Cass_25_6_94_6119 Cassazione civile, SEZIONE II, 25 giugno 1994, n. 6119 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Omissis ha pronunciato la seguente SENTENZA Sul ricorso proposto da:
PENNA DOMENICO, CERCIELLO MARIA e PENNA RENATO elettivamente domiciliati in Roma c-o la Cancelleria della Corte di Cassazione; difesi dall'avv. Vincenzo Gioia per delega in calce al ricorso.
RICORRENTI
CONTRO
COND. ORCHIDEA in S. GIORGIO A CREMANO al Viale privato tra i civici 21 e 23 di Via Don Morosino.
Intimato
Per la cassazione della sentenza n. 810 della Corte d'Appello di Napoli del 24.11.89-27.4.90.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3.11.193 dal Cons. Rel. Dr. Carnevale.
Sentito il P.M. nella persona del Sost. Proc. Gen. Dr. Dettori che ha concluso per il rigetto del ricorso.
 Fatto Con atto di citazione notificato il 17 novembre 1982 l'amministratore del fabbricato condominiale "Orchidea" sito in S. Giorgio a Cremano viale privato da via Don Morosino fra i n. civici 21 e 23 conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Napoli, i coniugi Domenico Penna e Maria Cerciello nonché Renato Penna, comproprietari del fabbricato denominato "Palazzina A" sito al n. 23 della detta via.
Sosteneva che l'area scoperta annessa alla detta palazzina era gravata di servitù di passaggio per pedoni e veicoli a favore del fabbricato condominiale "Orchidea"; che i convenuti arbitrariamente avevano recintato con paletti una parte di detta area, riducendo da m. 10 a m. 6,50 la larghezza del viale di accesso al fabbricato "Orchidea", con notevole diminuzione dell'esercizio della servitù.
Chiedeva: a) - di dichiarare che, a favore del fabbricato condominiale "Orchidea", esisteva una servitù di passaggio per pedoni e veicoli - sul viale privato di accesso, da via Don Morosino tra i n. civici 21 e 23, di proprietà condominiale dei fabbricati n. civici 21 e 23 di via Don Morosino, della larghezza originaria di circa ml. 10 - gravante sull'area scoperta annessa alla "Palazzina A" e per metà sull'area scoperta annessa alla "Palazzina B"; b) - di dichiarare che i convenuti, con la installazione dei paletti in ferro su una parte dell'area scoperta annessa al loro fabbricato, avevano ristretto il viale da m. 10 circa a circa m. 6,50 e pertanto diminuito l'esercizio della servitù di passaggio; conseguentemente condannare i convenuti alla rimozione dei detti paletti.
I convenuti si costituivano in giudizio ed eccepivano il difetto di legittimazione attiva del Condominio; chiedevano in subordine di dichiarare l'inesistenza della dedotta servitù; ancora più subordinatamente dichiarare che la recinzione della zona scoperta non ostacolava in nessun modo il passaggio pedonale e veicolare dalla via Don Morosino al fabbricato condominiale "Orchidea".
Il Tribunale, con sentenza 13 luglio - 4 ottobre 1988, accoglieva la domanda del Condominio.
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza 24 novembre 1989 - 27 aprile 1990, rigettava l'appello proposto dai convenuti Penna - Cerciello.
La Corte (per quanto interessa in questa sede) riteneva: a) - infondata l'eccezione di difetto di legittimazione attiva del Condominio, rilevando che fondo dominante era proprio l'edificio (condominiale) una volta venuto ad esistenza e che in conseguenza titolare dell'azione era anche il Condominio quale ente di gestione dell'edificio; b) - che non sussisteva litisconsorzio necessario nei confronti dei condomini della "Palazzina B"; c) - che non sussisteva la dedotta erronea interpretazione dell'atto per Notar Santangelo del 22 maggio 1969 (costitutivo della servitù in questione); d) - che, in base ai documenti prodotti non era contestabile che il passaggio avesse una ampiezza di ml. 10 (poi corretti dal C.T.U. in ml. 9); che, al fine di stabilire se un'opera fosse tale da impedire, restringere o rendere più gravoso l'esercizio della servitù, occorreva fare riferimento al titolo costitutivo della servitù medesima (Cass. 13.5.1976 n. 1697) e non era consentito alcun apprezzamento discrezionale in ordine alla entità del pregiudizio arrecato (Cass. 13.4.1981 n. 2191).
Domenico Penna, Maria Cerciello e Renato Penna ricorrono per cassazione deducendo cinque motivi.
Il Condominio non ha svolto attività difensiva. Diritto Con il primo motivo si deduce la falsa interpretazione degli artt. 1117 e segg. e dell'art. 1079 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..
I ricorrenti sostengono che, in relazione alla eccezione del difetto di legittimazione attiva del Condominio, la Corte di Appello - a parte le evidenziate contraddizioni della motivazione della sentenza - ha omesso di considerare che proprietari di un edificio in condominio sono i proprietari delle singole unità immobiliari e non il "condominio" (il quale privo di personalità giuridica non può essere titolare di diritti) e che l'azione a tutela della servitù ex art. 1079 c.c. spetta al "titolare della servitù".
Il motivo va disatteso in base ai rilievi che seguono.
Ai sensi degli art. 1130 e 1131 comma primo c.c. l'esperimento, da parte dell'amministrazione del condominio di edificio, di "actio confessoria servitutis", nei confronti del singolo condominio o del terzo, richiede l'autorizzazione dell'assemblea o il mandato espresso dei singoli partecipanti, vertendosi in tema di azione reale con finalità non meramente conservativa, la quale esula dai limiti delle normali attribuzioni dell'amministratore (cfr. Cass. 18.11.1974 n. 3679; 11.1.1979 n. 202).
Poiché il diritto di ciascun condominio investe la cosa comune nella sua interezza, sia pure con il limite del concorrente diritto degli altri condomini, anche un solo condominio può promuovere le azioni reali a difesa della proprietà comune, senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione. Pertanto tali azioni possono essere deliberate - anche a maggioranza - dall'assemblea dei condomini, la quale può conferire all'amministratore o ad altri il potere di agire, nel comune interesse (cfr. Cass. 10.9.1980 n. 5220).
Va così corretta la motivazione in diritto della sentenza della Corte di Appello, ai sensi del secondo comma dell'art. 384 c.p.c..
Nella specie sussiste l'autorizzazione dell'assemblea all'amministratore del condominio per l'esperimento dell'"actio confessoria servitutis", come risulta dalla (corretta) motivazione della sentenza del Tribunale (cfr. sent. fog. 4) e dalla stessa sentenza della Corte di Appello (cfr. sent. fog. 7).
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 102 c.p.c., sostenendo la necessità della partecipazione al giudizio anche dei comproprietari della palazzina "B", in quanto la pretesa servitù di passaggio graverebbe anche sull'area scoperta annessa alla palazzina "B".
Il motivo non è fondato.
Erroneamente i ricorrenti fanno riferimento alla sentenza di questa Corte 5.4.1984 n. 2205, che si riferisce alla diversa ipotesi di domanda diretta alla costituzione di servitù di passaggio coattivo.
L'azione confessoria ha invece lo scopo di "accertare" l'esistenza del rapporto di servitù che sia contestato e legittimato passivo è, tra gli altri, il proprietario del fondo gravato che contesti l'esercizio della servitù.
I condomini (attori) del fabbricato condominiale "Orchidea" non hanno avuto interesse a convenire in giudizio in comproprietari della palazzina "B", i quali, evidentemente, non contestano la servitù e non hanno posto impedimenti all'esercizio della servitù medesima.
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine agli atti costitutivi della pretesa servitù, sostenendo che la servitù per la quale è causa non fu costituita, nè con il regolamento di condominio depositato agli atti del Notaio Spena il 22.10.1953, nè con l'atto del Notaio Santangelo del 22.5.1969 (con il quale le parti si limitarono a richiamare una servitù giuridicamente inesistente); che viceversa la Corte di Appello "in aperta violazione delle norme di ermeneutica" ha affermato che le parti, con l'atto del 22.5.1969, vollero effettivamente costituire una nuova servitù.
Il motivo non è fondato.
Con l'atto per Notaio Santangelo del 22.5.1969 "fu costituita" la servitù per la quale è causa, in base alla interpretazione dell'atto - da parte del Tribunale confermata dalla Corte di Appello (cfr. sent. della Corte; fog. 12 - 13). A detta interpretazione i ricorrenti oppongono una diversa interpretazione, per cui l'atto del 1969 si limitò a "richiamare" una servitù inesistente.
Ciò posto è sufficiente rammentare, per ritenere l'inconsistenza del motivo, che:
- l'interpretazione di disposizioni negoziali, compiuta dal giudice del merito, è incensurabile in sede di legittimità, se immune da violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale e sorretta da adeguata motivazione (cfr., tra le tante, Cass. 8.9.1988 n. 5112; 11.2.1989 n. 863);
- per potersi configurare la violazione delle regole di interpretazione del contratto occorre che vengano specificati i canoni in concreto inosservati ed il modo in cui il giudice del merito si sia da essi discostato, non essendo idonea una critica del risultato raggiunto dallo stesso giudice mediante la contrapposizione di una diversa interpretazione (cfr., tra le tante, Cass. 29.10.1983 n. 6458; 11.2.1989 n. 861).
Non sussistono i denunziati vizi di motivazione della sentenza.
Con il quarto motivo i ricorrenti deducono l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all'ampiezza della servitù di passaggio.
Sostengono che la Corte di Appello - in violazione delle norme di ermeneutica - ha affermato che la zona gravata dalla servitù ha una larghezza di ml 10, trascurando di considerare che, nei regolamenti di condominio della palazzine "A" e della palazzina "B", non è alcuna indicazione dell'ampiezza del passaggio; che, conseguentemente, la Corte di Appello non doveva affermare che l'intero vialone era gravato dalla servitù ma che l'ampiezza della zona gravata doveva essere tale da soddisfare i bisogni del fondo dominante.
Il motivo non è fondato.
Va qui richiamato quanto rilevato in relazione al terzo motivo, in ordine alla interpretazione di disposizioni negoziali da parte del giudice del merito.
Per quanto già rilevato non sussistono i denunciati vizi di motivazione della sentenza.
Nel ricorso dei Penna - Cerciello medesimi (sub terzo motivo; fog. 10) è testualmente riportato il regolamento di condominio, della palazzina "A" che si riferisce a tutta l'"area scoperta" ("detta area scoperta è gravata altresì di servitù di passaggio....").
Avendo già con l'ultimo motivo di appello gli appellanti fatto riferimento al parametro del soddisfacimento dei bisogni del fondo dominante, esattamente la Corte di Appello, rammentando la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 13.4.1981 n. 2191), ha rilevato che occorreva fare riferimento al titolo costitutivo della servitù e che - in ordine al contenuto delle utilità in favore del fondo dominante ed all'entità del pregiudizio ad esse arrecato - non era consentito alcun apprezzamento discrezionale.
Con il quinto motivo i ricorrenti sostengono che essendo stato il fabbricato (fondo dominante) costruito tra il 1968 ed il 1970, all'epoca la servitù di passaggio, costituita nel 1953 a favore di un edificio futuro, si era già estinta per prescrizione.
Il motivo è inammissibile.
I motivi di ricorso per cassazione debbono investire, a pena di inammissibilità, statuizioni e questioni che hanno formato oggetto di gravame con l'atto di appello, sicché nel giudizio di legittimità non possono essere prospettate per la prima volta questioni nuove e temi nuovi di contestazione involgenti accertamenti di fatto non compiuti, perché non richiesti, in sede di merito (cfr., tra le più recenti, Cass. 2.8.1990 n. 7714; 11.8.1990 n. 8230).
Il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese, non avendo l'intimato svolto attività difensiva. P.Q.M La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
Così deciso in Roma il 3 novembre 1993.