Cass_23_10_97_10419 Cassazione civile, SEZIONE I, 23 ottobre 1997, n. 10419 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE I CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati: Dott. Rosario DE MUSIS Presidente" Gian Carlo BIBOLINI Consigliere" Ugo Riccardo PANEBIANCO Rel. "" Luigi ROVELLI "" Simonetta SOTGIU "ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: MANFREDI GUGLIELMO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA LUCREZIO CARO 12-1, presso l'avvocato ENRICO DANTE, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMO BIANCHINI, ALFREDO MAVER, giusta delega a margine del ricorso; Ricorrente contro FALLIMENTO C.E.F.F. SNC COSTRUZIONI EDILI F.LLI FAVA, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIAARENULA 41, presso l'avvocato MARIO ZACCAGNINI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato FRANCO PINARDI, giusta delega a margine del controricorso; Controricorrente avverso la sentenza n. 54-96 della Corte d'Appello di BOLOGNA, depositata il 12-01-96;udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del12-05-97 dal Relatore Consigliere Dott. Ugo Riccardo PANEBIANCO; udito per il resistente, l'Avvocato Zaccagnini, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carmine DI ZENZO che ha concluso per il rigetto del ricorso. Fatto Con ricorso proposto ai sensi dell'art. 98 del R.D. 16-3-1942 n. 267 al giudice delegato al fallimento della s.n.c. Costruzioni Edili Fratelli FAVA (C.E.F.F.) dichiarata fallita dal Tribunale di Parma Manfredi Guglielmo esponeva che: - il 4-6-1986 aveva concluso un accordo con la s.n.c. C.E.F.F. in base al quale era stato pattuito in suo favore, "per l'opera di acquisizione svolta", un compenso pari al 7% dell'importo globale dell'appalto concluso tra la C.E.F.F. ed i proprietari dell'edificio condominiale sito in Parma via Maestri n. 5 per lavori da eseguire nello stabile; - alla data della dichiarazione di fallimento della C.E.F.F. residuava in suo favore, operate le dovute compensazioni, un importo di L. 8.462.578, la cui richiesta di ammissione al passivo in via chirografaria proposta con domanda del 26-6-1991 era stata respinta, in base alla considerazione che il credito non spettava perché l'accordo che lo prevedeva era nullo per essere stato da lui stipulato nella veste di amministratore del condominio e quindi in contrasto di interessi; - che tale motivazione era erronea sia perché non era stato mai amministratore del condominio e comunque non aveva mai versato in una situazione di conflitto di interessi e sia perché l'annullamento del contratto avrebbe potuto essere disposto solo su domanda dell'interessato e non di un terzo, quale doveva considerarsi la C.E.F.F.. Si costituiva il curatore del fallimento il quale deduceva che, essendo risultato documentalmente che all'epoca della sottoscrizione della scrittura privata del 4-6-1986 e della stipulazione del contratto di appalto il Manfredi era amministratore del condominio e che pertanto era da escludere la figura del mediatore in quanto legato ad una delle parti da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza, chiedeva il rigetto dell'opposizione. Con sentenza del 18-3-13-5-1993 il Tribunale di Parma rigettava l'opposizione, sottolineando che la lettera del 4-6-1986 con cui la C.E.F.F. aveva riconosciuto al Manfredi una provvigione pari al 7% dell'importo complessivo dei lavori in relazione all'opera di intermediazione da lui svolta aveva natura ricognitiva del precedente accordo di intermediazione intercorso fra le parti e che mancando il requisito dell'imparzialità del mediatore doveva escludersi la configurabilità della mediazione. Proponeva impugnazione il Manfredi ed all'esito del giudizio, nel quale si costituisce il Fallimento, la Corte d'Appello di Bologna con sentenza del 27-10-1995-12-1-1996 confermava l'impugnata sentenza. Dopo aver richiamato la dichiarazione del 4-6-1986 cui attribuiva natura ricognitiva del rapporto di intermediazione svolto dal Manfredi che all'epoca svolgeva l'attività di mediatore professionale, rilevava la Corte di merito che costui non aveva neppure precisato in base a quali elementi il rapporto intercorso con la C.E.F.F. avrebbe dovuto inquadrarsi in un contratto atipico come aveva sostenuto. Pertanto ritenendo che mancasse il requisito dell'imparzialità, tipico del contratto di mediazione, per aver egli agito nella qualità di amministratore (come era risultato in altro procedimento da una prova testimoniale e come era emerso anche da una lettera da lui sottoscritta con tale qualifica) oltre che come portatore di un proprio interesse quale condomino nonché in qualità di procuratore speciale di alcuni condomini, come da lui stesso dichiarato in sede di interrogatorio formale, escludeva l'esistenza di un tale contratto. Avverso detta sentenza propone ricorso per Cassazione Manfredi Guglielmo, deducendo tre motivi di censura. Resiste il Fallimento Costruzioni Edili Fratelli Fava (C.E.F.F.) con controricorso illustrato anche con memoria. Diritto Con il primo motivo di ricorso Manfredi Guglielmo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1988 C.C. in relazione all'art. 360 n. 3 C.P.C.. Lamenta che la Corte d'Appello non abbia tenuto conto che, risultando il suo credito documentalmente provato dalla dichiarazione del 4.6.1986 contenente una promessa di pagamento, avrebbe dovuto ritenerlo dispensato ai sensi dell'art. 1988 C.C. dall'onere di provare il rapporto fondamentale la cui esistenza si presume fino a prova contraria. Sostiene quindi l'erroneità dell'assunto contenuto nell'impugnata sentenza, secondo cui competeva a lui l'onere di dimostrare l'effettivo rapporto intercorso con la C.E.F.F.. La censura è infondata. Il richiamato art. 1988 C.C. riconosce alla promessa unilaterale di pagamento, sia essa pure o titolata, l'astrazione processuale della causa debendi quale unica conseguenza, di modo che al promissario che agisca in giudizio per l'adempimento dell'obbligazione incombe solo l'onere di provare detta promessa e non anche l'esistenza del rapporto giuridico posto a fondamento della promessa medesima. Per contro spetta al promittente provare l'inesistenza o l'invalidità ovvero l'estinzione del rapporto fondamentale, indipendentemente dal fatto che esso sia stato o meno menzionato nella promessa unilaterale di pagamento. Risulta dall'impugnata sentenza che nella promessa in esame è menzionato il rapporto fondamentale di "intermediazione", con la conseguenza che tale promessa debba configurarsi come titolata; risulta altresì che la Corte d'Appello, in accoglimento della richiesta del Fallimento, subentrato alla società promittente, ne ha ravvisato la nullità per mancanza del requisito dell'imparzialità del mediatore. Erroneamente quindi il ricorrente ritiene che la Corte d'Appello non si sia attenuta ai principi che regolano la ripartizione dell'onere della prova in materia. L'impugnata sentenza infatti non ha posto a carico del promissario e cioè del ricorrente Manfredi l'onere di dimostrare l'esistenza del rapporto fondamentale, ma, dopo aver ravvisato la fonte di tale rapporto nel contratto di mediazione dichiarandone la nullità in accoglimento delle deduzioni del promittente, ha semplicemente evidenziato che il Manfredi non aveva offerto elementi idonei per ritenere che si fosse in presenza di altro contratto che peraltro nemmeno aveva indicato. Nessuna violazione in ordine all'onere della prova è quindi ipotizzabile, essendo stata riconosciuta la nullità del rapporto di mediazione, da cui la promessa era stata titolata, sulla scorta delle deduzioni del promittente in applicazione del principio dell'inversione dell'onere della prova sancito dall'art. 1988 C.C. ed essendosi limitata poi la Corte d'Appello ad osservare, come riscontro della fondatezza del proprio assunto, l'omessa indicazione di altro eventuale negozio, sia pure atipico, da parte dello stesso promissario che ne aveva sostenuto l'esistenza. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1367 e 1424 C.C. in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 C.P.C.. Lamenta che la Corte d'Appello abbia trascurato il disposto di cui all'art. 1322 ed erroneamente interpretato l'art. 1367 C.C., non avendo tenuto conto del principio di conservazione del contratto e di quello di conversione nel ritenere privo di effetto l'accordo stipulato fra le parti nell'ambito della loro autonomia che prevedeva la corresponsione a suo favore di una percentuale sul contratto d'appalto. La pretesa censura è volta sostanzialmente a superare la dichiarata nullità del contratto di mediazione con il richiamo al principio della conversione del negozio nullo previsto dall'art. 1424 C.C. di cui il ricorrente chiede l'applicazione. Ma, così come formulato, un tale principio si pone come una mera astrazione, non essendo stato dedotto quale diverso negozio, non esposto a nullità, non sia stato ravvisato nella fattispecie dai giudici di merito. Tale osservazione del resto, sebbene modellata al particolare profilo giuridico dedotto in questa sede, era stata fatta anche dalla Corte d'Appello laddove, come è stato già evidenziato in relazione al primo motivo di ricorso, ha sostenuto la mancata deduzione da parte del Manfredi di elementi idonei a differenziare il rapporto in esame da quello tipico di mediazione. Del pari non può considerarsi violato il principio dell'autonomia contrattuale richiamato con l'art. 1322, trattandosi anche qui di una formulazione astratta in quanto non sorretta dall'indicazione di elementi concreti che la Corte d'Appello avrebbe omesso di valutare. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1754 e 1130 C.C. in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 C.P.C.. Sostiene che erroneamente la Corte d'Appello abbia ritenuto inesistente il requisito dell'imparzialità sul presupposto che egli avesse agito quale amministratore del condominio, non avendo considerato che il contratto d'appalto era stato stipulato dai singoli condomini sia per le parti comuni che per quelle di proprietà esclusiva di ciascuno, con la conseguente validità dell'accordo relativo alla corresponsione a suo favore di un compenso, almeno limitatamente alle parti di proprietà esclusiva degli altri condomini di cui egli non aveva alcun potere di rappresentanza. Anche tale censura è infondata. La Corte d'Appello, nell'escludere il requisito dell'imparzialità, non si è limitata ad evidenziare la qualità di amministratore del condominio rivestita dal Manfredi, ma ha esaminato l'incompatibilità della sua posizione rispetto a quella del mediatore, tenendo anche presente l'interesse che egli aveva al contratto sia personalmente, quale condominio, e sia quale rappresentante di altri condomini. Anche se il contratto d'appalto è stato sottoscritto dai singoli condomini sia per le parti di loro esclusiva proprietà che per le parti comuni, non v'è dubbio che la sua partecipazione al negozio in detta duplice veste abbia fatto venir meno comunque il requisito dell'imparzialità richiesto dall'art. 1754 C.C. per la giuridica esistenza del contratto di mediazione, come unanimamente riconosciuto dalla giurisprudenza. Nè è possibile scindere ai fini in esame, come invece si sostiene il contratto di appalto per dedurne la validità della mediazione limitatamente alle parti di proprietà esclusiva dei condomini di cui il Manfredi non aveva alcun potere di rappresentanza, costituendo l'unicità del prezzo, da dividere poi fra i vari condomini, un punto di riferimento comune da cui non è consentito prescindere nella valutazione dell'interesse. Il ricorso va pertanto integralmente rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento degli onorari che liquida in L. 2.500.000 oltre alle spese liquidate in L. 393.000. Roma, 12.5.1997.