Cass_15_3_94_2453 Cassazione civile, SEZIONE II, 15 marzo 1994, n. 2453 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Omissis ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
IMPRESA CICERI FRANCESCO S.A.S., in persona del socio accomandatario
Signor Ciceri Paolo; elett. dom. in Roma, Via L. Calamatta 16 c-o
l'avv. Antonio Cardarelli che unitamente all'avv. Giancarlo Ferrara la difende per delega a margine del ricorso,
Ricorrente
contro
ALBERTO MARIO, nella sua qualità di nuovo amministratore del condominio "Giulio Cesare" di Como; Del Sordo Alfredo nella sua qualità di Amministratore del Condominio "Giulio Cesare" di Como,
Intimati
per la cassazione della sent. n. 1263-89 della Corte di Appello di Milano 4 aprile 1989.
Udita la relazione della causa svolta nella pubb. ud. del 2.7.93 dal Cons. Garofalo.
Sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen., dr. Martinelli che ha concluso per l'accoglimento con conseguenze di legge.
 Fatto 1. Con atto del 19 gennaio 1983 la società impresa Francesco Ciceri, condomina del condominio "Giulio Cesare" in Como, impugnò la delibera assembleare del 20 dicembre dell'anno precedente, con la quale erano state ripartite tra i condomini le spese giudiziali della causa promossa dal condominio Mario Vago contro il condominio, nella quale essa società opponente aveva spiegato intervento ad adjuvandum per sostenere le ragioni dell'attore; dedusse all'uopo l'opponente che il suo intervento in causa aveva il sostanziale valore di dissenso a resistere alla lite, a norma dell'art. 1132 c.c., sicché essa, avendo separato la propria responsabilità da quella del condominio, non poteva essere chiamata a concorrere alle spese giudiziali facenti carico a quest'ultimo.
Il tribunale di Como, con sentenza del 5 aprile 1987, respinse l'opposizione.
2. Con sentenza del 4 aprile 1989 la corte d'appello di Milano confermò la pronuncia di primo grado, osservando che, allorquando l'assemblea del condominio aveva deliberato di resistere alla domanda contro di esso proposta dal condominio Vago, la società opponente non aveva manifestato il proprio dissenso a resistere alla lite nè il dissenso stesso era stato successivamente manifestato nel termine di trenta giorni dalla notizia della deliberazione; e che irrilevante, sul punto, era l'intervento ad adjuvandum spiegato nel corso della causa contro il condominio, non essendo esso equivalente al dissenso previsto dal citato art. 1132.
3. Ha proposto ricorso per cassazione la società Ciceri, sulla base di tre motivi.
Il condominio non ha espletato attività difensiva in questa sede. Diritto 1. Con il primo ed il secondo motivo, da esaminare congiuntamente perché connessi ed interdipendenti, la ricorrente denuncia motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria dell'impugnata sentenza su di un punto decisivo della causa, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., per non avere la corte d'appello preso in esame il verbale dell'assemblea condominiale del 28 dicembre 1981, nel corso della quale essa ricorrente, nella sua qualità di condomina intervenuta alla riunione, aveva manifestato il proprio dissenso a resistere alla lite intentata dall'altro condomino Vago; la corte d'appello, se avesse preso in esame il citato documento, sarebbe pervenuta ad una decisione diversa da quella adottata, avendo quella corte affermato che il dissenso non era stato espresso nè in sede assembleare nè (tempestivamente) in altro modo od in altri tempi; se, poi, la corte avesse ritenuto improduttivo di effetti il dissenso manifestato in assemblea, ne avrebbe dovuto spiegare le ragioni per assolvere in pieno all'obbligo della motivazione.
Le censure non sono fondate.
Osserva questa Corte che il dissenso de quo richiede di necessità un atto formale, portato a conoscenza dell'amministratore, successivamente alla deliberazione assembleare, mentre non è produttiva di effetti una contraria volontà espressa soltanto nel corso dell'assemblea: infatti il dissenso del condomino rispetto alla delibera, esternato prima che essa venga adottata, incide sulla sua formazione e sul modo con il quale essa viene ad esistenza e va tenuto distinto da quello (successivo alla delibera) con il quale il condomino nei rapporti interni verso il condominio dichiara di non voler subire le conseguenze della deliberazione già presa, separando la sua responsabilità da quella della collettività.
Consegue che la decisione adottata si rivela, sul punto, sostanzialmente corretta e non è soggetta a cassazione del principio enunciato dall'art. 384, comma 2 , c.p.c..
2. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1132 e 2969 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., per non avere la corte d'appello - ritenendo non essere stato notificato il dissenso nel termine di trenta giorni previsto dal citato art. 1132 - considerato che trattasi di termine di decadenza e che questa, non eccepita dalla controparte, rimasta contumace in appello, non poteva essere rilevata di ufficio dal giudice; pertanto la corte, esclusa la ritenuta decadenza, avrebbe dovuto accertare se l'intervento ad adjuvandum spiegato da essa opponente contro il condominio, nel giudizio contro di questo promosso dal condomino Vago, avesse oppur non sostanziale valore di dissenso rispetto alla decisione del condominio di resistere alla lite, considerato anche che per esprimere siffatto dissenso non sono indispensabili forme solenni o predeterminate.
La censura è fondata.
La corte del merito ha rilevato di ufficio un termine di decadenza in materia non sottratta alla libera disponibilità delle parti, trattandosi di rapporti privatistici che non coinvolgono interessi generali; sul punto va infatti ritenuto che il termine di trenta giorni, previsto dall'art. 1132 c.c. per l'atto di estraneazione, sia di decadenza, com'è fatto palese dalle parole usate e dalla ratio legis correlata all'esigenza di provvedere in tempi brevi all'amministrazione e di dare certezza ai rapporti condominiali caratterizzati da dinamismo e rapidità.
Nel caso in esame il condominio, costituitosi in giudizio in prime cure ma non in appello, non aveva eccepito la decadenza (verificatasi, in thesi, perché l'intervento in causa dell'impresa Ciceri, equiparabile all'atto di estraneazione, era avvenuto oltre il termine di legge) decadenza che, pertanto, non poteva esser rilevata di ufficio dal giudice.
In tale situazione, non esaustivo si palesa il rilievo della corte di appello in ordine alla non osservanza del termine di trenta giorni da parte della condomina opponente, laddove la stessa corte non ha accertato se la forma adottata dalla stessa opponente, per esprimere il proprio dissenso (e cioè quella dell'atto di intervento ad adjuvandum) fosse oppur non comforme a quella prescritta dall'art. 1132 c.c. o potesse della stessa essere considerata equivalente o sostitutiva; cioè non ha accertato se, non essendo prevista dalla legge una forma solenne, quella prescelta fosse in concreto idonea allo scopo, all'uopo tenendo conto non dell'aspetto meramente processuale bensì di quello sostanziale e cioè dell'esigenza che un atto recettizio, quale quello di dissenso, fosse comunque e con certezza portato a conoscenza dell'amministratore e degli altri condomini al fine di separare la responsabilità di questi ultimi da quella della dissenziente.
3. Consegue che la sentenza impugnata - in relazione al motivo accolto - deve essere cassata, con rinvio ad altro giudice che provvederà alla disamina indicata innanzi.
Il giudice del rinvio, all'uopo designato in altra sezione della corte d'appello di Milano, provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione, a norma dell'art. 385, ult. p., c.p.c.. P.Q.M la Corte rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche in ordine alle spese del giudizio, ad altra sezione della corte d'appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 1993.