Cass_22_7_02_10683 Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, Sentenza del 22 luglio 2002 n. 10683 sull'applicabilità, anche per il computo delle maggioranze assembleari condominiali, del disposto dell'art. 2373 c.c. e sulla possibilità che il conflitto di interessi previsto da tale norma sia anche solo potenziale o virtuale La massima Se l’amministratore è anche condomino non può votare, quando la delibera riguarda la sua nomina oppure il suo operato, per esempio l’approvazione del bilancio condominiale. Si applica, estensivamente, l’articolo 2373 del codice civile, che regola l’assemblea delle società. Tuttavia se l’amministratore vota in quanto delegato, e non in quanto condomino, non è detto che il conflitto d’interessi sorga, anche in mancanza di una precisa indicazione di voto da parte del condomino delegante. Infatti se l’argomento (per esempio la sua nomina) è all’ordine del giorno in assemblea, si può presumere che i condomini che gli hanno dato procura sapessero cosa facevano. Solo se si riesce a dimostrare che il condomino che dà la delega “non era in grado di rendersi conto, con la normale diligenza, della situazione di conflitto”, il voto non è valido. (riferimenti, Cassazione n. 10683 del 2002, n. 15360 e n. 6853 del 2001, n. 11254 e n. 7226 del 1997) La sentenza REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Franco PONTORIERI - Presidente - Dott. Roberto Michele TRIOLA - Consigliere - Dott. Giovanni SETTIMJ - Rel. Consigliere - Dott. Lucio MAZZIOTTI DI CELSO - Consigliere - Dott. Francesco Paolo FIORE - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Cond Via Guerra 3 San Giorgio A Cremano, in persona del suo Amm.re Franco Carmelingo, elettivamente domiciliato in Roma Via Crescenzio 82, presso lo studio dell'avvocato Stefano Bassi, difeso dall'avvocato Paolo Pannella, giusta delega in atti; - ricorrente - contro Cortese Rosa, Cortese Gilda, elettivamente domiciliati in Roma Via Varese 23, presso lo studio dell'avvocato Michele Calabrese, che li difende, giusta delega in atti; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 1620/98 della Corte d'Appello di Napoli, depositata il 07/07/98; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17112/01 dal Consigliere Dott. Giovanni Settimj; udito l'Avvocato Paolo Pannella, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito l'Avvocato Michele Calabrese, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Riccardo Fuzio che ha concluso per il rigetto del ricorso. Oggetto: condominio, assemblea, conflitto d'interessi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione 19.4.96, Rosa e Gilda Cortese, proprietarie di due distinte unità immobiliari comprese nel fabbricato condominiale in S. Giorgio a Cremano, via Guerra n. 3 (Parco Primavera) premesso che con delibera 28.3.96, l'assemblea condominiale aveva: 1) confermato l'amministratore con il quorum di millesimi 445,71 inferiore a quello imposto dall'art. 1136, 2. e 4. comma, CC; 2) approvato il bilancio consuntivo di gestione per il periodo 1.7.95/31.12.95 con un numero di voti validi inferiore a quello previsto dall'art. 1136, 3 . comma, CC stante l'esistenza d'un conflitto d'interessi tra l'amministratore ed il Condominio; 3) adottato il riparto di alcune spese esposte in bilancio con imputazione ad una errata tabella millesimale in violazione della legge e del regolamento di condominio con, inoltre, omissione di un saldo attivo nella gestione del consumo dell'acqua - convenivano il Condominio di via Guerra n. 3 innanzi al tribunale di Napoli per sentir dichiarare la nullità o l'annullamento della delibera 28.3.96. Costituendosi, il Condominio contestava la fondatezza dell'opposizione e ne chiedeva il rigetto. Con sentenza 2.9.97, l'adito tribunale dichiarava la nullità della delibera condominiale limitatamente alla parte concernente la conferma dell'amministratore, rigettava i restanti capi della domanda e compensava le spese. Avverso tale decisione le Cortese proponevano appello chiedendo, in via principale, dichiararsi nulla e/o annullarsi la delibera opposta nella parte in cui v'era stato approvato il bilancio consuntivo senza la maggioranza necessaria ex art. 1136, 3. comma, CC, al caso dovendo trovare applicazione in via analogica l'art. 2373 CC, ed, in subordine, annullarsi la delibera stessa per esservi state ripartite le spese del bilancio consuntivo in violazione dei criteri stabiliti nelle vigenti tabelle millesimali. Si costituiva il Condomino contestando la fondatezza dei motivi d'impugnazione ed invocandone il rigetto; proponeva, a sua volta, appello incidentale chiedendo dichiararsi la carenza d'interesse delle appellanti all'opposizione, ovvero la cessazione della materia del contendere, stante la successiva riconferma dell'amministratore con delibera 14.3.97. Con sentenza 7.7.98, la corte d'appello di Napoli - ritenuto che potesse trovare applicazione alla materia condominiale la norma dettata in materia di società dall'art. 2373 CC per il conflitto di interessi; che tale principio fosse ovviamente applicabile non solo ai singoli condomini, ma anche all'amministratore il quale, in forza di delega non contente vincolo nella manifestazione del voto, rappresenti il condomino; che, nella specie, il potenziale conflitto di interessi tra l'amministratore e condomino Camerlingo ed il Condominio fosse desumibile dalla natura stessa degli argomenti portati all'esame dell'assemblea condominiale, riguardanti, oltre la nomina dello stesso amministratore, anche l'esame e l'approvazione del bilancio consuntivo ed il riparto delle spese per il periodo 1.7/31.12.95 predisposti dal medesimo Camerlingo; che tale conflitto fosse anche reale, in quanto dal verbale dell'assemblea 28.3.96 risultava come alcuni condomini avessero specificamente contestato la determinazione del compenso dell'amministratore, nonché i criteri di ripartizione delle spese; che dovessero dunque escludersi, dal preventivo calcolo complessivo, le carature attribuite al Camerlengo e dichiarasi la nullità del deliberato anche nella parte con la quale erano stati approvati il bilancio consuntivo per il periodo suddetto ed il piano di riparto delle spese; che tale statuizione assorbisse anche il secondo motivo d'impugnazione, concernente l'illegittimità dei criteri d'imputazione d'alcune spese contenute nel medesimo bilancio; che, quanto all'appello incidentale, la delibera 28.3.96 avendo confermato l'amministratore per un nuovo periodo annuale e quella 14.3.97 essendosi limitata a confermarlo per il periodo successivo, quest'ultima non contenesse alcun elemento a dal quale potesse desumersi la volontà dei condomini di sanare la nullità del precedente deliberato con altro contenente una nomina valida, donde l'infondatezza dell'eccezione di cessata materia del contendere - accoglieva il primo motivo dell'appello principale dichiarando assorbito il secondo e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava la nullità della delibera assembleare 28.3.95 anche nella parte contenente l'approvazione del bilancio consuntivo e del riparto relativi al periodo 1.7/31.12.95; rigettava l'appello incidentale; condannava il Condominio al rimborso delle spese del doppio grado in favore delle Cortese. Avverso tale sentenza il Condominio di via Guerra n. 3 proponeva ricorso per cassazione con quattro motivi. Resistevano le Cortese con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo, il ricorrente - denunziando violazione e falsa applicazione degli articoli 1136 e 2373 CC in relazione all'art. 12 delle disposizioni della legge in generale - si duole che la corte territoriale abbia erroneamente esteso in via analogica l'art. 2373 CC alla materia del Condominio violando l'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, basato sul principio di giustizia per cui situazioni equivalenti debbono essere regolate in modo uguale, dacchè il Condominio non ha, a differenza dalla società, nè personalità giuridica, nè autonomia patrimoniale, essendo solo giuridicamente configurabile come ente di gestione collegiale d'interessi individuali. Il motivo non merita accoglimento. L'esigenza che, ai fini del computo delle maggioranze richieste dall'art. 1136 CC per la validità delle deliberazioni assembleari condominiali, si debba non tener conto delle quote millesimali di pertinenza dei condomini titolari d'interessi personali e particolari contrastanti, anche solo potenzialmente, in relazione all'oggetto della delibera, con quelli del condominio è stata da tempo presa in considerazione da questa Corte, che se ne è resa interprete colmando un'evidente lacuna dell'ordinamento ed elidendone le aberranti conseguenze, che si traducevano nell'impossibilità per la minoranza d'apporsi a richieste od iniziative del condomino o dei condomini titolari della maggioranza delle carature millesimali volte ad assicurare la realizzazione di loro interessi particolari confliggenti con quello generale del condominio come ente di gestione. Sulla base d'un'interpretazione estensiva dell'art. 2373 CC - giustificata dall'identità di ratio e dai notevoli punti d'identità delle due situazioni giuridiche, caratterizzate entrambe dalla posizione conflittuale in cui l'interesse del singolo (socio o condomino) si pone rispetto a quello generale (della società o del condominio) e dell'esigenza d'attribuire carattere di priorità alla tutela di quest'ultimo - questa Corte ha, dunque, già con la sentenza 28.1.1976 n. 270, affermato l'applicabilità, in tema di computo delle maggioranze assembleari condominiali, del disposto della richiamata norma, riguardante il conflitto d'interessi in materia d'esercizio del diritto di voto del socio nelle deliberazioni assembleari delle società per azioni, enunciando conseguentemente il principio per cui, ai fini del detto computo, non si debba tener conto del voto del condomino (o dei condomini) titolari (in relazione, sempre, all'oggetto della deliberazione) d'un interesse particolare contrastante, anche solo virtualmente, con quello degli altri condomini. Siffatta opinione giurisprudenziale, in seguito ripetutamente confermata (vedansi, in tempi recenti, Cass. 5.12.01 n. 15360, 18.5.01 n. 6853, 14.31.97 n. 11254, 6.8.97 n. 7226) e che questa Corte ritiene d'integralmente condividere, è stata correttamente applicata dalla corte territoriale al caso di specie, onda nel relativo capo di decisione non è ravvisabile affermazione alcuna in diritto meritevole dell'esaminata censura. Con il secondo motivo, il ricorrente - denunziando a violazione e falsa applicazione dell'art. 2373 CC in relazione agli artt. 1136 CC e 2697 CC - si duole che la corte territoriale abbia erroneamente ritenuto la ricorrenza d'un conflitto d'interessi tra amministratore e Condominio senza considerare come nel caso del Condominio si possa parlare di conflitto d'interessi esclusivamente ove l'amministratore induca l'assemblea ad assumere decisioni comportanti ragionevoli limitazioni della cosa comune ovvero un danno a carico del bene comune conseguendo, nel contempo, un vantaggio personale apprezzabile e determinabile, insussistente nella specie: non abbia motivato il ritenuto conflitto, omettendo di pronunciarsi circa l'eccepita inesistenza del danno. Il motivo non merita accoglimento. Contrariamente a quanto ritiene il ricorrente, questa Corte ha già avuto plurime occasioni per evidenziare come il conflitto d'interessi, per il quale si determina la non computabilità del voto dei soggetti in conflitto ai fini della validità delle deliberazioni, possa essere anche solo potenziale o virtuale, sol che sia ravvisabile un'obiettiva possibilità di divergenza tra le ragioni personali dei singoli e l'interesse istituzionale della collettività, sia essa di soci come di condomini. Va, infatti, ravvisata una situazione di conflitto d'interessi tra socio e società o tra condominio e condomino, tale da comportare l'esclusione del singolo dalla formazione della volontà collettiva, ogniqualvolta sia ravvisabile un contrasto tra centro autonomo d'interessi, sia esso dotato o meno di personalità giuridica, e componente dell'organo attributario del potere di formare quella volontà, id est una situazione giuridica idonea a determinare la possibilità che il potere deliberativo sia esercitato dal componente dell'organo in contrasto con l'interesse collettivo, essendo il primo portatore d'un interesse personale all'adozione di decisioni diverse da quelle vantaggiose per il secondo. Ciò in quanto si determina, in tal caso, una condizione d'antitesi tra singolo partecipante e centro autonomo d'interessi incompatibile con la corretta formazione della volontà collettiva, non potendosi, se pure solo in astratto, escludere che la condotta decisionale del singolo possa essere influenzata dal proprio interesse e che questi ne sia indotto, pertanto, a concorrere ad una decisione per sè vantaggiosa ma pregiudizievole all'interesse collettivo, od anche a non frapporre il proprio voto contrario ad iniziative il cui esito sfavorevole per la collettività possa essere per sé vantaggioso, od ancora a perseguire finalità direttamente vantaggiose per entrambi ma indirettamente dannose per la collettività; condizione da ritenersi sussistente anche quando si presenti soltanto potenziale, non essendo necessaria l'evidente ricorrenza di sintomi indicativi dell'effettività del conflitto, in quanto va egualmente rimossa a titolo precauzionale giusta la ratio dell'art. 2373 CC, che mira a prevenire il verificarsi dell'eventuale danno in ragione della più pregnante salvaguardia che l'ordinamento ritiene di dover apprestare in favore dei soggetti collettivi, impediti, per incapacità funzionale, ad agire personalmente e la cui attività giuridica debba svolgersi, quindi, per il tramite di persone fisiche diverse dagli stessi. Nella specie, la corte territoriale, conformemente alle surriportate considerazioni, ha correttamente individuato una situazione di conflitto, non solo potenziale ma anche reale, nella natura stessa degli argomenti sottoposti all'esame ed alla decisione dell'assemblea, in quanto implicanti, tutti, un giudizio sulla persona e, soprattutto, sull'operato dell'amministratore in materie inerenti la gestione economica della cosa comune e, quindi, essenziali interessi collettivi. Con il terzo motivo, il ricorrente - denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2373 CC in relazione all'art. 1394 CC e vizi di motivazione - si duole che la corte territoriale, in sede di calcolo della c.d. prova di resistenza, abbia sottratto dal quorum anche i millesimi pertinenti ai condomini rappresentati dall'amministratore, erroneamente estendendo l'applicazione dell'art. 2723 CC non solo a quest'ultimo, ma anche ai rappresentati; si sia discostata, dopo averne fatto richiamo in motivazione, dall'insegnamento della sentenza Cass. 14.11.97 n. 11254; abbia omesso di considerare come il conflitto d'interessi individui una posizione soggettiva specificatamente riconducibile ad una persona individuata, non estensibile ad altri soggetti e dunque, nel caso di specie, non estensibile ai condomini deleganti, in capo ai quali non erano ravvisabili interessi anche solo potenzialmente confliggenti con quelli condominiali; abbia parimenti omesso di rilevare come, a norma dell'art. 1394 CC, ove i condomini rappresentati avessero ritenuto sussistere un conflitto d'interessi con l'amministratore loro rappresentante, essi soltanto avrebbero potuto impugnare la delibera assembleare. Il motivo merita accoglimento nei limiti delle considerazioni che seguono. Anzi tutto, l'invocato precedente di questa Corte 14.11.97 n. 11254, pur regolando un caso analogo, nulla ha statuito - come emerge evidente alla lettura della motivazione - in ordine all'estensibilità o meno della situazione di conflitto propria al rappresentante anche al rappresentato, essendosi limitata a, constatare l'assorbente insussistenza, già rilevata anche dal giudice a quo, della situazione di conflitto; pertanto, riguardo all'applicazione del detto precedente, nessuna fondata censura di contraddittorietà può muoversi alla corte territoriale che, viceversa, ad esso ha fatto corretto riferimento nel rilevare l'effettiva sussistenza della situazione di conflitto, come già, visto nell'esame del precedente motivo. Vero è, invece, che la corte stessa non si è punto posta il suddetto problema dell'estensibilità o meno della situazione di conflitto d'interessi, propria del singolo, anche agli altri soggetti dallo stesso rappresentati, dacché ne ha data implicitamente e quindi, immotivatamente per scontata la sua soluzione positiva, soluzione che non è, per contro, condivisibile giusta entrambe le considerazioni svolte dal ricorrente. La situazione di conflitto tra l'interesse proprio e quello collettivo in cui versi uno dei soggetti partecipanti all'assemblea non può, infatti, ritenersi aprioristicamente estesa anche ad altri soggetti che, non partecipando all'assemblea, quegli abbiano delegato a rappresentarli pur non impartendogli specifiche istruzioni in ordine alla volontà da manifestare nella decisione delle questioni oggetto di conflitto, giacchè devesi ritenere, in base all'id quod plerumque accidit, che gli stessi, nel conferire il mandato, abbiano anche valutato il proprio interesse, non personale ma in quanto componenti della collettività e quindi l'interesse generale di quest'ultima, e l'abbiano ritenuto conforme a quello portato dal delegato (per il che, se fossero stati presenti, avrebbero manifestato la medesima volontà espressa, in loro vece, dal delegato). Siffatta logica presunzione può risultare non satisfattiva e, quindi, non applicabile solo ove sia dedotto e dimostrato che il delegante non era a conoscenza o non era in grado di rendersi conto, con la normale diligenza, della situazione di conflitto, tuttavia, nel caso di specie, a parte la mancanza di deduzioni e richieste sul punto; da parte delle opponenti, non potevasi obiettivamente ritenere ignota o non facilmente percepibile da parte dei deleganti la situazione di conflitto in cui versava il delegato, stanti gli argomenti iscritti all'ordine del giorno. Non ricorre, per contro, nel caso di specie, una ipotesi nella quale possa trovare applicazione, come ritenuto dal ricorrente, l'art. 1394 CC e, quindi, la legittimazione a dedurre il conflitto d'interessi sia riconoscibile al solo rappresentato, dacchè il conflitto che ne occupa non verte tra l'interesse personale del rappresentato e quello pure personale del rappresentante ma tra quest'ultimo e quello della collettività cui partecipa il rappresentato, onde ogni partecipe della collettività stessa è legittimato, nel comune interesse, a far valere il conflitto e ad invocare la tutela ordinamentale. Con il quarto motivo, il ricorrente - censurando il mancato accoglimento del proprio appello incidentale, avente ad oggetto la sola deliberazione di nomina dell'amministratore - si duole che la corte territoriale si sia pronunziata sulla cessazione della materia del contendere e non anche sulla carenza d'interesse, pur essa eccepita, omettendo di motivare in merito al pregiudizio ipoteticamente arrecato o arrecabile alla controparte dalla delibera dichiarata nulla; abbia insufficientemente e contraddittoriamente motivato in ordine all'eccezione ex art. 2377 ult. comma CC, dacchè, stante la deliberazione 14.3.97, avrebbe dovuto dichiarare cessata la materia del contendere; abbia erroneamente interpretato detta deliberazione come conferma dell'amministratore per il periodo successivo alla decisione pur non risultando nell'atto alcuna menzione del dies quo della conferma. Il motivo merita accoglimento in ragione delle considerazioni che seguono. La motivazione della corte territoriale non appare adeguata laddove non considera che, nel susseguirsi di deliberazioni aventi ad oggetto la conferma dello stesso amministratore (nella specie 3.0.6.95, 28.3.96, 14.3.97) a l'eventuale invalidità d'una di esse di forma (nella specie quella del 28.3.96) può ritenersi superata dalla successiva d'identico contenuto, anche se non specificamente intesa alla sanatoria della precedente ed intesa, invece, alla sola riconferma de futuro, atteso che la continuità delle manifestazioni di fiducia nell'operato futuro dell'amministratore espresse dalla volontà assembleare di riconferma necessariamente comportano l'approvazione del suo operato pregresso e l'implicita volontà di convalidare l'analoga anteriore delibera eventualmente viziata. Per il che doveva non solo essere dichiarata cessata, sul punto, la materia del contendere ex art. 2377/IV CC - la cui applicazione, in via d'interpretazione estensiva, anche alla materia condominiale, ha le medesime ragioni della già evidenziata applicazione estensiva, nella stessa materia, dell'art. 2373 CC (Cass. 5.6.95 n. 6304, 30.7.2.92 n. 13740) - ma doveva anche essere dichiarato il difetto d'interesse delle opponenti a far valere un vizio formale ormai superato dall'intervenuta sostituzione della delibera invalida con quella ritualmente adottata. L'impugnata sentenza va, dunque, annullata in relazione ai motivi accolti e la causa, di conseguenza, rimessa per nuovo esame ad altro giudice del merito di secondo grado, che s'indica in diversa sezione della corte d'appello di Napoli, cui è anche demandato, ex art. 385 CPC, di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità. Non v'ha luogo a pronunzia sull'istanza delle controricorrenti intesa ad un'esplicita estensione del giudizio di rinvio alle questioni subordinate da loro prospettate in sede di merito e non esaminate in quanto ritenute assorbite, giacchè su di esse non è stata pronunziata decisione alcuna e possono, pertanto, essere riproposte ed esaminate in detto giudizio (e pluribus, da ultimo, Cass. 16.7.01 n. 9637, 7.3.01 n. 3341). P.Q.M. La Corte accoglie per quanto di ragione il terzo ed il quarto motivo di ricorso, respinti il primo ed il secondo, cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della corte d'appello di Napoli. Così deciso in Camera di Consiglio il 17.12.2001. DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 22 LUGLIO 2002