Cass_27_2_98_2152 SENTENZA CASSAZIONE sez. II n° 2152 del 27.2.1998 TITOLO: Obbligazioni in generale - approvazione specifica di clausola onerosa bilaterale, anche nel caso di predisposizione unilaterale (artt. 1341 e 1342 c.c.). MASSIMA: Qualora il testo contrattuale sia stato apprestato da una sola parte, la clausola di rinnovo non espresso è valida solo nel caso sia stata sottoscritta dall’aderente. La clausola non può essere valutata applicabile per fatto concludente, in virtù dell’esecuzione del contratto data da entrambe le parti, se riguarda un contratto tra consumatore e professionista. (il caso verteva su un rinnovo, con preavviso trimestrale, di un contratto di assistenza triennale all’impianto ascensore) . Nel 1990 una società di assistenza per ascensori ha chiesto al Pretore di Milano ed ottenuto due procedimenti ingiuntivi a carico di un Condominio di Pavia per mancato pagamento di servizi forniti; il Condominio si è quindi opposto, affermando, peraltro, l’avvenuta disdetta del contratto prima dello svolgimento delle prestazioni contestate. Il Giudice ha respinto le opposizioni, convalidando i decreti, in considerazione del fatto che il contratto prevedeva all’articolo 2 che il rapporto si rinnovasse automaticamente ogni 3 anni, salvo disdetta tramite raccomandata da comunicare non oltre 3 mesi prima della scadenza; e detta condizione, pur risultando onerosa e quindi bisognosa di apposita sottoscrizione, poteva essere considerata comunque applicabile per fatto concludente, in virtù della esecuzione data al contratto da entrambe le parti. Essendo stato presentato appello dallo stesso Condominio, il Tribunale di Milano ha deciso, sovvertendo il giudizio di primo grado, di accettare le tesi dell’opponente, decretando l’invalidità dei decreti ingiuntivi; le motivazioni addotte sono state proprio relative alle previsioni codicistiche in tema di clausole onerose incluse nelle condizioni generali di contratto (art. 1341 c.c.) o nei contratti conclusi tramite moduli o formulari (art. 1342 c.c.), qualora non siano appositamente sottoscritte (art. 1341, II c.c.). Inoltre, si è affermato che le clausole anche se aventi effetti bilaterali, possono essere comunque considerate vessatorie, con le conseguenze sopra ricordate. Tenuto conto di ciò e non essendo stata firmata specificamente detta clausola, non la si poteva ritenere efficace per il Condominio e, di conseguenza, la disdetta dell’accordo da parte dello stesso Condominio non era tardiva, ma poneva effettivamente termine al contratto in questione, il quale continuava ad avere attuazione, ma trasformato in contratto a tempo indeterminato e come tale disdicibile senza preavvisi determinati, in particolare anche per il fatto di essere caratterizzato da prestazioni saltuarie. A questo punto la società di assistenza ha proposto ricorso per Cassazione, affermando, in primo luogo, che, ammessane e non concessane la vessatorietà, la clausola in questione era comunque stata approvata dal Condominio; a questo primo rilievo la Suprema Corte ha replicato semplicemente che la sentenza impugnata afferma esplicitamente che, dai fatti, detta sottoscrizione non risulta apposta. In secondo luogo, si è invece più precisamente argomentato che la condizione sul recesso non richiede una approvazione apposita, in quanto ha effetto per entrambi i contraenti e non singolarmente, ai sensi dell’art. 1341, II c.c., contro la sola parte debole; pertanto era da ritenersi effettiva verso ambedue i contraenti. Ulteriore punto era relativo alla conseguenza logica che la disdetta, poiché tardiva, non determinava la cessazione del contratto in quel momento, bensì alla scadenza immediatamente successiva, di tre anni posteriore. Anche su questo punto la Cassazione ha espresso il proprio rigetto, ritenendo non più attuale l’orientamento, pure seguito da essa stessa in un passato non recentissimo, consistente nel ritenere effettive condizioni di rinnovo tacito, anche non sottoscritte specificamente, valutandole non a carico di una sola parte, bensì di entrambe, nonché per la facoltà, attribuita all’aderente, di comunicare la disdetta mediante lettera entro un certo termine. Questa linea fu, per la verità, mutata dalla Cassazione, già con la sent. 3161/68 che fissava come vessatorie a carico di una sola parte, le clausole di rinnovo automatico del contratto, e in tal modo non efficaci se non sottoscritte appositamente dall’aderente ex art. 1341, II c.c.. Questa nuova interpretazione è stata qui approvata sulla base delle seguenti considerazioni: le clausole di rinnovo non espresso degli accordi sono chiaramente bilaterali poiché hanno per forza valore verso tutte le parti coinvolte; la bilateralità della clausola predisposta da una parte è sempre molto relativa, in quanto quest’ultima ha attentamente considerato il tutto in funzione del proprio interesse, mentre l’aderente non si trova in una situazione ideale per esaminare la propria posizione; l’art. 1341, II c.c. prevede altresì dei casi precisi in cui clausole reciproche (ad esempio quelle compromissorie o di deroga alla competenza giudiziaria) debbano essere appositamente sottoscritte dall’aderente; e anche la ragione secondo cui l’aderente potrebbe sempre comunicare la propria disdetta entro il termine previsto, non regge se si tiene conto della ratio dell’art. 1341 c.c. che è di considerare vincolata la parte debole solo quando sia stata messa in grado di conoscere e soppesare la clausola da firmare. Con il terzo punto del ricorso la società di assistenza ha contestato l’assunto per cui la mancata sottoscrizione della clausola in questione avrebbe trasformato il contratto in una forma a tempo indeterminato non bisognevole di particolari preavvisi per la disdetta. In realtà, è la tesi della ricorrente, ci troviamo in presenza di un contratto di appalto di servizi, la cui disciplina prevede (art. 1671 c.c.) che l’appaltante possa anche recedere, a condizione che rimborsi all’appaltatore i costi già affrontati ed il mancato introito derivante dall’interruzione dei lavori iniziati; pertanto, il condominio sarebbe stato tenuto a corrispondere la penale prevista dal contratto di cui si discute. La motivazione fondamentale di questo ragionamento risiede nel fatto che l’importo dell’appalto è stato valutato anche in considerazione della durata del contratto, data la natura dello stesso, e quindi l’imprevista interruzione del rapporto ha determinato la richiesta sopra esposta. Tuttavia, la Suprema Corte ha rigettato anche questo motivo di ricorso, replicando che la ricorrente, al riguardo, avrebbe dovuto semplicemente presentare la debita richiesta di rimborso ex art. 1671 c.c.; al contrario la società stessa ha sempre e soltanto insistito sul pagamento dei canoni dovuti, considerando, conseguentemente, il contratto prorogato. Pertanto, detta richiesta è risultata totalmente al di fuori della questione di merito sottoposta al Tribunale, di talchè non si possono muovere critiche di legittimità in proposito all’operato di detto organo giudicante. In definitiva, per quanto su esposto, il ricorso è stato rigettato dalla suprema Corte. La materia che viene in rilievo in questa decisione è quella relativa ai contratti per adesione, detti anche contratti standard; in questo tipo di accordi, il contenuto degli obblighi è sostanzialmente predisposto da una sola parte ed in questo rappresenta una deroga al criterio generale, secondo cui un contratto è frutto del libero negoziato tra due differenti espressioni di volontà. Questo genere di contratti ricomprende due diverse tipologie: le condizioni generali di contratto ed il contratto concluso mediante moduli o formulari. La prima fattispecie contiene la disciplina unitaria con cui chi appronta il contratto regola i propri rapporti commerciali (ad es. banche o assicurazioni). Il secondo tipo è invece costituito da contratti-tipo prestampati con spazi da riempire (come i moduli per i contratti di locazione preparati da alcune Case editrici giuridiche). Per questo tipo di contratti, predisposti da una sola parte, si considerano conclusi con l’assenso dell’altra (c.d. “debole”) parte, la quale non può influire sul “contenuto”: ha soltanto la possibilità di aderire all’offerta o di respingerla in toto. A questo riguardo, l’impianto normativo del nostro ordinamento, per garantire la posizione dell’aderente, prevede che le condizioni generali di contratto abbiano effetto verso lo stesso soltanto nell’ipotesi che questi, alla definizione dell’accordo, le conoscesse o fosse in grado di conoscerle con la normale sollecitudine. Si è inoltre previsto, sempre in questa ottica, che le condizioni estremamente onerose debbano essere sottoscritte specificamente dall’aderente con una seconda firma che evidenzi questa ulteriore accettazione. In generale, per clausola vessatoria si intende quella che pone la parte “debole” del contratto in una posizione di svantaggio al di là della previsione legale ed è caratterizzata solitamente dalle seguenti peculiarità: universalità, in quanto è rivolta a tutti e non ad individui specifici; parzialità, in quanto approntata da un solo contraente, quello “forte”; non negoziabilità, l’aderente può solo sottoscrivere in blocco o rifiutare, non può trattare il contenuto. Il codice civile ricomprende, all’art 1341, II, un gruppo di casi tassativi per i quali è stabilito l’obbligo della sottoscrizione specifica; esso è suddiviso in due grandi sottocategorie: le condizioni favorevoli al predisponente e quelle penalizzanti per l’altra parte. Rispetto a questo secondo genere di clausole la dottrina ha sollevato alcune perplessità. In particolare per quelle che pongono delle disposizioni nei confronti di entrambi i contraenti, e tra queste vi sono quelle che stabiliscono il tacito rinnovo del contratto, ci si è posti l’interrogativo se si possa ancora parlare di “vessatorietà” verso l’aderente con conseguente necessità di approvazione apposita. La conclusione raggiunta dalla Giurisprudenza, a partire dalla fine degli anni ’60 e confermata dalla presente sentenza, è stata quella che ci si trova di fronte a clausole onerose, esigenti di doppia sottoscrizione ex art. 1341, II c.c., anche quando la proroga tacita abbia effetto bilaterale. Questo orientamento prende spunto, oltre che dal fatto che la clausola viene preparata dal contraente più forte, da altri elementi come la reciprocità necessaria, e non scelta liberamente (infatti, se la durata di un rapporto giuridico viene prolungata, ciò avviene obbligatoriamente nei confronti di tutte le parti dello stesso), il divario tra la posizione delle due parti, l’elencazione nello stesso art. 1341, II c.c. di altre specifiche condizioni ad effetto bilaterale definite come vessatorie. Altro momento centrale dell’analisi dei giudici della Suprema Corte è che l’art. 1341, II c.c. è finalizzato ad assicurare la negoziabilità sostanziale delle condizioni vessatorie nei contratti per adesione, al di là della disparità di posizione economica tra le due parti, ma presunta la situazione di svantaggio contrattuale dell’aderente. In conclusione, l’importanza del verdetto della Cassazione risiede nel fatto che sia stato riconosciuto che una clausola di rinnovo non espresso del contratto, seppure con efficacia reciproca, rientra in ogni caso nel novero delle clausole onerose e perciò richiede, perchè abbia effetto verso l’aderente, la sottoscrizione apposita da parte dello stesso. Di conseguenza, nell’ipotesi, come quella in questione, in cui manchi la firma dell’aderente, la clausola è da considerarsi nulla, senza che occorra investigare sulla eventuale conoscenza concreta che della stessa abbia avuto la parte debole, pur non avendola sottoscritta.