveva essere interamente pagato. Il rilevato errore di diritto non si traduce, però, nel caso in esame, in un errore di giudizio dato che, sulla base degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito risulta, comunque, oggettivamente ingiustificata la pretesa del Calvanese di far precedere il contratto definitivo dalla misurazione "in contraddittorio" del fondo. Per quanto, contrariamente a ciò che si afferma nel ricorso, la legge, nella vendita a misura, non riconosce affatto il diritto del compratore di far precedere il pagamento del prezzo dalla misurazione del bene, non vi è dubbio che tale diritto, nei casi di vendita con pagamento differito del prezzo ed in quelli di contratto preliminare di compravendita, essendo strumentale alla esatta determinazione del prezzo dovuto dal compratore o dal promittente compratore, non può' essere negato; il promittente compratore di un individuato bene immobile per un prezzo "a misura" ha diritto, dunque, di controllare l'estensione complessiva indicata nel contratto preliminare prima della conclusione del contratto definitivo. Ma tale diritto, se non sia diversamente stabilito dalle parti, implica solo quello di accesso nel fondo per l'esecuzione delle necessarie operazioni tecniche, non anche quello alla partecipazione attiva e personale dell'altra parte, o di un suo incaricato, a queste operazioni. Ciò rende, con evidenza solare, del tutto priva di ogni fondamento giuridico la pretesa di verifica, "in contraddittorio", della estensione del fondo, del quale, peraltro, il Calvanese, che pure, secondo quanto risulta accertato in sede di merito, ha ottenuto il possesso all'atto della sottoscrizione del contratto preliminare ed stato, quindi, sempre in grado di verificare l'estensione, non ha mai dedotto una estensione diversa da quella indicata nel contratto preliminare. È appena il caso di rilevare che i principi di diritto ora esposti sono perfettamente coerenti con quelli affermati nella sentenza indicata dal ricorrente (n 4227-76) per sostenere le sue opposte tesi giuridiche, dato che in questa sentenza, contrariamente a quanto si legge nel ricorso, la necessità della misurazione dell'immobile promesso in vendita e fatta dipendere dalla mancanza di una indicazione certa, nel contratto preliminare, della misura del fondo e dalla presenza di un patto espresso che impegnava le parti alla esatta misurazione del fondo. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., "omesso esame della prova documentale prodotta dal promittente acquirente, decisiva ai fini del reperimento del contraente colpevole ed inadempiente" La Corte di merito, secondo il ricorrente, non ha tenuto conto: 1) della raccomandata del 28 novembre 1975 con la quale egli ha comunicato al promittente venditore la sua disponibilità alla stipulazione del contratto notarile "non appena fossero completate le operazioni di misurazione"; 2) la raccomandata del 13 maggio 1975 con la quale egli ha intimato il promittente venditore a partecipare alle operazioni di misurazione del terreno; 3) del telegramma del 19 gennaio 1975 con il quale egli aveva fissato un appuntamento dinnanzi al notaio; 4) della lettera dell'8 marzo 1986 con la quale egli si è dichiarato disposto a definire al più presto la pratica in esame. Anche questa censura deve essere disattesa. Questa Corte ha ripetutamente chiarito che l'omessa considerazione, nella motivazione della sentenza, di una prova da luogo al vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio), di cui all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., solo se ed in quanto si tratti di prova decisiva, perché astrattamente idonea ad influire sulla decisione (sent. n. 288-89) Nel caso in esame, dunque, l'omessa valutazione, nella sentenza impugnata, dei documenti indicati dal ricorrente può' assumere rilievo giuridico solo se possa in concreto riconoscersi che, per il loro contenuto, quale indicato dal ricorrente, questi documenti siano anche solo astrattamente idonei a provare la disponibilità concreta del Calvanese alla stipulazione del contratto definitivo e ad escludere, perciò, che questo contratto è mancato per fatto addebitabile al predetto Calvanese. Questa astratta valenza probatoria dei documenti in questione deve essere senz'altro esclusa dato che: 1) la convocazione dinnanzi al notaio (telegramma del 19 gennaio 1975) non dimostra la causa che ha impedito la stipulazione del contratto definitivo nella data indicata ma può' solo costituire un indizio equivoco, e, perciò, tutt'altro che decisivo, di una generica ed iniziale volontà del Calvanese di stipulare quel contratto; 2) l'invito alla promittente venditrice per la misurazione "in contraddittorio", del terreno (lettera del 13 maggio 1975), come la successiva comunicazione della disponibilità alla stipulazione del contratto "non appena ultimate le operazioni di misurazione, rivela, in realtà, una volontà contraria alla stipulazione del contratto prima della richiesta verifica, come si è detto ingiustificata soprattutto se si ha riguardo alla concreta situazione in cui il Calvanese, possessore dell'immobile, si trovava; 3) la dichiarata disponibilità a "definire al più presto la pratica" (lettera 8 marzo 1986) sembra innestarsi in una trattativa che è logicamente incompatibile con la volontà di concludere immediatamente il contratto definitivo alle condizioni prefissate in quello preliminare. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione ed errata interpretazione dell'art. 2932 cod. civ. addebitando alla Corte di merito l'omessa pronuncia sulla sua domanda di sentenza traslativa della proprietà del fondo promesso in vendita, sub condicione del versamento del residuo prezzo dovuto. La censura è manifestamente infondata dato che i giudici di merito non hanno ignorato la domanda del Calvanesi ma l'hanno rigettata per effetto dell'accoglimento della domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto preliminare contro di lui proposta dal Crielesi. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia "omissione da parte della Corte territoriale dell'esame della circostanza decisiva dell'acquiescenza manifestata dal Crielesi risultante dall'abbandono del giudizio introdotto con l'atto del 15 aprile 1976, avente per oggetto l'adempimento specifico". In altri termini, il ricorrente addebita alla Corte territoriale di non avere considerato che con la domanda giudiziale di esecuzione specifica del contratto preliminare il promittente venditore ha rinunciato ad avvalersi dell'inadempimento sul quale basa, ora, la sua domanda di risoluzione. Anche questa censura è manifestamente infondata perché ignora del tutto che, come è espressamente precisato nell'art. 1453 cod. civ., la domanda di adempimento della prestazione dovuta dall'altra parte non preclude affatto la possibilità di chiedere, nello stesso o in altro successivo giudizio, la risoluzione del contratto ove, nonostante l'azione giudiziaria, l'inadempimento persista. Se, poi, con la censura in esame il ricorrente ha inteso sostenere che la estinzione del giudizio nel quale è stata proposta la domanda di adempimento implica rinuncia della parte a far valere le conseguenze dell'inadempimento, la censura non meriterebbe migliore sorte, non riuscendo questa Corte a scorgere l'iter logico di un simile argomento che, per quanto è dato comprendere, considera, con manifesto errore di diritto, l'inattività processuale della parte come atto inequivoco di una volonta di rinuncia ai diritti fatti valere in giudizio. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia "violazione ed errata interpretazione dell'art. 1453 cod. civ. nonché omissione dell'esame della circostanza secondo la quale i Crielesi non potevano ritenere inadempiente il Calvanese". In altri termini il ricorrente sostiene che l'offerta di pagamento del residuo prezzo dovuto non poteva essere rifiutata dal promittente venditore, che non aveva ancora proposto domanda di risoluzione, e non può' essere, pertanto, dedotta a fondamento della domanda di risoluzione del contratto la censura e, ancora una volta, infondata avendo la più recente giurisprudenza di questa Corte ripetutamente chiarito, modificando un precedente contrario orientamento (sent. n. 1531-81), che nei contratti a prestazioni corrispettive l'adempimento tardivo di una parte può' essere legittimamente rifiutato dall'altra parte adempiente anche nel caso in cui quest'ultima non abbia ancora proposto la domanda per conseguire la risoluzione del contratto, salva la valutazione da parte del giudice, della non scarsa importanza dell'inadempimento, ai sensi dell'art. 1455 cod. civ., dovendosi escludere che l'opposto principio possa farsi derivare dalla disposizione dell'art. 1453 ultimo comma cod. civ. (secondo cui l'inadempiente non può' più adempiere dopo la domanda di risoluzione) dato che in tal modo si consentirebbe alla parte inadempiente di modificare a suo arbitrio, e senza il consenso dell'altra parte, la situazione a lei sfavorevole da essa stessa determinata. Il ricorso deve essere, pertanto respinto con la conseguente pronuncia sulle spese ed onorari del giudizio. P.Q.M La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della spese ed onorari in favore dei controricorrenti, liquidando le spese in lire 94.300 e gli onorari in lire 2.500.000 (duemilionicinquecentomila). Così deciso nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte il 23 giugno 1995.