Cass_16_10_99_11692 Corte di Cassazione, Sezione Civile II, Sentenza del 16 ottobre 1999 n. 11692, sulla natura di obbligazioni propter rem delle limitazioni a contenuto negativo contenute nel regolamento di condominio contrattuale SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto notificato il 15/2/1995 Aponte Giuseppe conveniva in giudizio Giustino Giuseppina, Cigala Fabrizio, Salerno Raffaele e Andalò Vincenza perché, a norma dell'art.7 lett. C del regolamento di condominio del fabbricato sito in Napoli alla via Andrea Vaccaio 20, venisse dichiarato sia che era vietato ai condomini convenuti di stendere e sciorinare i panni dalle finestre, sia che gli stessi erano tenuti ad usare per tali servizi la terrazza a quota androne, con la conseguente condanna a rimuovere gli stenditoi abusivi apposti alla facciata del fabbricato prospiciente via Vaccaro. I convenuti, costituitisi, eccepivano la prescrizione dell'azione e l'infondatezza della domanda. L'adito conciliatore di Napoli, con sentenza depositata il 19/12/1996, accoglieva la domanda osservando: che nella fattispecie si verteva in materia di uso delle parti comuni dell'edificio, in forza di patti stabiliti dal regolamento di condominio predisposto dal costruttore ed approvato da tutti i condomini; che si era quindi in presenza di un regolamento condominiale a carattere contrattuale nel quale, all'articolo 7 lett. C, era stato sancito il divieto di sciorinare i panni da finestre, balconi ecc.; che andava richiamato il disposto dell'articolo 1122 c.c. interpretato dalla giurisprudenza in senso estensivo comprendente tutti i casi in cui il condomino assuma iniziative tali da poter pregiudicare "la stabilità, la sicurezza o il decoro architettonico di un edificio" che, quando in un condominio il godimento della cosa comune dà luogo ad immissioni moleste il conflitto é risolto ex articolo 844 c.c. a meno che non sussista un regolamento condominiale; che disciplini specificamente l'utilizzazione delle cose proprie e comuni; che, in particolare lo sciorinamento della biancheria può essere ritenuto immissione consentita a meno che non alteri il decoro architettonico dell'edificio e non sia vietato dal regolamento condominiale; che, non essendo la norma indicata di ordine pubblico o inderogabile, era valida la maggiore limitazione imposta nella specie dal regolamento condominiale al diritto attribuito ai singoli condomini; che il concetto di danno ex articolo 1122 c.c. comprende anche il danno estetico; che, quindi, pur essendo passato il tempo di venti anni necessario per usucapire il diritto di servitù, non poteva considerarsi acquisito dai convenuti tale preteso diritto incompatibile e contrastante con quanto disposto dal regolamento condominiale a prescindere dalle ambigue e contestate interpretazioni della locuzione "prospicienti" con riferimento alla disposizione di cui all'articolo 1122 c.c. non derogabile dalle parti attraverso un comportamento di fatto contrario; che, quindi, il permanente, comportamento illecito dei convenuti non consentiva di ipotizzare l'acquisto del reclamato diritto, anche se in buona fede, in quanto "ignorantia legis non excusat"; che, quanto all'asserita prescrizione dell'azione, era sufficiente rilevare la necessità, per l'acquisizione del diritto attraverso l'usucapione, di un possesso "continuo non interrotto e pacifico" e, quindi, dell'assenza di violenza e clandestinità nonché della conformità alle prescrizioni legali convenzionali; che i detti requisiti e presupposti non erano sussistenti nella specie atteso che il comportamento in questione, tenuto dai conventi e lamentato dall'attore, era vietato dal regolamento condominiale; che pertanto l'usucapione richiesta non era ravvisabile per l'assenza della "pacificità" e della permanenza, che tale puntualizzazione valeva solo ai fini di una mera completezza in quanto il problema andava risolto a norma dell'articolo 1122 c.c. per cui venivano a cadere le altre problematiche sollevate dai convenuti. La cassazione della detta sentenza del conciliatore di Napoli é stata chiesta dai convenuti soccombenti con ricorso, affidato a due motivi, al quale Aponte Giuseppe ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo si denuncia, violazione degli articoli 113 e 360, numeri 3 e 5, c.p.c. in relazione ai principi regolatori della materia ed in particolare, all'articolo 1122 c.c. Deducono i ricorrenti che il conciliatore non si é avvalso di poteri equitativi ma ha deciso secondo diritto avendo fondato, il suo ragionamento non sul regolamento di condominio, ma sull'articolo 1122 c.c. ritenendo che tale articolo possa essere validamente derogato soltanto da una disposizione regolamentare che ponga limitazioni maggiori e che la norma stessa sia suscettibile di una duplice interpretazione estensiva: da un lato per "opera" deve intendersi qualsiasi iniziativa pregiudizievole del condominio; da altro lato per "danno" deve intendersi anche il pregiudizio estetico. Il detto ragionamento é palesemente errato ed in contrasto con il significato che la giurisprudenza ha da sempre attribuito alle parole "danno" e "opera", di cui all'art. 1122 c.c. affermando che si debbano valutare solo le opere che comportino un deprezzamento del fabbricato e che arrechino un pregiudizio economicamente valutabile e non le opere di non grave ed apprezzabile entità. Ne consegue che nelle opere vietate non si possono di certo far rientrare gli stenditoi che i condomini usano per sciorinare i panni e che non sono in grado di turbare in maniera apprezzabile la facciata dello stabile. D'altra parte lo stendimento del bucato sui balconi non concreta un'opera condominiale, configurando un'attività comportamentale di carattere necessariamente saltuario che non può costituire un elemento di deturpamento dei decoro architettonico. E' pertanto evidente che la sentenza impugnata é in contrasto con i principi regolatori della materia finendo con l'impingere i principi costituzionali per l'ingiustificata compromissione delle facoltà di esercizio dei diritti di comproprietà. Il motivo é infondato. In via preliminare occorre osservare che, come é ormai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, costituisce pronuncia secondo equità non solo quella che esplicitamente applica una regola equitativa , ma anche quella che, senza nulla dire con riguardo all'equità, applica il diritto scritto con implicito giudizio di conformità all'equità (tra le tante sentenze 7/5/1995 n. 5422; 18/4/1995 n. 4328). E' pertanto, errata la tesi dei ricorrenti secondo cui "il conciliatore non si é avvalso di poteri equitativi, ma ha deciso secondo diritto". E' del pari errato ritenere che il conciliatore non avrebbe risolto la controversia applicando la disposizione dettata dall'articolo 7 lett. c) del regolamento condominiale, ma avrebbe fondato il suo ragionamento sulla norma di cui all'articolo 1122 c.c. In proposito é appena il caso di rilevare che - come emerge con chiarezza alla luce d'una corretta e logica interpretazione della lettera e della ratio della motivazione dell'impugnata sentenza la decisione del conciliatore si poggia essenzialmente sulla citata norma regolamentare. Nella detta sentenza, infatti si afferma espressamente che "nella fattispecie si verte in materia di uso delle parti comuni del condominio in forza di patti stabiliti dal regolamento di condominio (pag. 3); che "si é in presenza di un regolamento di condominio a carattere contrattuale" (pag. 3); che nel caso concreto esiste un regolamento condominiale che disciplina specificamente l'utilizzazione delle cose proprie e comuni (pag. 4); che é valida la maggiore limitazione imposta dal regolamento condominiale al diritto attribuito ai singoli condomini (pag. 4); che l'attività svolta dai condomini citati in giudizio dall'Aponte non é conforme alle prescrizioni convenzionali (pag. 5). Nell'impugnata sentenza le norme del codice civile sono state richiamate solo al fine di chiarire la ratio della disposizione regolamentare in questione nonché di accertare la validità dei divieti ivi sanciti. Peraltro il conciliatore nell'affermare di "prescindere dalle ambigue e contestate interpretazioni della locuzione "prospicienti" (frase richiamata dai ricorrenti a sostegno della tesi per la quale la sentenza impugnata non si poggerebbe sulla citata norma del regolamento condominiale ), ha inteso solo precisare di non condividere e, quindi, di non far propria, l'interpretazione in quanto ambigua - data dai condomini convenuti alla detta locuzione. Da quanto precede deriva logicamente che sono da ritenere irrilevanti gli argomenti (peraltro infondati) sviluppati nel motivo di ricorso in esame relativi all'asserito errore commesso dal conciliatore nell'interpretare l'articolo 1122 C.C. e, in particolare, le parole "danno" e "opere" contenute nella detta norma codicistica e che si riferirebbero solo "ad opere materiali idonee a modificare stabilmente le linee essenziali del fabbricato sì da alterare l'armonica fisionomia dell'intero edificio" nei cui ambito non potrebbero farsi rientrare né gli stenditoi né l'attività consequenziale - di carattere saltuario - di sciorinare i panni. In proposito va ribadito che il conciliatore, con motivazione adeguata e coerente, ha ritenuto illecita la detta attività di sciorinare i panni da balconi, finestre, ecc. in quanto vietata non in modo diretto dall'articolo 1122 c.c. ma espressamente da una norma del regolamento condominiale la cui corretta e logica interpretazione, non contestata, non é sindacabile in sede di legittimità come numerose volte chiarito da questa Corte (per tutte sentenza 28/10/1995 n. 11278) E' poi pacifico tra le parti - o, comunque, non risulta contestato che nella specie, come precisato nell'impugnata, sentenza, si tratta di un regolamento condominiale predisposto dal costruttore ed approvato da tutti i condomini i quali, quindi, si sono obbligati a rispettare le clausole del detto regolamento, ivi comprese quelle relative alle restrizioni dei poteri e delle facoltà dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive. In proposito questa Corte ha avuto modo di rilevare ripetutamente che, in materia di condominio negli edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell'interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà (sentenze 1/10/1997 n. 9564; 21/5/1997 n. 4509; 23/12/1994 n. 11126; 7/1/1992 n. 49). In definitiva deve escludersi che la sentenza impugnata sia affetta dai denunciati vizi di violazione dei principi regolatori della materia ricavabili dall'articolo 1122 c.c. e dalle linee guida essenziali di ordine costituzionale in tema di esercizio del diritto, di proprietà esclusiva e di comproprietà in edificio condominiale. Con il secondo motivo si denuncia violazione degli articoli 113 e 360, numeri 3 e 5, c.p.c. in relazione ai principi regolatori della materia e, in particolare, alle norme del codice civile sull'usucapione e sulla prescrizione (tra cui l'articolo 1073 c.c.).Deducono i ricorrenti che i limiti posti ai singoli appartamenti da regolamenti trascritti sono equiparati a servitù passive a carico degli appartamenti stessi. Di conseguenza i manufatti infissi alle facciate, in quanto opere visibili, ed il loro uso pacifico e continuato non possono non portare all'estinzione del diritto "a non stendere i panni" sancito dal regolamento in favore del condominio. Nel caso di specie é pacifico che questa consuetudine dei condomini é più che ventennale. E' altresì pacifico che gli istituti dell'usucapione e della prescrizione sono fondamentali nel nostro ordinamento giuridico in quanto correlati ad esigenze di certezza dei diritti. Il motivo non é fondato. Come é noto il conciliatore giudica secondo equità osservando i principi regolatori della materia. Le sue sentenze sono ricorribili per cassazione e, tuttavia, considerata la natura equitativa del giudizio che il conciliatore é chiamato ad esprimere, tali sentenze possono essere censurate, in sede di legittimità, oltre che per errori di procedura, solo per violazione dei principi regolatori della materia che costituiscono le linee guida essenziali della disciplina giuridica del rapporto dedotto in causa, ma non la regola equitativa applicata (neppure sotto il profilo della sua non conformità al diritto scritto ritenuto conforme all'equità) atteso che trattasi di giudizio per sua natura di merito ed insindacabile per vizi in iudicando. Dalle dette linee guida dei singoli istituti normativi il conciliatore non può però discostarsi senza incorrere in un errore di giudizio censurabile in cassazione. Nel caso in esame il conciliatore ha rigettato l'eccezione, sollevata dai convenuti, relativa alla prescrizione dell'azione proposta dall'Aponte e del diritto dallo stesso vantato, affermando che la disposizione di regolamento condominiale non poteva essere derogata dalle parti attraverso un comportamento di fatto contrario per cui dal detto permanente comportamento illecito dei convenuti non era "prospettabile né ammissibile ipotizzare l'acquisto del reclamato diritto, anche se in buona fede, in quanto ignorantia legis non excusat". Pertanto, secondo il ragionamento sviluppato nell'impugnata decisione, la violazione dell'obbligo in questione assunto dai ricorrenti costituisce un permanente comportamento illecito": da tale ragionamento consegue, logicamente, il rinnovo di momento in momento della decorrenza del tempo di prescrizione dell'azione a tutela del corrispondente altrui diritto violato Con il richiamo al profilo soggettivo (ignorantia legis non excusat) il conciliatore ha inteso poi sottolineare l'irrilevanza della consapevolezza o meno della violazione dell'obbligo e ciò per la permanente sussistenza comunque di tale obbligo. Le dette affermazioni non si pongono in contrasto con i principi regolatori della materia in tema di prescrizione o di usucapione ed anzi, sono rispettose delle linee guida e delle regole di coerenza del sistema delle obbligazioni di non fare. E' infatti evidente che il conciliatore ha escluso la natura reale (servitù) del vincolo in questione ed ha ritenuto gli attuali ricorrenti responsabili dell'inadempimento di un'obbligazione propter rem assunta con l'approvazione del regolamento condominiale contenente il divieto (non avente carattere reale) di sciorinare i panni dalle finestre, balconi ecc. Il conciliatore al riguardo si é uniformato a principi affermati in alcune decisioni di questa Corte (tra le tante sentenza 10/12/1993 n. 12152) secondo le quali ciascun condomino é obbligato "propter rem" a non eseguire nel piano o porzione di sua proprietà opere che rechino danno alle parti comuni. Il ragionamento del giudice del merito é quindi ineccepibile considerato che la violazione dell'obbligo di non fare in questione, pur se protratta per più di venti anni, non determina l'estinzione del rapporto obbligatorio e dell'impegno di tenere un comportamento conforme a quello imposto dal regolamento. Da ciò consegue che é permanente e sempre sussistente, oltre che sempre deducibile, il diritto dei singoli condomini al rispetto di tale impegno potendosi prescrivere solo il diritto al risarcimento del danno derivante dalla violazione dell'obbligo in questione: da detta violazione discende una permanente situazione di inadempimento con conseguente potere repressivo e sanzionatorio (volto al rispetto dell'obbligo oltre che, eventualmente, al risarcimento del danno sempre esercitabile e non sottoposto a termine di prescrizione o di decadenza se non dal momento della cessazione dell'inadempimento come, ad esempio, dal momento della modifica o dell'abrogazione della norma regolamentare costituente la fonte dell'obbligo). Del tutto irrilevante é poi la parte della motivazione dell'impugnata sentenza con la quale il conciliatore ha ritenuto di dover escludere la pretesa acquisizione del diritto attraverso l'usucapione e ciò per la mancanza del requisito del possesso "continuo, non interrotto e pacifico". La detta parte della motivazione della decisione del conciliatore é, stata sviluppata, come espressamente precisato nella stessa sentenza, "solo ai fini di una mera completezza". Soccorre pertanto il noto principio secondo cui, se una sentenza é sorretta da una molteplicità di ragioni giuridiche, tra loro indipendenti, é sufficiente che anche una sola di esse sia idonea a giustificare la decisione per rendere irrilevante l'eventuale fondatezza delle censure concernenti altre rationes decidendi non valendo tale fondatezza, a scalfire la pronuncia impugnata. Nella specie, appunto, a sorreggere la sentenza del conciliatore é sufficiente la ratio decidendi concernente la rilevata esclusione dell'applicabilità degli istituti della prescrizione e dell'usucapione trattandosi nella specie di violazione permanente di un'obbligazione di non fare e non di diritti reali ) sempre denunciabile dal titolare del corrispondente diritto non estinguibile se non con la modifica o con la soppressione della fonte (convenzionale) della stessa obbligazione. Da quanto precede deriva il rigetto del ricorso. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione. Roma 12 marzo 1999