Cassazione civile, SEZIONE II, 21 giugno 1999, n. 6214 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Vincenzo BALDASSARRE - Presidente - Dott. Mario SPADONE - Consigliere - Dott. Ugo RIGGIO - Consigliere - Dott. Giuseppe BOSELLI - Consigliere - Dott. Enrico SPAGNA MUSSO - Rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PIRAS DUILIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 77, presso lo studio dell'avvocato BRUNO RICCIOTTI, che lo difende, giusta delega in atti; - ricorrente - contro CUCCA GIULIO, CUCCA GENTILINA; - intimati - e sul 2 ricorso n 01845-97 proposto da: CUCCA DUILIO, CUCCA GENTILINA, elettivamente domiciliati in ROMA VIALE CARSO 77, presso lo studio dell'avvocato EDOARDO PONTECORVO, che li difende unitamente all'avvocato ARMANDO LACONI, giusta delega in atti; - controricorrenti e ricorrenti incidentali - contro PIRAS DUILIO; - intimato - avverso la sentenza n. 225-96 della Corte d'Appello di CAGLIARI, depositata il 07-09-96; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13-01-99 dal Consigliere Dott. Enrico SPAGNA MUSSO; udito l'Avvocato PONTECORVO Edoardo, difensore del controricorrente e ricorrente incidentale, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento di quello incidentale; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi. Fatto Con atto di citazione del 16 giugno 1981 Giulio e Gentilina Cucca - premesso che erano proprietari in Cardeddu di un terreno del quale una porzione di mq 600 era abusivamente posseduta da Duilio Piras - lo convennero in giudizio, dinanzi al tribunale di Lanusei, accertato il loro diritto dominicale su detta estensione, il convenuto ne fosse condannato al rilascio. Costituitosi nel giudizio, il Piras chiese il rigetto della pretesa assumendo di aver acquistato mq 300 di detto terreno con scrittura privata di vendita dal padre degli istanti, Giuseppe Cucca, ed altri mq 300 per successione dal padre Giuseppe al quale, con scrittura privata del 9 agosto 1967, li aveva venduti lo stesso Cucca. Il Piras, quindi, riconvenne gli attori perché si accertasse la sua proprietà del terreno rivendicato da costoro. Con sentenza 7 aprile 1987 il tribunale, rigettò la domanda principale dei Cucca, che condannò al pagamento delle spese del giudizio, per non aver questi fornito la prova del loro diritto dominicale, e quella riconvenzionale del Piras pur avendo riconosciuto autentiche le sottoscrizioni apposte in calce alle due scritture private di vendita prodotte dal convenuto. Adita con il gravame dei Cucca - con il quale questi che si erano doluti dell'aver il tribunale sostanzialmente ritenuto incontestabile nei loro confronti la "proprietà" (rectius, il possesso) del Piras nonostante la nullità, per indeterminatezza della "Res vendita", delle due scritture private opposte alla loro pretesa dal convenuto - con sentenza del 7 settembre 1996, la corte d'appello di Cagliari, dopo l'espletamento di due consulenze tecniche dirette alla individuazione delle porzioni vendute da Giuseppe Cucca, dichiarata la nullità dei due atti di compravendita ed accertata, pertanto, la proprietà dei Cucca sulla porzione di terreno da questi rivendicata, ha condannato il Piras al rilascio del bene, compensando interamente le spese dei due gradi di giudizio. In particolare, la corte di merito, nella premessa che residuava la sola questione concernente la determinabilità delle porzioni di terreno oggetto dei due atti di vendita, ha rilevato, quanto a quella oggetto della stipulazione fra Giuseppe Cucca e Duilio Piras, di non poter aderire alle conclusioni del primo c.t.u. il quale, nel ritenere determinabile la "res vendita", aveva esposto due criteri di identificazione, quello della confinazione risultante dall'atto medesimo e dello "stato di fatto" della porzione a seguito della edificazione compiuta dal Piras. Non era condivisibile il secondo criterio, poiché la determinabilità della "res vendita" poteva essere rilevata solamente dall'atto traslativo della proprietà, nè il primo criterio posto che, pur essendo determinabile l'estensione risultante dalle misure lineari m. 18,35 x m 16,35 con le "coerenze", "strada comunale" e "Loddo Feliciano", non era dato acquisire con certezza quale delle due dimensioni confinasse con la strada e con il fondo del Loddo. Di tale incertezza si era reso conto lo stesso c.t.u. che in proposito, avendo ammesso trattasi di un contratto di vendita" (*) piuttosto confuso qualsiasi interpretazione può essere valida", si era dato carico di redigere mappe alternative che, comunque, non corrispondevano alla rappresentazione grafica della porzione di terreno rivendicata. Analoga conclusione doveva trarsi in relazione alla vendita tra il Cucca e Giuseppe (*) Piras, posto che un consulente aveva ritenuto di non poter identificare la "res vendita" non essendo, nell'atto, definite l'ubicazione nè la forma della superficie, mentre l'altro consulente aveva ritenuto che detto appezzamento dovesse collocarsi, (ma non sulla base dell'atto) in posizione immediatamente retrostante quello acquistato da Duilio Piras, non considerando l'incertezza della ubicazione di detto fondo. Dalla nullità, per indeterminatezza della "res vendita", dei contratti traslativi della proprietà delle due porzioni di terreno discendeva il riconoscimento del diritto dominicale affermato dai Cucca e, conclusivamente, la fondatezza della loro domanda di rivendica. Nel compensare le spese dei due gradi del giudizio la corte di merito ha valorizzato la buona fede del Piras nel ritenere la validità dei due atti di vendita pur corroborata dal possesso incontestato fino alla morte di Giuseppe Cucca, dante causa degli istanti. Per la cassazione di detta pronunzia, esponendo quattro motivi di doglianza, ricorre Duilio Piras; resistono Giulio e Gentilina Cucca che, nel controricorso, espongono un motivo di ricorso incidentale. Diritto Preliminarmente, in rito, i due ricorsi, quello principale, del Piras, e quello incidentale, dei Cucca, debbono, secondo quanto dispone l'art. 335 c.p.c., essere riuniti in un unico procedimento, trattandosi di impugnazioni separatamente proposte avverso la medesima sentenza. Inoltre, pregiudiziale alla disamina della fondatezza delle censure esposte nel ricorso principale, è la verifica, peraltro officiosa, della sua ammissibilità che i resistenti negano sotto il profilo della carenza di interesse all'impugnazione (art. 100 c.p.c.) per essere stata la domanda riconvenzionale del Piras, ed accertamento della proprietà dei due appezzamenti di terreno, definitivamente rigettata dal tribunale non avendo quello proposto appello avverso detta pronunzia. La questione va risolta, conformemente alla richiesta del P.M., nel senso dell'ammissibilità del ricorso principale. Con questo, il Piras non chiede la cassazione della pronunzia di rigetto della propria domanda riconvenzionale, peraltro estranea alla sentenza impugnata, ma di quella di accoglimento della revindica, di accertamento del diritto dominicale dei Cucca su detti beni, sebbene già alienato dal loro dante causa con i due atti vendita, e della conseguente "ingiusta" pronunzia restitutoria, pregiudizievole nella misura in cui sanziona la perdita del suo possesso e che nutre d'interesse l'impugnazione. Con il primo motivo del ricorso principale, in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c., il Piras denunzia la violazione e, comunque, la falsa applicazione dell'art. 1346 c.c.. La corte di merito - sostiene il ricorrente - avrebbe applicato in modo erroneo ed illogico l'art. 1346 c.c. a tenore del quale la determinazione o la determinabilità della "res vendita" possono trarsi da ogni elemento contrattuale idoneo allo scopo. Non avrebbe in proposito quel giudice considerato che entrambi gli atti di vendita contenevano numerosi elementi validi alla identificazione delle porzioni trasferite quali le misure mt. 18,35 x mt. 16,35, l'indicazione dei confini, l'estensione dei terreni espressa in mq 300, l'indicazione specifica della maggiore estensione dalla quale scorporare i due appezzamenti. Inoltre, quel giudice avrebbe ignorato che per la determinazione della "res vendita" rilevava anche il comportamento delle parti, in concreto estrinsecatosi nella immissione del compratore nel possesso del bene e nella delimitazione del "res venditae" con opere visibili. Con il secondo motivo del ricorso principale, in relazione al n. 5 dell'art. 360 c.p.c., si denunzia il vizio di motivazione su punti decisivi della controversia. La corte di merito - secondo il Piras - dopo aver ritenuto apodittica la motivazione del tribunale in ordine alla determinabilità della "res vendita" desumibile dalla comparazione delle due scritture, non avrebbe reso adeguata ragione del dissenso dalle relazioni tecniche risultando da esse, il primo lotto, inequivocabilmente individuato dalle "coerenze" (strade comunale e priorità di Loddo Feliciano), dalle misure e dallo stato di fatto evidenziato dalla edificazione successiva ed, il secondo lotto, determinabile dalla ubicazione del primo in angolo tra quella strada ed il terreno di Loddo Feliciano e quindi in posizione immediatamente retrostante al primo. Con il terzo motivo del ricorso il Piras, in relazione al n 3 dell'art. 360 c.p.c., denunzia la violazione dell'art. 1362 c.c.. La corte di merito non avrebbe tenuto conto, nell'interpretazione dei due atti di vendita ai fini della verifica della determinabilità del loro oggetto, del comportamento delle parti successive alla stipulazione, del criterio offerto dall'art. 1362 c.c., operante anche in tema di contratti concernenti beni immobili, nè, pertanto, dell'essere stato (*) immessi gli acquirenti nei lotti, poi pacificamente posseduti senza contestazione del comune venditore: comportamento significativo dell'aver le parti medesime ritenuto trasferite le porzioni così occupate. Con il quarto motivo del ricorso principale, in relazione al n 3 dell'art. 360 c.p.c., si denunzia la violazione dell'art. 1371 c.c.. Detta norma - osserva il Piras - dispone che, qualora il contenuto del contratto rimanga oscuro all'esito dell'impiego degli altri criteri ermeneutici, il giudice deve interpretare il negozio nel senso che realizzi l'equo contemperamento degli interessi delle parti al momento della stipulazione. Questo criterio residuale sarebbe stato, secondo il Piras, del tutto pretermesso dalla corte di merito. Le censure esposte nei motivi del ricorso principale esigono, per la loro evidente connessione logica, un esame congiunto, all'esito del quale vanno rigettate. La corte consente alla proporzione che ai fini della verifica della validità di un contratto non è necessario che il suo "oggetto" sia espressamente determinato essendo sufficiente la sua determinabilità sulla base degli elementi che il contratto stesso o la "pratica delle cose" possano in proposito suggerire. Tuttavia, quando un negozio debba redigersi per iscritto, "ad substantiam", a pena di nullità, come nella specie in cui si discute della validità di compravendite immobiliari (art. 1350 n 1 c.c.), il consenso su tutti gli elementi essenziali, fra questi l'indicazione dell'oggetto, in concreto la "res vendita", deve risultare dall'atto scritto: così che la sua determinazione, o determinabilità, non può assolutamente desumersi "aliunde", ma solamente dagli elementi stabiliti dagli stipulanti nell'atto medesimo. È, pertanto, esclusa la possibilità di applicazione della regola ermeneutica dettata dal II comma dell'art. 1362 c.c., che consente di tener conto, nella ricerca del comune intento dei contraenti, dal loro comportamento anche successivo alla stipulazione del negozio (in proposito vedansi anche le pronunzie di questa corte nn. 4474-92, 6201-95). A questi principi si è all'evidenza adeguata la corte di merito che, nel negare valenza interpretativa alle successive occupazioni da parte degli acquirenti dei fondi oggetto delle due scritture private, pur nella scienza del venditore (dante causa dei revindicanti), ha ritenuto inoperante regole ermeneutiche che prescindessero dagli elementi rinvenibili negli atti scritti. Inoltre, costituendo la verifica della determinazione, della determinabilità, o non, dell'oggetto di un contratto un accertamento di fatto riservato al potere istituzionale proprio del giudice del merito il cui esercizio è censurabile in cassazione solo quando dell'opzione quel giudice non abbia reso adeguata ragione, esula certamente il denunziato vizio di motivazione. La corte di merito ha analiticamente esposto le ragioni di dissenso dall'accertamento in proposito operato del primo giudice e dalle soluzioni, anche alternative, offerte dai due consulenti tecnici d'ufficio osservando che l'incertezza, pur nell'indicazione delle misure e dei confini, dell'esatta ubicazione del primo lotto incideva negativamente sull'identificazione del secondo in quanto connessa a quella del primo. Sostanzialmente la corte territoriale, dissentendo dal tribunale, ha rilevato che gli elementi indicati nei due atti di vendita non fossero idonei alla determinabilità delle porzioni immobiliari che gli stipulanti intendevano vendere ed acquistare. Inutilmente, poi, esclusa l'operatività nella specie (di contratto riconducibile al catalogo dell'art. 1350 c.c.) del criterio ermeneutico offerto dal capoverso dell'art. 1362 c.c., il ricorrente lamenta la pretermissione di quello dell'art. 1371 c.c.. Questa regola "finale", a tenore della quale quando nonostante l'impiego degli altri criteri ermeneutici il contenuto di un atto negoziale rimanga oscuro si impone di interpretarlo nel senso meno gravoso per l'obbligato, se a titolo gratuito, e in quello che realizzi l'equo contemperamento degli interessi delle parti, se a titolo oneroso, in quanto diretta alla conservazione del negozio non applicabile nel caso in cui l'impiego del criterio ermeneutico primario desumibile dal I comma dell'art. 1362 c.c., finalizzato alla verifica della determinazione o della determinabilità dell'oggetto, abbia, con l'esito negativo, indotto l'interprete a ritenere, come nella specie, la nullità del negozio ai sensi degli artt. 1346, 1421 cpv c.c.. Con l'unico motivo del ricorso incidentale i Cucca, in relazione al n 3 dell'art. 360 c.p.c., denunziano la violazione dell'art. 91 e la falsa applicazione dell'art. 92 c.p.c.. La corte di merito - sostengono i ricorrenti incidentali - nel compensare le spese dei due gradi di giudizio, aveva considerato l'affidamento del Piras nella validità dei due contratti di vendita pur corroborata dal pacifico possesso delle porzioni occupate. Senonché, nel ritenere di concretamente temperare il principio cardine della soccombenza in materia di regolamento dell'onere economico del processo, dettato dall'art. 91 c.p.c., il giudice dell'appello non avrebbe considerato l'evidenza della nullità, per indeterminatezza dell'oggetto, dei due atti di vendita e dell'essere stato quell'indebito possesso contestato prima dell'esercizio dell'azione di revindica. Il motivo non può essere accolto. In tema di regolamento delle spese il sindacato di questa corte è limitato alla violazione del principio "cardine" esposto dall'art. 91 c.p.c., secondo il quale l'onere economico del giudizio non può essere posto a carico della parte che sia risultata totalmente vittoriosa. Esula quindi da tale sindacato, appartenendo al potere discrezionale del giudice del merito, la valutazione dell'opportunità di compensare, totalmente o in parte, dette spese, sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca sia in quella del concorso di altri giusti motivi, che l'art. 92 c.p.c. consente temperando il rigore del principio della soccombenza posto dall'art. 91. Il rilievo di questi "motivi" è rimesso al prudente apprezzamento del giudice del merito e sfugge al controllo di legittimità di questa corte se della compensazione disposta da detto giudice siano state, addotte ragioni logiche. Il che ricorre nella specie, nella specie, avendo la corte territoriale ravvisato i giusti motivi della compensazioni totale delle spese dei due giudizi di merito nell'aver il soccombente Piras fatto incolpevole affidamento dell'efficacia traslativa della proprietà dei due atti, con i quali il dante causa dei rivendicanti Cucca aveva disposto dei due appezzamenti di terreno, la cui validità era stata esclusa, a seguito di due c.t.u., all'esito del giudizio di appello, affidamento pur corroborato dalla pacifica sua immissione nel possesso degli immobili in esecuzione di quelle stipulazioni. Onde anche un profilo di inammissibilità del motivo in esame che, con l'apparente denunzia di un vizio di legittimità, è sostanzialmente diretto ad un riesame, precluso in questa sede, dell'esistenza dei giusti motivi della compensazione delle spese dei due gradi di giudizio di merito. Concludendo la disamina, entrambi i ricorsi vanno rigettati. La reciproca soccombenza delle parti, in particolare dei ricorrenti incidentali anche sulla questione pregiudiziale, giustifica la compensazione integrale delle relative spese.. P.Q.M la Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensa interamente le spese del giudizio di legittimità. Roma, il 13 gennaio 1999.