Cassazione civile, SEZIONE II, 1 dicembre 2000, n. 15380 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill. mi Sigg. ri Magistrati: Dott. Mario SPADONE - Presidente -Dott. Vincenzo CALFAPIETRA - Consigliere -Dott. Rafaele CORONA - Consigliere -Dott. Giandonato NAPOLETANO - Rel. Consigliere -Dott. Rosario DE JULIO - Consigliere -ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: SOLA ALDO, GARBOSSA PASQUA, elettivamente domiciliati in ROMA PIAZZAADRIANA 15, presso lo studio dell'avvocato ANGELUCCI ALFREDO, che li difende, giusta delega in atti; - ricorrenti -controPAGANO ARRIGO, BAÙ LETIZIA, elettivamente domiciliati in ROMA VIACICERONE 49, presso lo studio dell'avvocato BERNARDINI ANTONIO, cheli difende unitamente all'avvocato MAIOLINO ANGELO, giusta delega in atti; - controricorrenti -nonché contro SONDA GIOVANNI; - intimato -avverso la sentenza n. 1730-97 della Corte d'Appello di VENEZIA,depositata il 30-10-97; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del18-04-00 dal Consigliere Dott. Giandonato NAPOLETANO; udito l'Avvocato Alfredo ANGELUCCI, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; uditi gli Avvocati Antonio BERNARDINI e Angelo MAIOLINO, difensori dei resistenti che hanno chiesto il rigetto del ricorso; udito il P. M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Aurelio GOLIA che ha concluso per il rigetto del ricorso. Fatto Arrigo Pagano e Letizia Baù, con atto di citazione notificato il 22 febbraio 1986, convennero Aldo Sola e Pasqua Garbossa innanzi al Tribunale di Bassano del Grappa, per sentir dichiarare risolto, per grave inadempimento dei convenuti il contratto di compravendita concluso dalle parti con scrittura privata del 28 dicembre 1983, in virtù del quale essi avevano venduto ai convenuti un immobile per il prezzo di L. 180. 000. 000, e condannare i convenuti a risarcire loro il danno derivante dall'inadempimento. Esposero gli attori che gli acquirenti, dopo avere eseguito con ritardo il pagamento di alcune rate del prezzo, benché diffidati, si erano astenuti dal pagamento della rata dell'importo di L. 25. 000. 000, da eseguirsi il 31 dicembre 1985. I convenuti resistettero alla domanda e proposero, a loro volta, domanda riconvenzionale volta a conseguire la restituzione della parte di prezzo versata, pari a L. 100. 000. 000. Con separato atto di citazione notificato in data 6 - 10 novembre 1986 il Sola e la Garbossa convennero, a loro volta, innanzi allo stesso Tribunale il Pagano e la Baù nonché tal Giovanni Sonda, il quale aveva svolto attività di mediatore nella conclusione del contratto, chiedendo l'"annullamento" del contratto, perché i venditori ed il mediatore, nonostante fosse stata garantita in contratto la libertà dell'immobile da ipoteche, pesi e trascrizioni pregiudizievoli, avevano omesso di informarli dell'iscrizione sul bene di due ipoteche concesse a garanzia di mutui bancari nonché dell'esistenza, a carico del fondo, di una servitù di elettrodotto. Chiesero, altresì, che tutti i convenuti fossero condannati a risarcire loro i danni subiti. I convenuti resistettero alla domanda ed il Sonda propose anche domanda riconvenzionale per sentir condannare gli attori a versargli la somma spettantegli a titolo di provvigione. Le due cause furono riunite. L'adito Tribunale rigettò la domanda proposta dai venditori Pagano e Baù ed, in accoglimento delle domande proposte dagli acquirenti Sola e Garbossa, nei confronti dei venditori, dichiarò risolto il contratto per grave inadempimento dei venditori e condannò costoro a restituire agli acquirenti, la somma di L. 100. 000. 000; rigettò la domanda risarcitoria proposta dagli stessi acquirenti nei confronti del mediatore Sonda e condannò gli acquirenti a versare al mediatore la somma di L. 7. 416. 000 a titolo di provvigione. Tale decisione fu impugnata, con appello principale, dal Pagano e dalla Baù e, con appello incidentale, dal Sola e dalla Garbossa, i quali instavano per l'accoglimento della domanda di risarcimento proposta nei confronti del mediatore Sonda. La Corte d'Appello di Venezia, con sentenza resa in data 30 ottobre 1997, in accoglimento dell'appello principale, ha dichiarato la risoluzione del contratto per grave inadempimento degli acquirenti Sola e Garbossa, che ha condannato a risarcire ai venditori Pagano e Baù il danno loro cagionato, nella misura di L. 100. 000. 000, dichiarando, però, compensato tale debito col credito degli acquirenti, avente ad oggetto pari somma, loro dovuta in restituzione della parte di prezzo versata; ha dichiarato inammissibile l'appello incidentale, perché proposto oltre il termine perentorio fissato dall'art. 343 cod. proc. civ. In ordine all'impugnazione principale, il giudice d'appello, premesso che il contratto concluso dalle parti, non prevedendo immediati effetti reali bensì solo l'obbligo di stipulare mediante atto pubblico, entro la data del 31 dicembre 1986, il contratto definitivo di compravendita, doveva essere qualificato come contratto preliminare, ha ritenuto, in primo luogo, che la clausola contrattuale relativa alla libertà del compendio immobiliare promesso in vendita da ipoteche, pesi e trascrizioni pregiudizievoli costituisse, per la sua genericità , usualità ed indeterminatezza, niente più che una clausola di stile e che, pertanto, dovesse escludersi l'assunzione, in virtù di essa, dell'obbligo di garanzie ulteriori e diverse rispetto a quelle, tipiche, previste dalle norme codicistiche a carico degli alienanti. Ciò premesso, la corte di merito ha escluso che ai promittenti venditori potesse addebitarsi l'inadempimento del contratto a motivo delle due iscrizioni ipotecarie gravanti sull'immobile, essendo rimasto accertato che, "se il contratto preliminare di compravendita non fosse stato risolto, per l'inadempimento dei promittenti acquirenti", alla data fissata per la stipula del definitivo i promittenti venditori sarebbero stati in grado di liberare l'immobile dalle iscrizioni ipotecarie, avendo frattanto estinto uno dei due debiti bancari e ristretta l'altra ipoteca su altro immobile di loro proprietà . D'altro canto, ad avviso della corte distrettuale, poiché il contratto non conteneva alcun accenno all'intenzione dei promissari acquirenti di chiedere un mutuo per il pagamento del prezzo nè prevedeva alcuna obbligazione di collaborazione al riguardo a carico dei promittenti venditori, diveniva irrilevante la circostanza che, a causa delle iscrizioni ipotecarie, i promissari acquirenti non avessero potuto ottenere il mutuo richiesto ad un istituto finanziario. La corte territoriale ha, inoltre, esclusa la ravvisabilità di un inadempimento dei promittenti venditori con riferimento all'esistenza della servitù di elettrodotto, sia perché trattavasi di servitù apparente sia perché, come poteva ritenersi sulla base delle risultanze della prova testimoniale e fotografica, la Sola ed il Garbossa, già proprietari di altro immobile posto a confine con quello oggetto del contrasto, non potevano non essere a conoscenza dell'esistenza dell'onere. Per converso, ha rilevato la Corte d'appello, i promittenti acquirenti avevano versato con notevole ritardo le rate, dell'importo, ciascuna, di L. 25. 000. 000, del prezzo pattuito, scadute il 30 giugno 1984, il 31 dicembre 1984 ed il 30 giugno 1985 e non avevano corrisposto la rata, di pari importo, scaduta il 31 dicembre 1985 e quelle successive. E tale mancato pagamento non poteva dirsi giustificato, ai sensi dell'art. 1482, co. 1 , cod. civ. , dall'esistenza delle iscrizioni ipotecarie, poiché la sospensione dei pagamenti, cui detta norma autorizza l'acquirente, presuppone un pericolo di evizione effettivo, che, nel caso in esame, doveva escludersi. Sicché - ha concluso il giudice d'appello - era certo, in considerazione della complessiva condotta tenuta dai promissari acquirenti, che le inadempienze degli stessi dovessero attribuirsi esclusivamente alla loro impossibilità di far fronte alle obbligazioni assunte. Per la cassazione di tale sentenza il Sola e la Garbossa hanno proposto ricorso, fondato su cinque motivi. Degli intimati, mentre il Sonda non ha svolto attività difensive, il Pagano e la Baù resistono con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Diritto Preliminarmente, va esaminata l'eccezione d'inammissibilità del ricorso, che i controricorrenti sollevano sul rilievo della mancanza di interesse nei ricorrenti, a vedere accolto il ricorso, perché, incentrandosi, le censure, esclusivamente sulla individuazione dei ricorrenti quali responsabili della risoluzione del contratto, si sarebbe formato il giudicato sulle statuizioni aventi ad oggetto la risoluzione del contratto, col conseguente obbligo dei promissari acquirenti di restituire il bene, e la condanna degli stessi al risarcimento dei danni. L'eccezione è destituita di fondamento, essendo evidente che, in considerazione dell'intimo collegamento delle statuizioni non esplicitamente impugnate con quelle oggetto del ricorso, delle quali costituiscono logica conseguenza, l'eventuale accoglimento del ricorso, in ordine alla parte della sentenza che individua nei promissari acquirenti i soggetti responsabili dell'inadempimento del contratto e, quindi, della sua risoluzione, determinerebbe automaticamente la caducazione delle statuizioni, non espressamente impugnate, concernenti le conseguenze del ritenuto inadempimento. Il ricorso va, dunque, esaminato nel merito. L'intimo collegamento logico - giuridico esistente tra i primi due motivi ne consiglia l'esame congiunto. Col primo motivo i ricorrenti censurano l'impugnata sentenza per violazione degli artt. 1351, 1362, 1375 e 1470 cod. civ. nonché per insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, adducendo che erroneamente e senza motivazione il giudice d'appello ha qualificato come clausola di stile la clausola del contratto con la quale i promittenti venditori garantivano la libertà dell'immobile da ipoteche, pesi e trascrizioni pregiudizievoli. Rilevano, all'uopo, i ricorrenti che risulta accertata l'ignoranza, da parte loro, all'atto della conclusione del contratto, dell'esistenza dei vincoli sul bene, avendo avuto notizia di tali vincoli solo dalla lettera in data 28 marzo 1985 della Halldomus, che revocava il mutuo concesso. Sicché, come correttamente aveva ritenuto il Tribunale, in presenza di detti vincoli, il contratto non poteva non essere risolto per colpa dei promittenti venditori, stante il loro comportamento scorretto anche sotto il profilo della buona fede. Al contrario - sostengono i ricorrenti - non poteva attribuirsi rilevanza di inadempimento al mancato pagamento della quinta rata di L. 25. 000. 000, tenuto conto dell'importo del prezzo e dei versamenti già eseguiti. Col secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 1361, 1362, 1482, 1453, co. 3 , e 1525 cod. civ. nonché difetto o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, ribadendo, in primo luogo, l'apoditticità della attribuzione della natura di clausola di stile alla clausola che garantiva la libertà del fondo da ipoteche, pesi e trascrizioni pregiudizievoli ed osservando che neppure i promittenti venditori avevano mai sostenuto la non rispondenza di tale clausola ad un'effettiva volontà delle parti. Comunque incombeva ai promittenti venditori l'onere di dare la prova di tale non rispondenza e non si poteva certamente ritenere che la clausola fosse contraria al buon senso comune e che fosse inconcepibile immaginare che essa fosse stata voluta dalle parti, rispondendo, invece, ad un concreto interesse dei promissari acquirenti. Citando autorevole dottrina, i ricorrenti sostengono che il fatto stesso dell'iscrizione ipotecaria può costituire inesattezza della prestazione, pur se il vincolo ipotecario siasi estinto per estinzione del credito garantito. Nè, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, per l'esperibilità del rimedio concesso dall'art. 1482 cod. civ. è richiesto anche il pericolo di espropriazione del bene venduto e la stessa richiesta di fissazione di un termine per la cancellazione dell'ipoteca costituisce, per il compratore, una facoltà , che non esclude il ricorso, in alternativa, all'azione generale di risoluzione. Inoltre, ad avviso dei ricorrenti, la corte di merito avrebbe disapplicato l'art. 1453, co. 3 , cod. civ. , secondo cui dalla data della domanda di risoluzione del contratto la parte inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione, nonché la norma di cui all'art. 1525 cod. civ. , che non consente la risoluzione del contratto per il mancato pagamento di una sola rata del prezzo, che non superi l'ottava parte dell'ammontare del prezzo, sicché, nel caso in esame, il loro inadempimento doveva essere ritenuto di scarsa importanza. Quanto alla violazione della prima norma, i ricorrenti osservano che invano i promittenti venditori avevano offerto in corso di causa di regolarizzare la loro posizione, tenuto conto del loro grave inadempimento iniziale, comprensivo anche del fatto di aver provveduto alla seconda iscrizione ipotecaria poco prima della conclusione del preliminare. Le censure sono fondate per le ragioni che seguono. La Corte d'appello è incorsa in evidente vizio di illogicità nell'attribuire natura di clausola di stile alla clausola contrattuale con la quale si garantiva la libertà del bene da ipoteche, pesi e trascrizioni pregiudizievoli, sul rilievo della sua "usualità , genericità ed indeterminatezza", avendo omesso di considerare che, quando, come di norma e secondo logica, il compratore sia interessato ad acquistare il bene libero da qualsiasi peso che ne limiti la disponibilità od il godimento, la clausola negoziale idonea a realizzare tale interesse non può essere altra che quella, necessariamente sintetica ed onnicomprensiva, che ponga a carico del venditore la garanzia della completa libertà del bene da qualsiasi peso o vincolo. In particolare, con riferimento alle iscrizioni ipotecarie, la corte di merito avrebbe dovuto accertare se il negato requisito di specificità e determinatezza della clausola non fosse soddisfatto dalla espressa e specifica menzione anche delle "ipoteche" come oggetto della garanzia di libertà prestata dai promittenti venditori. Ritiene, peraltro, questa Corte che, in assenza di qualsiasi elemento che autorizzasse a ritenere letta clausola non rispondente ad un'effettiva volontà delle parti, la questione andasse risolta anche con riferimento al principio di conservazione posto dall'art. 1367 cod. civ.. Ciò premesso e considerato che, come riconosce la stessa sentenza impugnata, la norma di cui all'art. 1482, co. 1 cod. civ. , che (**) il compratore a sospendere il pagamento del prezzo quando venga a conoscenza dell'esistenza sul bene di garanzie reali o di vincoli derivanti da pignoramenti o sequestri è applicabile per analogia ai contratti preliminari, il giudice d'appello avrebbe dovuto verificare con riferimento a detta norma la legittimità del mancato pagamento della rata di prezzo scadente al 31 dicembre 1985, per accertare se tale condotta costituisse legittimo esercizio della facoltà di sospendere il pagamento o inadempimento contrattuale. Invece, fuorviato dall'erronea interpretazione data alla clausola che garantiva la libertà del bene, esso ha qualificato quella condotta come inadempimento, senza porsi il problema del legittimo esercizio della facoltà prevista dall'art. 1482, co. 1 , cod. civ. a seguito della conoscenza dell'esistenza delle iscrizioni ipotecarie, determinata dalla comunicazione della società finanziaria che revocava la concessione del mutuo. Ugualmente erronea si rivela l'impugnata sentenza quando, al fine di dimostrare l'irrilevanza dell'esistenza delle iscrizioni ipotecarie alla data della domanda di risoluzione del contratto, rileva che i promittenti venditori erano in grado di cancellare le due ipoteche, tale aspetto dovendo essere considerato alla luce del dettato dell'art. 1453, co. 2 , cod. civ. , secondo cui l'adempimento del contratto non è più ammissibile quando sia stata domandata la risoluzione, con la conseguenza che la posizione delle parti resta cristallizzata con riferimento alla data di proposizione della domanda di risoluzione. Nè si potrebbe validamente obbiettare che, ai sensi dell'art. 1482, co. 2 , cod. civ. , ai promissari acquirenti era data la possibilità di chiedere al giudice la fissazione di un termine per la cancellazione delle ipoteche, con la conseguenza della risoluzione ipso iure dei contratto in caso di inutile decorso del termine, perché la possibilità prevista dall'art. 1482, co. 2 , cod. civ. costituisce solo una facoltà concessa al compratore ad ulteriore rafforzamento della sua posizione contrattuale ed a tutela del suo eventuale interesse all'adempimento del contratto, ma non esclude la possibilità di esperire l'azione ordinaria di risoluzione del contratto, prevista dall'art. 1453 cod. civ. (cfr. , Cass. 11 novembre 1994, n. 9498). Alla luce dei principi di diritto esposti, risulta, altresì, non corretto l'esame, da parte della corte distrettuale, del mancato pagamento delle rate di prezzo scadute successivamente alla data di proposizione della domanda di risoluzione da parte dei promittenti venditori, perché, dovendosi, come si è detto, aver riguardo esclusivamente alla situazione determinatasi a quella data, le condotte successive non potevano essere assunte a fondamento di un giudizio di inadempimento. Quanto, poi, alla mora verificatasi nel pagamento delle rate di prezzo scadute precedentemente al 31 dicembre 1985, l'impugnata sentenza rivela un evidente difetto di motivazione, trascurando di considerare, ai fini della valutazione dell'interesse dei promittenti venditori al puntuale pagamento delle rate di prezzo e della gravità dell'inesatto adempimento dei promissari acquirenti, il rilievo assunto dalla reiterata tolleranza dei creditori. Col terzo motivo i ricorrenti si dolgono di violazione dell'art. 1489 cod. civ. nonché di motivazione contraddittoria circa un punto decisivo della controversia, adducendo che erroneamente la corte territoriale he ritenuto che essi non potessero non essere a conoscenza della servitù di elettrodotto, non potendosi, al riguardo, presumere una conoscenza e l'onere della relativa prova dovendo gravare sulla parte che sostiene la conoscenza della servitù da parte del compratore. La censura è inammissibile, perché sottopone a critica solo una delle due rationes decidendi che sorreggono l'impugnata sentenza. Questa, invero, si fonda, oltre che sulla conoscenza, da parte dei promissari acquirenti, dell'esistenza della servitù di elettrodotto, anche sull'apparenza della servitù, che, al pari della conoscenza del peso, rende inapplicabile la garanzia apprestata dall'art. 1489 cod. civ. Sicché, dal momento che i ricorrenti censurano la sentenza solo nella parte in cui ritiene che essi non potessero non avere avuto contezza dell'esistenza della servitù, se anche tale censura risultasse fondata, la sentenza resisterebbe ugualmente, non essendo stata censurata nella parte in cui ritiene inapplicabile l'art. 1489 cod. civ. a motivo dell'apparenza della servitù. Col quarto motivo i ricorrenti censurano l'impugnata sentenza per violazione dell'art. 343 cod. proc. civ. nonché per insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, osservando che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte distrettuale, l'appello incidentale da essi proposto nei confronti del Sonda era ammissibile, essendo stato proposto subito dopo la costituzione del Sonda ed il relativo interesse essendo sorto solo a seguito di tale costituzione, finalizzata a sostenere le ragioni degli appellanti principali. La censura è priva di fondamento, perché la Corte d'Appello, facendo corretta applicazione dell'art. 343, co. 1 , cod. proc. civ. , nella formulazione vigente alla data di proposizione del gravame, ha correttamente ritenuto che l'appello incidentale non fosse ammissibile, essendo stato proposto nella seconda udienza, nella quale i ricorrenti si costituirono. Nè ricorreva l'ipotesi di cui al cpv. dell'art. 343 cod. proc. civ. , non avendo, il Sonda, proposto alcun gravame. Egli, invero, come rileva l'impugnata sentenza, si limitò a sottolineare la propria estraneità all'appello principale, che riguardava esclusivamente il rapporto tra promittenti venditori e promissari acquirenti. Sicché, a torto, i ricorrenti insistono nel sostenere che il loro interesse a proporre l'appello incidentale sarebbe sorto dalla posizione assunta dal Sonda nel giudizio di appello. Il rigetto del motivo in esame impone di ritenere assorbito l'esame del quinto motivo, che ha ad oggetto la responsabilità del mediatore Sonda, essendo evidente che l'inammissibilità , correttamente ritenuta dalla Corte d'Appello, del gravame incidentale proposto nei confronti del Sonda impediva l'esame della domanda risarcitoria rivolta contro di lui. Conclusivamente, vanno accolti i primi due motivi del ricorso, mentre va dichiarato inammissibile il terzo e rigettato il quarto, restando assorbito il quinto. L'impugnata sentenza va, pertanto, cassata, in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata, anche per il regolamento dell'onere delle spese del giudizio di legittimità , ad altra sezione della Corte d'Appello di Venezia, che giudicherà sulle domande rispettivamente proposte dai promittenti venditori e dai promissari acquirenti, osservando i principi di diritto qui enunciati e tenendo conto dei rilievi svolti in ordine alla motivazione dell'impugnata sentenza. P. Q. M La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso; dichiara inammissibile il terzo motivo; rigetta il quarto, con assorbimento del quinto; cassa, in relazione ai motivi accolti, l'impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d'Appello d1i Venezia. Così deciso in Roma, addì 18 aprile 2000, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile. (**) ndr: illeggibile su carta. Nota Redazionale - Non si rinvengono precedenti in termini. Nota Redazionale - Nel senso che non è consentito chiedere la fissazione di un termine cfr. Cass. 5 giugno 2000 n. 7471; in senso favorevole alla sospensione del pagamento del prezzo cfr.: Cass. 26 novembre 1997 n. 11839; Cass. 24 novembre 1997 n. 11709.