Cassazione civile, SEZIONE II, 22 settembre 2000, n. 12573 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Vincenzo BALDASSARRE - Presidente - Dott. Alfredo MENSITIERI - Consigliere - Dott. Rosario DE JULIO - Consigliere - Dott. Matteo IACUBINO - Consigliere - Dott. Olindo SCHETTINO - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: FIORENZA FERNANDA IN PROPRIO E QUALE MADRE ESERCENTE LA POTESTÀ SUL FIGLIO MINORE REPOLI ANDREA GIOVANNI, REPOLI FRANCESCO, REPOLI SALVATORE, REPOLI MARIA IOLE, REPOLI GENNI, elettivamente domiciliati in ROMA VIA MIGIURTINIA 36, presso lo studio dell'avvocato GALASSO ALFREDO, che li difende, giusta delega in atti; - ricorrente - contro GIANDINOTO GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA MICHELE MERCATI 51, presso lo studio dell'avvocato IELO ANTONIO, che lo difende unitamente all'avvocato PANEPINTO FRANCESCO, giusta delega in atti; - controricorrente - avverso la sentenza n. 1-98 della Corte d'Appello di CALTANISSETTA, depositata il 14-01-98; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26-04-00 dal Consigliere Dott. Olindo SCHETTINO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fulvio UCCELLA che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbito il secondo. Fatto Con citazione del 19 ottobre 1983 Repoli Piero e Fiorenza Fernanda convenivano in giudizio davanti al tribunale di Caltanissetta i coniugi Giandinoto Giuseppe e Arena Maria, denunciando che costoro avevano "alterato" il confine tra i fondi di rispettiva proprietà, ai mappali 21 e 24 (già 24 a) della particella 112, in località S. Elia, agro di Caltanissetta, e si erano appropriati di mq.270 del proprio lotto, esteso mq.1790, che avevano acquistato da Francesco Ferdinando Fiandaca con atto del 13-5-1983. I convenuti adivano, a loro volta, il pretore e, lamentando che i coniugi Repoli-Fiorenza avevano rimosso i paletti e la rete metallica che contrassegnava il confine, chiedevano ed ottenevano, ai sensi dell'art. 704 c.p.c., la reintegrazione del possesso mediante il ripristino della recinzione rimossa. Riassunta la causa possessoria davanti al tribunale, e riunite le due cause, con sentenza in data 25 maggio 1992 quel giudice condannava Giandinoto ed Arena a restituire a Repoli e Fiorenza i mq.27O di terreno ed a risarcire loro i danni, da liquidare in separata sede, oltre al rimborso delle spese. Impugnata la sentenza dai predetti Giandinoto ed Arena, la corte di appello nissena, con sentenza del 14 gennaio 1998, accogliendo l'appello, e decidendo nei confronti di Fiorenza Fernanda, in proprio e nella qualità di esercente la potestà sui due figli minori Repoli Andrea Giovanni e Genni, succeduti a Repoli Piero, deceduto nel corso del giudizio di appello, e di Repoli Francesco, Repoli Salvatore e Repoli Maria Iole, nonché di Sanguedolce Michele, ha così ha statuito:1) conferma il provvedimento del pretore di Caltanissetta del 29-3-1982; 2) rigetta la domanda proposta dai coniugi Repoli-Fiorenza con citazione del 19-10- 1983; 3) condanna in solido gli appellati costituiti alle spese del doppio grado del giudizio in favore degli appellanti. Dai "motivi della decisione" si ricava che i coniugi Giandinoto Giuseppe e Arena Maria, convenuti in giudizio dai coniugi Repoli-Fiorenza, avevano chiamato in causa, per essere garantiti, Sanguedolce Michele (che, peraltro, era rimasto contumace), dal quale avevano acquistato, con atto del 12 luglio 1982, il fondo confinante con quello degli attori; ma il tribunale non si era pronunciato su tale domanda "subordinata", e, pertanto, i convenuti-appellanti avevano fatto, dell'omessa pronuncia, motivo di gravame. Il giudice di appello è pervenuto alla decisione più sopra richiamata, di rigetto della domanda dei coniugi Repoli-Fiorenza, dopo avere interpretato la domanda stessa come volta ad ottenere una pronuncia di accertamento della mancata corrispondenza tra l'estensione del fondo di essi attori, risultante, dall'atto di acquisto, pari a mq. 1790, e quella di fatto - che era, secondo il loro assunto, inferiore, per la parziale "appropriazione" che era stata compiuta dai convenuti, coniugi Giandinoto - e, conseguentemente e sostanzialmente anche la restituzione dei metri quadri mancanti; e per avere ritenuto, quindi, sulla base delle risultanze processuali, che non vi era stata alcuna appropriazione di terreno in danno dei Repoli, rientrando, in effetti, la porzione di fondo da costoro reclamata in virtù delle indicazioni catastali, pari a circa mq.270, nel confinante lotto di proprietà Giandinoto. Ricorrono per la cassazione della sentenza Fiorenza Fernanda, in proprio e quale esercente la potestà sul figlio minore Repoli Andrea Giovanni, Repoli Francesco, Repoli Salvatore, Repoli Maria Iole e Repoli Genni, deducendo due motivi di gravame; resistono con controricorso, seguito da memoria, Giandinoto Giuseppe e Arena Maria, i quali eccepiscono, preliminarmente, l'inammissibilità del ricorso ai sensi dell'art. 366 c.p.c., per mancata trascrizione sulle copie del ricorso notificate ai controricorrenti del mandato al difensore conferito dai ricorrenti, e quindi per carenza di ius postulandi; e, in subordine, perché, comunque, non vi è prova che il mandato sia anteriore alla notifica del ricorso. Diritto Denunciano i ricorrenti; 1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 950 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., per avere, la corte di appello, erroneamente qualificato come azione di revindica quella esercitata dagli attori Repoli-Fiorenza, laddove la stessa andava esattamente inquadrata, sussistendone i presupposti e le finalità, nell'ambito di una actio finium regundorum, che ha o può avere anche finalità restitutorie, nel caso che in sede di regolamento di confini si accerti che una porzione di terreno, compresa nei confini di un fondo, appartenga, in base ai titoli, al proprietario del fondo confinante, così come prospettato appunto nella domanda proposta dagli attuali ricorrenti. 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 1538 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., per avere tratto, il giudice di appello, partendo da elementi certi - quali il dato inconfutabile che l'acquisto, da parte dei coniugi Repoli, contemplasse un lotto "a corpo" e "nella situazione di fatto in cui si trovava", che "la vendita fu fatta a corpo", che fu successiva a quella (fatta) dal Sanguedolce ai convenuti e che fu espressamente detto che la situazione di fatto era quella di quel momento " - conclusioni non corrette in punto di interpretazione della legge (artt. 1537 e 1538 c.c.), avendo ritenuto che la reale dimensione della superficie acquistata dagli attori-appellati (Repoli) non fosse quella da loro stessi espressamente indicata nell'atto di vendita con riferimento ai dati catastali, bensì quella individuata sulla base del "corpus" della vendita, genericamente indicato nel relativo contratto. Così statuendo, la corte nissena non ha tenuto conto, tra l'altro, neppure dell'uniforme e costante indirizzo dì questa Suprema Corte, secondo cui nel caso di vendita di un immobile a corpo, anziché a misura, l'irrilevanza dell'estensione del fondo vale soltanto in relazione alla determinazione del prezzo, secondo il regime di cui agli artt. 1537 e 1538 c.c., ma non alla identificazione del bene effettivamente venduto, che va fatta con riferimento al reale intento negoziale, desumibile dalle specifiche indicazioni contenute nell'atto (particella fondiaria, tipo di frazionamento allegato al contratto, estensione e confini risultanti in catasto). A diversa e corretta, decisione, pertanto, quel giudice sarebbe dovuto pervenire, se avesse fatto corretta applicazione dei criteri ora menzionati, posto che nell'atto di acquisto del lotto di terreno da parte dei Repoli erano contenute tutte le predette indicazioni, che consentivano di ritenere, in definitiva, che il predetto lotto era mancante proprio di quella superficie della quale si erano appropriati i proprietari (Giandinoto) del fondo confinante. L'eccezione d'inammissibilità del ricorso sollevata dai resistenti è infondata. Ha statuito, invero, questa Corte che, qualora l'originale del ricorso per cassazione rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l'autenticazione ad opera dello stesso della sottoscrizione della parte che gli ha conferito la procura, la mancanza degli stessi elementi sulla copia notificata non determina l'inammissibilità del ricorso, quando tale copia contenga elementi idonei a dimostrare la provenienza dell'atto da difensore già munito di mandato speciale (come la trascrizione o l'indicazione della procura o l'attestazione dell'ufficiale giudiziario in ordine alla richiesta di notificazione) (sent.n. 1271-98). Nella fattispecie, la relata di notificazione del ricorso ai resistenti (avvenuta in data 19-6-1998) è redatta dall'ufficiale giudiziario di seguito alla sottoscrizione - che reca la data del 12-6-1998 - dell'atto da parte dell'Avv. Alfredo Galasso, al quale dall'epigrafe del ricorso risultava essere stata già data dai ricorrenti procura speciale (artt. 83 e 365 c.p.c.), "giusta mandato in calce al presente atto". Ne consegue che, contrariamente all'assunto dei resistenti, vi è prova sia dell'esistenza in capo al predetto legale dello ius postulandi sia dell'anteriorità del conferimento del mandato allo stesso in data anteriore alla notifica del ricorso, per cui questo, alla luce del principio affermato con la pronuncia più sopra citata, deve ritenersi ammissibile. Quanto al merito, il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato. Con riguardo al primo motivo, si osserva che non è dato riscontrare la denunciata violazione o falsa applicazione degli artt. 948 e 950 c.p.c., con riferimento al preteso errore in cui sarebbe incorsa la corte di appello nell'interpretare e qualificare la domanda di regolamento di confini proposta dagli attori Repoli-Fiorenza, odierni ricorrenti, come domanda di rivendica, in quanto diretta, secondo quel giudice, a far conseguire loro anche la "restituzione dei metri quadri mancanti", rispetto sia al terreno effettivamente posseduto sia alla estensione dello stesso risultante dall'atto di vendita. È noto, infatti, che tra azione per regolamento di confini ed azione di rivendica, a parte i differenti presupposti dell'una e dell'altra, non vi è assoluta incompatibilità o inconciliabilità concettuale, tanto che la prima viene configurata come una vindicatio incertae partis e può contenere, implicitamente o esplicitamente, la richiesta di restituzione della porzione di terreno che, in conseguenza dell'accertamento e della determinazione del confine tra i fondi, dovesse risultare indebitamente inclusa nel fondo del convenuto, perché da costui eventualmente usurpata; in siffatta situazione, la restituzione del terreno in questione, discendente appunto dal regolamento del confine disposto dal giudice, si pone, invero, come mero corollario dell'invocato accertamento (cosiddetto