Cassazione civile, SEZIONE II, 21 novembre 2000, n. 15014 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Vincenzo CALFAPIETRA - Presidente - Dott. Giandonato NAPOLETANO - Consigliere - Dott. Rosario DE JULIO - Consigliere - Dott. Olindo SCHETTINO - Consigliere - Dott. Sergio DEL CORE - Rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PANDOLFI MARIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CAVALIER D'ARPINO 16, presso lo studio dell'avvocato MARIO FINOIA, che lo difende, giusta delega in atti; - ricorrente - contro PONTICELLO ALDO, CAIANIELLO ANTONIO; - intimati - e sul 2 ricorso n 18473-99 proposto da: PONTICELLO ALDO, domiciliato in ROMA presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, difeso dall'avvocato UGO MAJELLO, giusta delega in atti; - controricorrente e ricorrente incidentale - contro PANDOLFI MARIO, CAIANIELLO ANTONIO; - intimati - avverso la sentenza n. 1207-98 della Corte d'Appello di NAPOLI, depositata il 22-05-98; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14-06-00 dal Consigliere Dott. Sergio DEL CORE; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Stefano SCHIRÒ che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, rigetto anche del ricorso incidentale. Fatto Con citazione del 3 agosto 1987, Mario Pandolfi convenne in giudizio davanti al Tribunale di Napoli Antonio Caianiello e Aldo Ponticello, chiedendone la condanna al pagamento della provvigione per l'attività di mediazione assertivamente espletata dietro incarico del Caianiello in relazione alla vendita di un appartamento di proprietà dello stesso. Entrambi i convenuti, costituitisi in giudizio, resistettero all'avversa pretesa negando che l'attore aveva svolto attività di mediazione, in quanto la vendita era stata conclusa tramite altro soggetto. Il Ponticello eccepì, inoltre, di non avere dato alcun incarico all'attore, al quale solo il Caianiello aveva conferito un mandato a vendere. Ammesse ed assunte le prove orali richieste dalle parti, il tribunale adito accolse la domanda condannando i convenuti, in solido, al pagamento, in favore del Pandolfi, della somma di lire 20.500.000 e il Caianiello, da solo, al pagamento dell'ulteriore somma di lire 82.300.000, oltre interessi. La sentenza venne gravata dal Ponticello, e, in via incidentale, dal Pandolfi, il quale dedusse l'incongrua determinazione sia del valore dell'affare sia della provvigione, nonché dal Caianiello, che aderì alle conclusioni dell'appellante principale. La Corte d'appello di Napoli, con sentenza 22 maggio 1998, respingeva l'appello del Pandolfi, e, in parziale accoglimento degli altri gravami, riduceva a lire 17.000.000 la somma che il Ponticello e il Caianiello dovevano solidalmente corrispondere all'attore; compensava per 1-5 le spese di entrambi i gradi, ponendo a carico del Ponticello e del Caianiello i restanti 4-5. Rilevava la corte che la valutazione e la qualificazione giuridica come mediazione dell'attività posta in essere dal Pandolfi erano state operate dal Tribunale in maniera aderente alle risultanze istruttorie e non erano infirmate dai contrari rilievi dell'appellante principale, secondo cui all'attore era stato conferito un mandato a vendere. A questa conclusione inducevano, secondo la corte, la pattuizione della provvigione e l'invio della proposta irrevocabile al Pandolfi nonché l'interpretazione della clausola di limitazione della durata del contratto, volta ad escludere la provvigione nel caso che l'affare fosse stato concluso per l'intervento di altro mediatore, ben potendo tale incarico essere conferito a più soggetti. La circostanza per cui la vendita fu stipulata poco tempo dopo la proposta irrevocabile non escludeva, infine, il nesso di causalità fra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare. Ciò in quanto il risultato dell'attività del Pandolfi si era realizzato attraverso fasi e vicende successive, riflettenti un processo di formazione della volontà dei contraenti complesso e protratto nel tempo a motivo della particolare situazione debitoria in cui versava il venditore, ma pur sempre avviato dal precedente intervento del mediatore. Infine, per principio ormai acquisito alla giurisprudenza, l'obbligo, per entrambe le parti dell'affare concluso, di corrispondere il compenso provvigionale non è escluso dal fatto che l'incarico sia stato conferito da una sola di esse, ove l'altra abbia contezza dell'attività di intermediazione e l'accetti anche per facta concludentia; nella specie, era rimasto provato che il Ponticello, lungi dal rifiutare l'opera di intermediazione del Pandolfi, prese contatti e trattò l'affare con questi, gli inviò la proposta, seguendone anche i suggerimenti. Neanche le contrapposte censure sulla misura della provvigione e sul valore dell'affare avevano pregio: la misura della provvigione era conforme agli usi e non assumeva rilevanza la mancata iscrizione del mediatore nell'apposito ruolo professionale; d'altra parte, nel caso di vendita di immobile, il complessivo contenuto economico dell'affare concluso non può che essere pari all'effettivo prezzo convenuto. Errata era invece la rivalutazione della somma di lire 17.000.000 operata dal primo giudice; vertendosi in tema di debito di valuta, e non essendo stato d'altra parte provato neanche in via presuntiva il maggior danno ex art. 1224 c.c. - derivante dalla mancata disponibilità del danaro. Tenuto conto dell'esito complessivo della lite - e, in particolare, dei limiti in cui erano stati accolti la domanda, l'appello principale e quello incidentale del Caianiello, del rigetto dell'appello incidentale del Pandolfi e della resistenza di quest'ultimo alla censura accolta- nonché di motivi di equità, era giusto compensare in ragione di 1-5 le spese di entrambi i gradi, che per gli altri quattro quinti andavano poste a carico, in solido, del Ponticello e del Caianiello, sostanzialmente soccombenti. Avverso la suddetta sentenza Mario Pandolfi ha proposto ricorso affidato a cinque motivi di annullamento. Aldo Ponticello resiste con controricorso contenente ricorso incidentale articolato in cinque motivi. Antonio Caianiello non si è costituito in questo grado del giudizio. Diritto Il ricorso principale e quello incidentale devono preliminarmente essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni proposte contro la stessa sentenza. Ragioni di priorità logica e giuridica impongono il previo esame dei primi tre motivi del ricorso incidentale sostanzialmente diretti a negare l'esistenza del dedotto rapporto di mediazione sicché, ove accolti, precluderebbero tutte le censure svolte col ricorso principale che, ovviamente, quel rapporto implica. Col primo motivo del ricorso incidentale, il Ponticello denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1703, 1754, 1362 c.c. e 116 c.p.c. nonché vizi motivazionali, deducendo che gli elementi valorizzati dalla corte del merito per ritenere effettivamente richiesta e svolta l'attività di mediazione, ove prudentemente valutati, non avrebbero giustificato simile conclusione. In particolare, si sottolinea che: a) stante l'inequivoco tenore della lettera datata 5 novembre 1984 ("con la presente le conferisco incarico di vendita dell'immobile sito in Piazza Amedeo 15 (...) la durata del presente incarico decorre da oggi 5.11.85 sino all'avvenuta vendita dell'appartamento da parte sua o di altre fonti di acquisto"), il Caianiello conferì al Pandolfi un mandato ad alienare, necessario per la complessità dell'operazione, sicché il compito di reperire l'acquirente era soltanto strumentale all'espletamento dell'incarico e poteva essere svolto anche da altri soggetti; b) la vendita fu conclusa dopo circa due anni dalla interruzione della trattativa, ebbe una regolamentazione più ampia e complessa rispetto a quella contenuta nella proposta originaria e parti diverse; c) le deposizioni dei testi Capaldo e Del Castillo si appalesano del tutto irrilevanti, essendo arbitrario inferirne che tra il Pandolfi e il Ponticello sussistesse lo stesso rapporto intercorso tra il primo e i predetti aspiranti acquirenti; c) anche a voler ritenere che la lettera del 5 novembre 1985 contenesse un incarico di mediazione, la corte di appello ha ignorato l'altra fondamentale circostanza che il Ponticello non era comunque a conoscenza della ipotetica qualità di mediatore del Pandolfi; d) in contrario, non vale addurre l'invio da parte del Ponticello, in data 21 gennaio 1986, della proposta irrevocabile di acquisto al Caianiello e, per conoscenza, al Pandolfi, logicamente giustificabile soltanto con la convinzione, da parte del Ponticello, che quest'ultimo fosse il consulente legale incaricato dal venditore di verificare la convenienza e le modalità dell'operazione; e) in giudizio era stato ampiamente provato che a mettere in contatto il Ponticello con il Caianiello fu altro soggetto regolarmente retribuito per la svolta mediazione. Il motivo non ha pregio. La corte territoriale ha osservato che correttamente il tribunale aveva ritenuto idonei a qualificare il rapporto intercorso tra le parti in termini di mediazione i seguenti elementi: la lettera di incarico del Caianiello al Pandolfi; l'invio della proposta irrevocabile di acquisto dal Ponticello al Caianiello e, per conoscenza, al Pandolfi; l'essere stata la vendita conclusa in attuazione di detta proposta sia pure dopo la chiusura della procedura di concordato preventivo cui fu sottoposto il Caianiello; le deposizioni dei testi, i quali dichiararono di avere in precedenza trattato l'acquisto con il Pandolfi - astenendosi dal portare avanti le trattative una volta appresa la complessa situazione debitoria in cui versava il venditore - e di avere visto il Ponticello nello studio del predetto per lo stesso motivo. Secondo la corte del merito, tali elementi, valutati nella loro sintesi, deponevano per la esistenza, tra il Caianiello e il Pandolfi, di un rapporto di mediazione certamente conosciuto e tacitamente accettato dal Ponticello. Invero, l'aver limitato la durata dell'incarico all'avvenuta vendita anche "da parte di altre fonti" stava a significare non che il Pandolfi dovesse svolgere, quale mandatario, l'intera trattativa sino alla vendita e fosse a conoscenza del conferimento ad altri dello stesso incarico, ma solo che la provvigione era esclusa nel caso in cui l'affare fosse stato concluso per l'intervento di persona diversa. D'altronde, il conferimento dell'incarico a più soggetti non è certamente incompatibile con la struttura della mediazione in cui non sia stato stipulato un patto di esclusiva. La corte partenopea ha, inoltre, attribuito rilievo al particolare per cui nella lettera di conferimento dell'incarico, il compenso spettante al Pandolfi era denominato provvigione, in conformità a quanto prevede l'art. 1755 c.c. Ha infine rimarcato che l'invio della proposta al Pandolfi era sintomatico del conferimento non di un mandato a curare la trattativa ed a svolgere attività giuridica (rispetto al quale il reperimento dell'acquirente sarebbe stato solo strumentale) ma, al contrario, di un incarico comportante l'obbligo di ricercare l'acquirente, di mettere in relazione due contraenti e di interporsi in maniera neutrale e imparziale fra gli stessi, appianandone le eventuali divergenze per farli pervenire alla conclusione dell'affare. Trattasi di apprezzamento motivato secondo un iter argomentativo ampio, logico e giuridicamente corretto. Come è infatti pacifico in dottrina, e presso la costante giurisprudenza di questa Corte regolatrice, il mandato e la mediazione si differenziano in relazione sia alla struttura dei rispettivi rapporti, sia alla natura dell'attività esplicata dal mediatore e dal mandatario. Sotto il primo aspetto, mentre il mandatario che accetta l'incarico ha l'obbligo giuridico di curarne la esecuzione ed acquista il diritto al compenso indipendentemente dal risultato raggiunto, a tale obbligo non è tenuto il mediatore il quale, interponendosi in maniera neutrale ed imparziale fra i due contraenti, ha soltanto l'onere di metterli in relazione, appianarne le eventuali divergenze e far loro concludere l'affare (Cass. nn. 1719-1998, 6334-1993, 4032-1988). Riguardo all'altro profilo, mentre il mandatario si obbliga al compimento di atti giuridici, e cioè ad una attività negoziale che lo caratterizza come un cooperatore giuridico delle parti, l'attività del mediatore è costituita da un comportamento soltanto materiale, diretto a mettere in contatto due o più parti al fine di far concludere tra le stesse un contratto. La corte napoletana ha tenuto ben presenti i suddetti criteri distintivi tra i due contratti, logicamente valutando, alla loro stregua, le emergenze istruttorie. La sua statuizione risulta pertanto insindacabile in sede di giudizio di legittimità, ove poi non è lecito proporre, sotto il surrettizio profilo del preteso vizio di motivazione, doglianze in ordine all'apprezzamento dei fatti e delle prove operato dal giudice di merito, proponendone altri, diversi ed alternativi, rispetto a quello censurato. A comprova della inammissibilità della censura, può ancora rilevarsi come sia del tutto generica e meramente formale la dedotta violazione degli artt. 1362 e segg. c.c., posto che il ricorrente omette di precisare quali regole legali di ermeneutica negoziale sarebbero state disapplicate (o falsamente applicate) nell'interpretare il contratto come di mediazione anziché di mandato. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1755, comma 1, e 2697 c.c. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione. Il Pandolfi, secondo il ricorrente, non ha addotto alcuna prova seria - tale non potendosi considerare la lettera di incarico del Caianiello del 5 novembre 1985 - che l'affare venne concluso proprio per effetto del di lui intervento. Anzi, egli non ha neanche dedotto di aver messo in relazione i futuri contraenti o svolto altro tipo di attività utile ad agevolare la conclusione del contratto. Laddove è noto che per avere diritto alla provvigione il mediatore deve provare non solo di aver messo i contraenti in contatto fra loro ma che proprio in seguito a detto contatto, ed eventualmente all'ulteriore opera di mediazione da lui svolta, è stata possibile la conclusione dell'affare. Più specificamente, i giudici dell'appello hanno ignorato, per un verso, che la prima fase di trattative - sviluppata con l'assistenza e la presunta opera di avvicinamento del Pandolfi e culminata nell'invio, in data 21 gennaio 1986, della proposta irrevocabile di acquisto da parte del Ponticello al Caianiello- non sortì effetto alcuno, data la situazione fortemente debitoria dell'aspirante venditore costretto a rifiutare la proposta con lettera del 10 febbraio 1986, perché non in grado di garantire il pacifico acquisto del bene; per altro verso, che la vendita fu conclusa dopo quasi due anni - sempre a causa della predetta situazione debitoria che aveva reso indispensabile la ideazione di una complessa operazione sfociata in una proposta di concordato preventivo- e solo a seguito di nuove trattative condotte da persona diversa e concluse in una convenzione completamente nuova e differente dalla precedente anche per la partecipazione di altri soggetti. Anche tale mezzo contiene censure inammissibili. È principio ripetutamente affermato da questa Corte che ai fini del diritto alla provvigione ex art. 1755 c.c. non occorre un perdurante intervento del mediatore il quale, cioè, non deve sorreggere tutte le fasi della trattativa fino alla conclusione dell'affare, essendo sufficiente anche la semplice attività di segnalazione dell'affare medesimo, qualora costituisca il risultato di una ricerca fatta dal mediatore e poi valorizzata dalle parti con l'effettiva conclusione del contratto. In diversi termini, il diritto alla provvigione deve essere riconosciuto anche quando l'attività del mediatore non sia stata il fattore determinante ed esclusivo della conclusione dell'affare, essendo sufficiente, rispetto a questo, che la menzionata attività presenti il carattere della completezza. (cfr. sentt. nn. 7554-1997, 7048-1997, 1566-1997, 392-1997, 297-1996, 9350-1991). Quindi, una volta accertato che l'opera svolta dal primo mediatore era funzionalmente idonea alla conclusione dell'affare, qualora questo sia stato poi perfezionato tramite altro intermediario, tale circostanza non esclude di per sè soia, sul piano logico-presuntivo, la rilevanza causale anche dell'attività del primo. In definitiva, è necessario che l'attività del mediatore sia causalmente determinante per la conclusione dell'affare; certamente, non è necessario riscontrare tra attività del mediatore e conclusione dell'affare un nesso eziologico diretto ed esclusivo; anche quando il procedimento di formazione della volontà delle parti sia complesso e protratto nel tempo e altri soggetti si adoperino per la conclusione dell'affare, è sufficiente che l'opera iniziale del mediatore, intersecata da fasi e vicende successive, sia rimasta propedeutica alla conclusione dell'affare. È del pari principio incontroverso, in tema di mediazione, che l'accertamento della esistenza di un nesso di causalità tra l'affare concluso dopo la scadenza del mandato e l'attività svolta dal mediatore nel corso del mandato stesso costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato (cfr. sent. n. 4043-1999). Orbene, in ordine alla valutazione del se l'attività del Pandolfi possa aver avuto una qualche incidenza causale nella conclusione dell'affare, ancorché in presenza del successivo intervento nelle trattative di altro intermediario, la motivazione esposta in sentenza è sicuramente appagante sul piano logico e giuridico. Invero, la circostanza per cui la vendita fu stipulata a distanza di tempo dalla proposta irrevocabile non esclude il nesso di causalità fra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare. Ciò in considerazione della necessità di ripianare le esposizioni debitorie della parte venditrice risolutasi a proporre un concordato preventivo ai suoi creditori. Sciolto tale nodo, le trattative, mai venute meno, ripresero e volsero verso il risultato finale sicché, a parere dei giudici del merito, il processo di formazione della volontà dei contraenti, complesso e protratto nel tempo per la particolare situazione debitoria in cui versava il venditore, fu pur sempre avviato dal precedente intervento del Pandolfi. È infatti incontrovertibile che nella specie le trattative abbiano avuto l'andamento testè descritto e, d'altra parte, la pressoché totale identità delle parti e del corrispettivo pattuito induce ad escludere che le iniziative svolte dopo l'interruzione non siano state in qualche modo influenzate dalle precedenti. In questo quadro fattuale, benché altri soggetti si adoperarono per la conclusione dell'affare, la "messa in relazione" da parte del Pandolfi costituì l'antecedente necessario per pervenire, anche attraverso fasi e vicende successive, a un tale esito. Con il terzo motivo del ricorso incidentale, si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1755 c.c. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione. Anche a voler ritenere che con la lettera del 5 novembre 1985 il Caianiello intese conferire un incarico di mediazione al Pandolfi e che l'opera di quest'ultimo sia stata in qualche modo utile ai fini della conclusione dell'affare, non era giustificata la condanna del Ponticello al pagamento della provvigione: per ammissione dello stesso Pandolfi l'incarico gli fu conferito dal solo Caianiello. Si sarebbe, quindi, trattato, in ogni caso, di mediazione unilaterale, in cui l'obbligo della provvigione non poteva certamente riguardare anche il Ponticello, terzo rispetto al contratto. Neanche tale doglianza può trovare accoglimento. Come ricordato nella parte espositiva, la corte territoriale ha rimarcato come non valga a escludere l'obbligo per entrambe le parti dell'affare concluso, di corrispondere il compenso provvigionale il fatto che l'incarico sia stato conferito da una sola di esse, ove l'altra abbia contezza dell'attività di intermediazione e l'accetti anche per facta concludentia; nella specie, era rimasto provato che il Ponticello, lungi dal rifiutare l'opera di intermediazione del Pandolfi, prese contatti e trattò l'affare con questi, gli inviò la proposta, seguendone anche i suggerimenti. Anche qui si è di fronte a una motivazione perfettamente logica, coerente alle risultanze istruttorie e in linea con l'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte secondo cui, per l'appunto, il rapporto di mediazione sussiste indipendentemente sia dal preventivo accordo delle parti sulla persona del mediatore, sia dal previo conferimento dell'incarico; ciò che conta, infatti, è l'effettiva ed imparziale interposizione del mediatore tra le parti dell'affare, che si concreti in un'attività diretta a favorirne la conclusione o che sia stata accettata anche tacitamente dalle parti (vedi sentt. nn. 9743-1994, 5560-1988, 4118-1984, 1381-1983, 5212-1983, 3019-1982, 5431-1980). Seguendo l'ordine logico - giuridico delle questioni, può a questo punto passarsi all'esame del ricorso principale. Con il primo motivo, il Pandolfi denunzia violazione dell'art. 116 e vizi motivatori (art art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.), ascrivendo alla corte napoletana di avere determinato in lire 1.700.000.000 il valore dell'affare sulla base delle dichiarazioni formulate solo in sede di comparsa conclusionale del venditore e non contestate soltanto dall'acquirente, ma decisamente inattendibili stante il comportamento fraudolento dei contraenti. Ha considerato, inoltre, che lo stesso Ponticello, con la proposta irrevocabile del 21 gennaio 1986, aveva offerto il corrispettivo di lire 1.800.000.000, oltre la costituzione di una rendita vitalizia, indicizzata, di lire 2.000.000 a favore della titolare dell'usufrutto, e, in seguito, aveva prestato fideiussione personale fino un miliardo e controfirmato una polizza della S.I.C. per lire 1.700.000.000 a garanzia dell'adempimento del concordato preventivo cui il Caianiello era stato ammesso. Il mezzo è destituito di fondamento. La corte territoriale ha condiviso la valutazione dell'affare operata dal tribunale valorizzando l'elemento costituito dalla dichiarazione resa in giudizio dal Caianiello in comparsa conclusionale e non contestata dal Ponticello. Anche qui si è al cospetto di valutazione di merito sostenuta da motivazione congrua e logica; invero, in assenza di prova contraria, che ovviamente incombeva all'attore, erano sicuramente attendibili, perché sfavorevoli alla loro posizione processuale di convenuti in un giudizio per il pagamento di provvigione, l'indicazione effettuata dal Caianiello di un prezzo sensibilmente più elevato rispetto a quello esposto negli atti pubblici di vendita e la non contestazione sul punto da parte del Ponticello. Con il secondo motivo, si denuncia violazione dell'art. 1755, comma secondo, c.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.). Considerata la complessità dell'affare, confermata d'altronde anche dalla previsione di una provvigione del 5% a carico del venditore Caianiello, la misura e la proporzione della provvigione per la parte a carico dell'acquirente Ponticello dovevano essere determinate secondo equità e non applicando gli usi per la città di Napoli riferiti ad attività di intermediazione di mediocre e normale impegno. La doglianza è del tutto priva di fondamento. Il ricorrente mostra di ignorare il contenuto dell'art. 1755, comma secondo, c.c. per il quale la misura della provvigione va determinata secondo equità solo in mancanza "di patto, di tariffe professionali o di usi". Del tutto apodittica e indimostrata è poi l'affermazione secondo la quale gli usi per la città di Napoli fanno riferimento "ad attività di intermediazione di mediocre e normale impegno". Per vero, la parte che afferma o nega l'esistenza di un uso locale è tenuta a darne la prova. Il principio iura novit curia, la cui influenza nella logica del giudizio sta nell'elevare a dovere d'ufficio la ricerca del diritto lasciando sempre a carico delle parti la prova del fatto, va inteso nel suo giusto limite e con un temperamento. Il limite è che deve trattarsi di vere e proprie fonti di diritto oggettivo (art. 1 disp. prel.), ossia di precetti contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità; con esclusione, quindi, sia di quelli aventi carattere normativo ma non giuridico (come le regole della morale o del costume), sia di quelli aventi carattere giuridico ma non normativo (come gli atti di autonomia privata o i negozi di diritto amministrativo), o la cui normativa è puramente interna (come gli statuti degli enti o i cosiddetti regolamenti interni). Il temperamento è che, pur trattandosi di norme giuridiche, il giudice in tanto ha l'obbligo di ricercarle e di applicarle, malgrado la mancata cooperazione delle parti, in quanto egli abbia la concreta possibilità di conoscerle, ma senza dover ricorrere a fonti estranee alla sua scienza ufficiale e tanto meno a indagini personali involgenti l'esercizio di attività istruttorie non previste dalle leggi nè richieste dalle parti. Detta possibilità di conoscenza è in re ipsa per quanto concerne gli atti normativi generali, come quelli inseriti nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti (art. 1, un. 1 e 2, e art. 10 disp. prel. citate), la cui pubblicazione, da un lato, dispensa da ogni prova e, dall'altro, esclude l'ignoranza. Uguale possibilità non sussiste per quelle norme giuridiche le quali, o perché non sono scritte (come gli usi), o perché, pur essendo scritte, non sono pubblicate (o lo sono solo localmente, come i regolamenti comunali contenuti in atti formalmente amministrativi e sottoposti al controllo dell'autorità tutoria), o perché, pur essendo scritte e pubblicate, appartengono ad altri ordinamenti (leggi straniere), escludono che il giudice debba procurarsene la conoscenza ad ogni costo, fino ad addossarsi l'onere di sopperire all'inerzia della parte che le invoca senza provarle (cfr. Cass. n. 1742-1976 e, indirettamente, n. 859-1980). Con il terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 1224, 2043, 2055 c.c., il ricorrente si duole per avere la corte di merito negato la rivalutazione delle provvigioni anche limitatamente al periodo agosto 1987-16 dicembre 1990. Al contrario, il maggior danno da svalutazione monetaria era dimostrato dal fatto (notorio) che il legislatore, poco tempo dopo, aveva modificato il tasso d'interesse. Il danno si giustificava anche "per la violazione da parte dei convenuti del divieto del neminem laedere". Il mezzo è totalmente destituito di fondamento. Premessa la totale incomprensibilità del riferimento al principio del neminem laedere (vertendosi, all'evidenza, non in tema di illecito aquiliano ma di inadempimento di obbligazione) e dato per scontato che nel periodo di riferimento il fenomeno inflattivo era particolarmente elevato, va rilevato che il ricorrente non ha neanche indicato la categoria economica di appartenenza sì da consentire al giudice del merito - in conformità al più liberale indirizzo giurisprudenziale, in tema di prova del maggior danno derivante dalla sopravvenuta svalutazione monetaria, formatosi durante periodi connotati da forte dinamiche inflazionistiche - di utilizzare, pur in assenza di prove specifiche, oltre al notorio acquisito alla comune esperienza, anche presunzioni fondate, per l'appunto, su condizioni e qualità personali dei creditori e quantificare il danno alla stregua delle più comuni e ordinarie forme di impiego del denaro. Con il quarto motivo, deducendosi violazione degli artt. 1282, 1284, 2043 e 2055 c.c., si critica la sentenza impugnata per avere la corte territoriale mantenuto la decorrenza degli interessi dal 16 dicembre 1990, malgrado avesse negato la rivalutazione della somma per il periodo precedente; in realtà gli interessi dovevano farsi decorrere dall'11 aprile 1986, data in cui il Caianiello vendette l'immobile ai figli del Ponticello. Il mezzo è inammissibile introducendo per la prima volta in questa sede una questione di fatto su cui non è stato sollecitato dibattito alcuno nel corso del giudizio di appello, nemmeno in via eventuale ai sensi dell'art. 346 c.p.c. Parimenti inammissibile è il quinto ed ultimo motivo, con cui il Pandolfi, deducendo violazione dell'art. 92 c.p.c., lamenta che le spese non siano state poste a totale carico dei convenuti. Con massima pressoché stereotipata, questa Corte va ripetendo che in tema di pronunzia sulle spese processuali sussiste violazione di legge - giustificandosi di conseguenza il sindacato della Corte di Cassazione - soltanto quando le spese stesse siano poste in tutto o in parte a carico della parte totalmente vittoriosa, mentre è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito, incensurabile in cassazione, l'apprezzamento dell'opportunità di compensarle in tutto o in parte (vedi, ex plurimis, Cass. 5539-86; 4294-87; 551-90; 2949-95; 9840-96; 5174-97; 10359-97; 1403-98; 4997-98; 4347-99). Ed invero, l'art. 91 c.p.c., nel collegare l'onere delle spese alla soccombenza, impedisce che le spese stesse siano poste a carico della parte totalmente vittoriosa; ma al di fuori di questa ipotesi, il regolamento delle spese processuali è rimesso al potere discrezionale del giudice, al cui prudente ed insindacabile criterio sono riservati anche l'accertamento e la valutazione dei giusti motivi, in considerazione dei quali le spese medesime possono essere totalmente compensate ai sensi dell'art. 92 c.p.c. Con il quarto motivo del ricorso incidentale, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1755, comma 2, e 1374 c.c. nonché omessa motivazione. Omettendo di pronunciarsi sul relativo motivo di impugnazione, i giudici dell'appello non hanno tenuto conto che, ai fini della determinazione della provvigione, gli usi locali della città di Napoli nel determinare l'ammontare massimo delle provvigioni nella misura dell'1% del valore dell'affare a carico del compratore e del 2% del valore dell'affare a carico del venditore, prevedono, nel contempo, una riduzione di dette percentuali a carico delle parti quando si sia di fronte ad importi assai elevati, come nella specie. Il mezzo è totalmente da disattendere per l'assorbente rilievo che il ricorrente non ha neanche indicato in ricorso come abbia provato l'esistenza di un simile uso locale. Col quinto ed ultimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 92, comma secondo, c.p.c. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione per avere compensato le spese giudiziali di entrambi i giudizi in ragione solo di 1-5, in contrasto con il principio della soccombenza reciproca contenuto nella disposizione normativa citata essendo stato accolto parzialmente l'appello di esso ricorrente e rigettato quello incidentale proposto dal Pandolfi. Anche tale motivo contiene una censura inammissibile per le stesse ragioni esposte esaminando l'omologo motivo (il quinto) del ricorso principale. Considerata l'infondatezza di ambedue i ricorsi, stimasi giusto disporre la totale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese. Così deciso in Roma, il 14 giugno 2000