Cass_15_12_00_15861 Cassazione civile, SEZIONE III, 15 dicembre 2000, n. 15861 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Manfredo GROSSI - Presidente -Dott. Vittorio DUVA - Consigliere -Dott. Renato PERCONTE LICATESE - Rel. Consigliere -Dott. Giuliano LUCENTINI - Consigliere -Dott. Giovanni Battista PETTI - Consigliere -ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: LA FONDIARIA ASSIC SPA, con sede in Firenze, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE BBUOZZI 68,presso lo studio dell'avvocato LUCA GRATTERI, difesa dagli avvocati ADELMO ORSENIGO, MARCO ORSENIGO, giusta delega in atti;- ricorrente -controI.R.S. SRL;- intimata -e sul 2 ricorso n 12575-98 proposto da:I.R.S. SRL, con sede in Novellara (RE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA G BVICO 1, presso lo studio dell'avvocato FRANCO PROSPERI MANGILI, chela difende unitamente all'avvocato EVA CASTAGNOLI, giusta delega inatti;- controricorrente e ricorrente incidentale -contro LA FONDIARIA ASSIC SPA;- intimata -avverso la sentenza n. 272-98 del Tribunale di FIRENZE, emessa il14-01-98 e depositata il 13-02-98 (R.G. 3287-97);udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del14-06-00 dal Consigliere Dott. Renato PERCONTE LICATESE; udito l'Avvocato Marco ORSENIGO; udito l'Avvocato Franco PROSPERI MANGILI; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo MACCARONE che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'assorbimento del ricorso incidentale. Fatto Il 5 febbraio 1996 il pretore di Firenze ingiungeva alla s.r.l. I.R.S. di pagare alla Fondiaria Assicurazioni lire 26.747.700, oltre agli interessi di mora al tasso legale, a titolo di premi annuali relativi a varie polizze di durata decennale, stipulate presso l'agenzia di Mantova della citata Compagnia. Proponeva opposizione l'ingiunta, deducendo che i contratti erano stati consensualmente risolti con l'agente Cannariato Marcella. Si costituiva la società assicuratrice, chiedendo la conferma del decreto, giacché l'agente generale non aveva alcun potere di risoluzione o di recesso. Con sentenza del 24 marzo 1997 il pretore revocava il decreto ingiuntivo opposto, ma condannava la I.R.S. a pagare lire 26.747.700, oltre agli interessi legali. Con la sentenza oggi impugnata, emessa il 13 febbraio 1998, il Tribunale di Firenze, in accoglimento dell'appello della società I.R.S., ha revocato il decreto. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Compagnia Fondiaria Assicurazioni s.p.a., sulla base di quattro motivi. Resiste l'intimata I.R.S. con controricorso e contestuale ricorso incidentale subordinato, affidato a un unico motivo. La ricorrente ha depositato una memoria. Diritto È preliminare, ai sensi dell'art. 335 C.p.c., la riunione delle impugnazioni. Col primo motivo, denunciando la violazione degli artt. 1362, 1363, 1372, 1373 e 1903 C.c. nonché contraddittoria e comunque insufficiente motivazione (art. 360 n. 3 e 5 C.p.c.), la ricorrente principale premesso che la lettera trasmessa il 3 maggio 1995 dall'agente Cannariato alla I.R.S. dev'essere intesa come una dichiarazione unilaterale di recesso, osserva che il contratto di assicurazione stipulato dall'opponente ha durata decennale e non prevede per le parti facoltà di recesso, nè peraltro nel regola mento contrattuale del rapporto di agenzia, ben noto alla controparte, è contemplato alcun potere di recesso dell'agente. Il recesso, prosegue la ricorrente, è consentito solo se sia pattuito tra le parti, mentre l'art. 1899 C.c. prevede un'ipotesi di recesso legale solo quando il contratto assicurativo abbia durata ultradecennale. Di qui l'indubbia inefficacia della volontà di recesso manifestata dall'agente, nè potrebbe sostenersi che il relativo potere sia insito nel conferimento della procura all'agente, perché l'art. 1903 non lo menziona. Col secondo motivo, denunciando la violazione degli artt. 1362, 1363, e 1903 C.c. e 116 C.p.c. (art. 360 n. 3 C.p.c.), sostiene che il termine "risoluzione" adoperato nell'art. 1903 C.c. deve leggersi in senso strettamente tecnico e pertanto con esclusivo riferimento ai rimedi giudiziali previsti dagli artt. 1453 e segg. C.c., perché la norma ha inteso attribuire anche all'agente il potere di tutelare la compagnia solo di fronte alla crisi del sinallagma, ogni qual volta cioè venga a cessare l'equilibrio tra le prestazioni, cui i contraenti sono tenuti. L'interpretazione estensiva della norma, volta a ricondurre nel concetto di "risoluzione" anche le ipotesi di scioglimento per mutuo consenso o di recesso unilaterale, rappresenta un'inaccettabile forzatura del tenore letterale dell'art. 1903 C.c., il quale sicuramente non consente un generale potere di risoluzione negoziale, perché ciò non risponde ad alcuna specifica funzione di tutela delle ragioni della società preponente. Il Tribunale ha ritenuto legittima la risoluzione supponendo, in aperto contrasto con la lettera succitata, una crisi del sinallagma, che avrebbe fatto sorgere il diritto dell'agente di risolvere il contratto; quando invece nella lettera si accenna non già a una crisi del sinallagma, riconducibile alle ipotesi tassativamente indicate negli artt. 1453 e segg. C.c., ma bensì a cosa tutt'affatto diversa, ossia a una crisi dei rapporti commerciali "precedentemente intercorrenti" tra le parti. Ne deriva che il giudice di merito non solo ha violato il fondamentale canone ermeneutico che vieta di discostarsi senza ragione dal tenore letterale del documento, ma in definitiva ha valutato un documento del quale non è traccia, affatto diverso dal tenore dalla lettera del 3 maggio 1995, l'unica prodotta in giudizio dalla parte avversa. È d'obbligo peraltro un ulteriore rilievo: l'agente, nella citata lettera, con le espressioni usate, nemmeno ha voluto lo scioglimento dei rapporti di assicurazione, ma il più limitato effetto di modificarli da decennali in annuali. Col terzo mezzo, denunciando la violazione degli artt. 1326, 1327 e 1362 C.c. (art. 360 n. 3 C.p.c.), censura il ragionamento col quale il Tribunale ha ritenuto che il mancato pagamento dei premi costituisca un comportamento concludente inequivoco, mentre esso è condotta equivoca, perché significa anche e soprattutto illegittimo inadempimento. Se poi si consideri che l'atto dell'agente nemmeno è diretto alla risoluzione del rapporto bensì ad una sua trasformazione, si avrà conferma del completo travisamento del tenore della dichiarazione del 3 maggio 1995. In analogo travisamento è incorso il giudice di merito a proposito dell'art. 14 delle condizioni generali del contratto di agenzia, interpretandolo restrittivamente e arrivando alla conclusione che all'agente sarebbe permesso risolvere i contratti ma non modificarli, mentre logica vuole che, se non gli è consentito modificarli, non gli sia consentito, a maggior ragione, risolverli, posto che la risoluzione altro non è che la più radicale delle modifiche di un negozio. La lettera più volte menzionata, anche se ci si attenga alla tesi del giudice del gravame, è priva di effetti nei confronti della Compagnia, in quanto l'agente non ha risolto i rapporti di assicurazione intercorrenti con la I.R.S., ma più semplicemente, come si è già ricordato, li ha trasformati da poliennali in annuali rinnovabili, così violando in modo palese la clausola di cui al cit. art. 14. Col quarto mezzo infine, denunciando la violazione degli artt. 1387, 1388, 1396 e 1398 C.c. nonché omessa o comunque insufficiente motivazione (art. 360 n. 3 e 5 C.p.c.), contesta la tesi del giudice di appello, secondo cui fra rappresentante e rappresentato non vale la regola posta dall'art. 2704 C.c., negando che l'agente fosse munito di procura e fosse in costanza di rapporto d'agenzia al momento della redazione della lettera di "rescissione". Mentre la revoca della procura all'agente ha data certa, non altrettanto può dirsi del documento in esame; per cui incombeva alla controparte provare di aver negoziato con l'agente ancora munito di procura, quale presupposto fattuale dell'eccepita estinzione dei rapporti assicurativi. È regola generale invero che non sono opponibili al "dominus" gli atti compiuti dal procuratore, che non siano riferibili in modo certo al periodo durante il quale era fornito di tali poteri. Negare che il rappresentato sia terzo, quando contesta che l'atto posto in essere dal suo procuratore senza data certa sia stato compiuto in costanza dei poteri, si tradurrebbe in un'interpretazione abrogativa dell'art. 1396 C.c.. Con l'unico motivo del ricorso incidentale condizionato la resistente, denunciando omessa, contraddittoria e comunque insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione degli artt. 1362, 1363 e 1372 C.c. (art. 360 n. 3 e 5 C.p.c.), sostiene che l'agente, essendo investito, a norma del documento del 24 febbraio 1995, del potere di redigere e firmare non solo i contratti di assicurazione ma anche le relative appendici di storno, era evidentemente munito del potere di annullamento o di risoluzione dei contratti medesimi. Questo documento è stato trascurato dal Tribunale, che è andato perciò superfluamente a ricercare nell'art. 1903 C.c. la fonte del potere dell'agente di risolvere i contratti in questione. L'impugnazione, precisa la I.R.S., è subordinata all'ipotesi che, in accoglimento delle censure mosse dalla Fondiaria, questa Corte non ritenga che l'art. 1903 C.c. fondi il potere dell'agente di risolvere i contratti. La questione posta col quarto motivo del ricorso principale è logicamente preliminare a tutte le altre: è chiaro infatti che, se, alla data del "recesso", l'agente fosse stato già efficacemente privato della procura a contrarre in nome e per conto dell'assicuratrice, quel "recesso". in quanto posto in essere da un terzo, non avrebbe prodotto alcun effetto per la società preponente. La censura è tuttavia infondata. La sentenza impugnata dedica all'argomento una rapida notazione, laddove, dopo aver rilevato che all'epoca dei fatti (3 maggio 1995) , l'agente di Mantova, revocato dall'incarico il 25 maggio 1995, era ancora munito di idonea procura rappresentativa, soggiunge non potersi "fare questione di data certa della documentazione di provenienza, valendo la regola nei confronti dei terzi e non anche del rappresentato". La decisione sul punto è comunque esatta. Secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, dalla quale il Collegio non intende discostarsi, il rappresentato non può essere considerato terzo, rispetto a un contratto stipulato da altri nel nome e per suo conto, solo perché eccepisce che il contratto è stato concluso dopo la revoca della procura, e non può avvalersi quindi della disposizione dell'art. 2704 C.c., al fine di riversare sulle altre parti l'onere di provare che il contratto è stato effettivamente stipulato nella data indicata e prima della revoca della procura o della perdita, comunque, dei poteri rappresentativi. Ne consegue che la società nel nome della quale la scrittura privata è stata sottoscritta, qualora neghi l'opponibilità del documento nei suoi confronti, sostenendo che è stato redatto in data successiva a quella che in esso figura apposta e quando già il sottoscrittore era decaduto dalla carica di amministratore, trovandosi nella stessa posizione del rappresentato che contesti il potere di chi ha agito in suo nome, è tenuta a fornire la prova della non veridicità della data apposta sulla scrittura, rimanendo, in difetto, vincolata dalla predetta indicazione (Cass. 8 gennaio 1996 n. 51; 12 giugno 1986 n. 3911; 5 dicembre 1985 n. 6108). In applicazione di tali principi, enunciati in tema di rappresentanza organica ma agevolmente estensibili alla rappresentanza volontaria, era onere della Fondiaria dimostrare che la manifestazione di volontà dell'agente era avvenuta dopo la perdita del potere rappresentativo. Gli altri motivi del ricorso principale sono invece fondati, nei sensi che saranno subito precisati. La sentenza impugnata premette che l'art. 1903 lo comma C.c. faculta gli agenti autorizzati a concludere i contratti di assicurazione a compiere altresì gli atti concernenti le modificazioni e la risoluzione dei contratti medesimi, salvi i limiti della procura pubblicati nelle forme richieste dalla legge. Il potere di recesso deriva dunque direttamente dalla legge, ma può essere limitato dal contratto di agenzia, senza di che "dispiega tutta la sua efficacia la previsione codicistica". Essendo incontroverso che l'agente di Mantova era munito del potere di stipulare i contratti di assicurazione in nome e per conto della Fondiaria, è altrettanto pacifico che la norma codicistica faculta l'agente alla modificazione e alla risoluzione del rapporto. L'appellata tuttavia sostiene che quest'ultimo termine va inteso nel senso sistematico risultante dal codice civile, "come cessazione del rapporto per crisi del sinallagma, in opposizione all'estinzione del rapporto, in tutte le altre ipotesi". Comunque, anche a voler accedere a tale interpretazione, "la risoluzione del rapporto, nel caso in esame, risiede proprio nella crisi del sinallagma, confermata dalla lettera dell'agente del 16.4.1995, che in tal senso recita: "A seguito dei reiterati incontri, vi comunichiamo che le polizze di cui all'oggetto si intendono rescisse a partire dal mese di settembre 1995"; comunicazione questa cui "ha fatto seguito il mancato pagamento del premio, che costituisce comportamento inequivoco dell'assicurato". Passando poi ad esaminare "se la stessa fonte, o altra successiva, contenga limiti al potere di recesso", il Tribunale osserva che la clausola n. 14 lett. C del mandato vieta all'agente di "apportare qualsiasi modificazione o aggiunta nelle polizze, atti di variazione e in qualunque altro documento emesso dalla Compagnia"; come pure è vietato all'agente variare gli schemi contrattuali (...) predisposti a stampa dalla Compagnia per la emissione da parte delle Agenzie". Una serie di ragioni sistematiche, conclude sul punto la sentenza, "impone di interpretare la clausola contrattuale in questione in senso restrittivo, come riferita alle sole modifiche". Rileva il Collegio che, a parte l'uso promiscuo di termini di ben differente significato tecnico giuridico ("risoluzione", "recesso"), è facile cogliere nella sentenza impugnata il vizio fondamentale denunciato dalla ricorrente, quello cioè di aver basato la sua decisione su un documento affatto diverso, nel tenore, dalla lettera del 3 maggio 1995, l'unica prodotta in giudizio, della quale è stato dunque travisato il contenuto, in spregio del suo significato testuale, donde, secondo l'avviso della ricorrente, emerge con tutta chiarezza che "l'agente non ha risolto i rapporti d'assicurazione intercorrenti con la I.R.S., ma più semplicemente li ha trasformati da poliennali ad annuali rinnovabili", in violazione della clausola di cui all'art. 14 lett. C del mandato. Effettivamente, è doveroso notare, l'unica lettera dell'agente Cannariato versata in atti e indirizzata alla I.R.S. reca la data del 3 maggio 1995 e testualmente recita: "Facendo seguito ai numerosi incontri tra noi intercorsi (....) durante i quali Ella ci ha ribadito le Sue lamentele relative ai rapporti precedentemente intercorrenti con L'Agenzia Mantova Ferri ed al solo fine di riprendere buoni rapporti commerciali con la Sua Azienda, che ad oggi risultano gravemente compromessi, Le confermiamo che le polizze di cui all'oggetto si intendono rescisse e rinnovabili anno per anno a partire dalla scadenza sopra indicata". Viceversa la sentenza cita una "lettera dell'agente del 16.4.1995", la quale avrebbe il seguente contenuto: "A seguito dei reiterati incontri, vi comunichiamo che le polizze di cui all'oggetto si intendono rescisse a partire dal mese di settembre 1995". La stessa sentenza comunque cita altrove la "lettera dell'agente all'I.R.S. del 3.5.95" e indica la stessa data come "epoca dei fatti" (ossia della "risoluzione" o "recesso"). Dal canto suo anche la resistente menziona ripetutamente la lettera del 3 maggio 1995 e non deduce in alcun luogo del suo controricorso che ne esista un'altra del 16 aprile 1995. Ora, anche a voler ammettere che l'indicazione della diversa data del 16 aprile 1995 sia dovuta a un errore materiale, è indubbio che il testo del documento riferito in sentenza non corrisponde a quello reale, più sopra riportato. Il Tribunale è dunque venuto meno al dovere di esaminare il documento del 3 maggio 1995 nella sua interezza, per ricavarne, all'esito del procedimento interpretativo e in piena libertà rispetto ad ogni deduzione e opinione di parte, tutte le possibili conseguenze in ordine al vero negozio posto in essere dall'agente, se cioè si trattasse di "risoluzione" o recesso" oppure, come sostiene la Fondiaria, di una semplice modifica delle condizioni contrattuali originariamente pattuite; e per valutare quindi, solo dopo aver appurato con completezza l'autentico significato della scrittura, la legittimità o meno della condotta dell'agente alla stregua delle norme di legge e di contratto che la disciplinano. Questo esame, con le opportune, connesse valutazioni, dovrà pertanto essere compiuto da un altro giudice di merito, il quale, come è naturale, nell'accertare la natura del potere esercitato dall'agente e gli effetti da questo prodotti, non potrà concludere la sua indagine senza soffermarsi anche sulla fonte contrattuale invocata nel ricorso incidentale a sostegno del potere di risoluzione, qualora questo non si fondi sull'art. 1903 C.c. e sempreché, naturalmente, di risoluzione si tratti. Detto ricorso va pertanto anch'esso accolto, nonostante il condizionamento, giacché concerne il secondo di due aspetti, inscindibilmente connessi, di una stessa questione devoluta al giudice di merito in base al ricorso principale. Conclusivamente, in accoglimento, per quanto di ragione, dei primi tre motivi del ricorso principale e in accoglimento, altresì, del ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata, col rinvio a un giudice di pari grado (identificato, dopo l'entrata in vigore del d.lg. 19 febbraio 1999 n. 51, non più nel Tribunale ma nella Corte d'Appello di Firenze), cui si demanda anche di provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M La Corte riunisce i ricorsi; accoglie per quanto di ragione i primi tre motivi del ricorso principale e rigetta il quarto; accoglie il ricorso incidentale; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Firenze. Così deciso a Roma, addì 14 giugno 2000. Nota - In senso conforme cfr. Cass. 8 gennaio 1996 n. 51.