Cassazione civile, SEZIONE II, 18 aprile 1998, n. 3985 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati: Dott. Vittorio VOLPE Presidente " Mario SPADONE Consigliere " Franco PONTORIERI " " Michele ANNUNZIATA Rel. " " Giuseppe BOSELLI " ha pronunciato la seguente SENTENZA Sul ricorso proposto da: BATTAGLIA CELSO, FEDERICI LAURETTA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell'avvocato BENITO PANARITI, che li difende unitamente all'avvocato CORRADO RINALDI, giusta delega in atti; Ricorrenti contro FERRANTINO DOMENICO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA PISANELLI 2, presso lo studio dell'avvocato STEFANO DI MEO, che li difende unitamente all'avvocato FRANCESCO BIZZARRI, giusta delega in atti; Controricorrente avverso la sentenza n. 477-95 della corte d'Appello di FIRENZE, depositata il 13-04-95; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22-10-97 dal Consigliere Dott. Michele ANNUNZIATA; udito l'avvocato DI MEO STEFANO difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Aurelio GOLIA che ha concluso per l'accoglimento del 1 motivo, inammissibilità del 2 e 3 motivo di ricorso. Fatto Celso Battaglia proponeva opposizione al decreto ingiuntivo del 21 gennaio 1983 nei suoi confronti emesso dal Presidente del Tribunale di Pisa per il residuo prezzo - L. 20.000.000 - di acquisto di un villino sito in Visignano di Cascina, a favore del venditore Ferrantino Domenico, spiegando altresì la domanda riconvenzionale (deducendo che la superficie complessiva (mq. 640) indicata in contratto era inferiore di almeno mq. 70 complessivi a quella reale e ciò in quanto l'attigua villetta era stata costruita invadendo il suo terreno, mal grado il venditore avesse garantito il perfetto posizionamento del muro divisorio sulla mezzeria della linea che fraziona le due proprietà) con conseguente suo diritto alla riduzione del prezzo,ex art. 1538 c.c., nonché ex art. 1489 c.c., perché la servitù di passo, prevista come temporanea su una striscia di detto terreno e fino a quando non fosse costruita la strada pubblica progettata a nord del terreno confinante, in realtà era perpetua dato che il P.R.G. di Cascina non prevedeva alcuna viabilità nella zona. Concessa la provvisoria esecuzione del decreto opposto, intervenuta nel giudizio la moglie del Battaglia, Federici Lauretta, comproprietaria dell'immobile de quo, disposta C.T.U. dalla quale risultava addirittura un'estensione maggiore (mq. 651, 18) di quella indicata nell'atto di acquisto, il Tribunale di Pisa con sentenza del 23 maggio 1989 rigettava l'opposizione la riconvenzionale ritenendo, infine, la vendita a corpo e non a misura, mentre l'indicazione dell'estensione era soltanto individuativa del bene venduto, e adeguatamente e prudenzialmente regolamentata la questione della servitù, si che non esistevano i presupposti della chiesta riduzione del prezzo ex art. 1489 c.c. Su gravame dei coniugi Battaglia e Federici, la Corte di appello di Firenze con sentenza del 13 aprile 1995, confermava la precedente decisione. Osservava la corte fiorentina che: 1) la vendita era stata effettuata a corpo e non a misura perché oggetto essenziale era: "...la casa di civile abitazione...",mentre il riferimento "all'appezzamento di terreno ove sussiste il fabbricato..." doveva ritenersi incidentale e l'indicata estensione di quello effettuata per identificare la costruzione in assenza di accatastamento di questa, tanto più che il prezzo non aveva alcuna connessione con la superficie in sè considerata; circa poi la clausola con la quale il venditore aveva garantito la medianità del muro divisorio rispetto alla mezzeria di confine con la proprietà contigua, essa era stata apposta ai limitati fini di cui all'art. 874 c.c. e non per manifestare la volontà di una vendita a misura; altrettanto irrilevante, al fine di sostenere la tesi degli appellanti sulla vendita a misura, era l'eliminazione a richiesta dei compratori, delle parole "o quanto sia, a corpo a e non a misura", che erano state in un primo tempo apposte dopo le parole "superficie catastale di mq 640" e che erano identiche a quelle contenute nell'atto di acquisto del Ferrantino dal dante causa Michele Toscano (in quanto le predette parole eliminate dovevano ritenersi superflue atteso che dal contratto risultava che quegli vendeva tutto e soltanto quanto a suo tempo comprato da questi); 2) pur essendo effettivamente detto terreno inferiore di mq. 80 rispetto all'estensione di mq. 640, non poteva accogliersi neppure la richiesta subordinata di diminuzione del prezzo ex art. 1538 c.c. , in quanto non risultava per le ragioni predette che l'estensione avesse concorso a determinare il prezzo stabilito; 3) la cessazione della servitù di passo era stata prevista come eventuale "... non appena sarà realizzata la strada proposta a nord dell'appezzamento di terreno acquistato dai sig. Bertelli" - e senza termini, mentre dal contratto risultava che "di tali patti e servitù è stato tenuto conto nella determinazione del prezzo di acquisto" - che "la presente vendita... viene accettata come all'attuale stato, possesso e godimento..."; quindi le parti avevano regolamentato anche l'aspetto della servitù e anche ai fini della determinazione del prezzo; 4) doveva escludersi al riguardo la malafede del venditore sul presupposto che come costruttore conoscesse bene la situazione edilizia dei luoghi, atteso che, con riferimento alla servitù de qua, il contratto con i Battaglia rispettava quanto previsto nel contratto tra detto venditore - costruttore e il suo dante causa. Avverso questa sentenza ricorrono i coniugi Battaglia e Federici, affidando il mezzo a due motivi. Resiste con controricorso il Ferrantino. I ricorrenti hanno presentato memoria difensiva. Diritto Con il primo motivo, i ricorrenti, denunciando violazione dell'art. 1538 c.c. (in relazione all'art 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), deducono che manca un'adeguata motivazione sul fatto che, pur essendo stato accertato che il terreno è inferiore di oltre un ventesimo a quello acquistato, non si possa far luogo, pur nella ritenuta ipotesi di vendita a corpo, alla riduzione del prezzo, se non vi è la prova che le parti hanno inteso disapplicare la norma dispositiva di cui all'art. 1358 cod. civ. che dà diritto, una volta verificatisi la predetta differenza, alla rettifica del prezzo; inoltre la Corte territoriale, con la sua motivazione apparente, ha presunto irrilevante la differenza in discorso, invertendo così la presunzione normativa che invece è la rilevanza della stessa; al riguardo tra l'altro la accertata minore estensione incide sul giardino della villetta unifamiliare che solitamente si acquista al posto di un normale appartamento proprio in considerazione della superficie del verde (85 mq sono corrispondenti a una piccola casa); la rettifica del prezzo di vendita è quindi un'obbligazione ex lege, ricollegandosi ad un errore di calcolo ex art. 1490 c.c.; risultano, quindi violati anche gli artt. 2729 c.c. e 360, n. 5, c.p.c., per avere i giudici di merito presunto l'irrilevanza di una superficie minore del 20% rispetto a quella acquistata senza indicare in base a quali circostanze erano giunti a tale conclusione. Con il secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 360, n. 3 e 5 c.p.c. (in relazione all'art. 1439 - 1440 c.c ), deducono che nel contratto, a proposito della servitù, è scritto "...tale passo avrà carattere temporaneo e verrà automaticamente a cessare, ipso facto, non appena sarà realizzata la strada proposta..."; (è invece il P.R.G. non prevedeva e non prevede nella zona alcuna viabilità, come risulta dai documenti in atti; perciò il costruttore Ferrantino dolosamente, attesa anche tale sua qualità risultante dal contratto, aveva fatto loro credere che vi era una prevista ("proposta") strada nello strumento urbanistico; e se di vuole escludere che il raggiro abbia determinato il consenso per essere stata prevista la stessa temporanea servitù nel precedente contratto di acquisto del predetto Ferrantino, deve almeno ritenersi, ex art. 1440 c.c., che il contratto sarebbe stato stipulato a condizioni diverse per cui il venditore, in malafede, deve rispondere dei danni, richiesti sostanzialmente con la domanda di riduzione del prezzo per la predetta servitù rivelatasi perpetua; in via subordinata, se si esclude il dolo, deve almeno riconoscersi l'errore vizio (art. 1428 e segg. c.c.), che è caduto su un elemento essenziale perché la servitù è stata accettata in quanto temporanea. Con il controricorso il Ferrantino si riporta alle argomentazioni della Corte d'appello ed in particolare evidenziando che il fabbricato fu acquistato dai ricorrenti come visto e gradito in quella delimitazione; nessun dolo vi fu da parte di esso venditore sulla servitù, prevista come temporanea per rimanere la sua esistenza fino alla possibile costruzione di una nuova strada. Osserva la Corte che le censure dei ricorrenti non sono fondate. Esaminando le stesse in modo unitario (perché connesse tra loro), bisogna ricordare che la giurisprudenza costante considera vendita a corpo (e non a misura) quella in cui il prezzo pattuito non abbia nessuna stretta relazione con l'estensione dell'immobile; anzi, ritiene, con altrettante costante orientamento, che, anche se le parti abbiano indicato nel contratto la detta estensione, soltanto ai fini di migliore identificazione dell'immobile, si tratta pure di vendita a corpo, con inapplicabilità della derogabile normativa (art. 1538 cod. civ.) (tra le tante, Cass. 9 luglio 1991 n. 7594). Naturalmente, l'indagine in punto di accertamento della volontà delle parti della compravendita (se hanno inteso stipulare una vendita a corpo o a misura) spetta al giudice del merito, il cui ragionamento, se congruamente e logicamente motivato, non è censurabile in sede di legittimità (tra le altre, Cass. 6 giugno 1980 n. 3666). Orbene, la corte fiorentina ha ricavato il suo convincimento circa la sussistenza della vendita a corpo da una serie di circostanze acquisite al processo (la vendita di villa con terreno circostante e non vendita autonoma di terreno; la indicazione della estensione dello stesso terreno per dare una migliore rappresentazione e descrizione dell'immobile, in mancanza all'epoca di una rappresentazione catastale; il fatto che il venditore aveva ceduto soltanto e singolarmente il bene che aveva a sua volta acquistato dal suo dante causa; la regolamentazione della servitù in via soltanto prudenziale, così come il venditore aveva pattuito con il suo dante causa; la assenza di malafede del venditore, anche perché aveva trasmesso il bene con i pesi già esistenti all'atto della compera dal suo ripetuto dante causa ecc.). Tutte le indicate circostanze sono state poi dalla corte fiorentina valutate e messe in logica relazione tra loro, pervenendo così al suo convincimento (e senza possibilità di sindacato in sede di legittimità), in applicazione peraltro dei principi che governano la materia de qua (ed innanzi ricordati). Ed è appena il caso di aggiungere (in punto di riconoscimento, nel caso, di errore vizio circa la natura della servitù di passaggio, come pretendono i ricorrenti con il secondo motivo) che lo stesso motivo sul punto non può avere ingresso in sede di legittimità, perché introdotto per la prima volta nella stessa sede. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del grado di legittimità tra le parti (art. 92 cod. proc. civ.). P.Q.M La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali tra le parti. Così deciso in Roma il 22 ottobre 1997. Nota Redazionale - Sulla vendita a corpo, Cass. 26 giugno 1995 n. 7238, Riv. giur. edilizia, 1995, I, 2, 1042.