Cassazione civile, SEZIONE II, 13 agosto 1997, n. 7545 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE Composta dagli Ill. mi Sigg. Magistrati: Dott. Gaetano GAROFALO Presidente" Franco PAOLELLA Consigliere" Franco PONTORIERI Rel. "" Alfredo MENSITIERI "" Sergio CARDILLO "ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PINNA ATTILIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEIGRACCHI 128, presso lo studio dell'avvocato ZAPPULLA GIOVANNI, che lo difende unitamente all'avvocato MACCIOTTA SENIOR BRUNO, giusta delega in atti; ricorrente contro BURGASSI S. p. A. in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA COSSERIA 5,presso lo studio dell'avvocato L. TRICERRI, difesa dall'avvocato PATRIZIO PELLEGRINI, giusta delega in atti; controricorrente avverso la sentenza n. 1025-94 della Corte d'Appello di FIRENZE,depositata il 26-07-94; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del21-03-97 dal Relatore Consigliere Dott. Franco PONTORIERI; udito l'Avvocato Giovanni ZAPPULLA difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito il P. M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Ennio Attilio SEPE che ha concluso per il rigetto del ricorso. Fatto Proponendo opposizione avverso il decreto del Presidente del tribunale di FIRENZE con il quale gli era stato ingiunto di pagare alla S. p. A BURGASSI la somma di L. 5. 905. 800 quale costo di una fornitura di stoccafisso, oltre rivalutazione monetaria per maggior danno ex art. 1224, 2 comma, cod. civ. nella misura del 13,5% annuo, PINNA ATTILIO eccepiva che lo stoccafisso fatturato era superiore a quello concretamente fornitogli e che, inoltre, lo stesso era risultato invendibile perché non commestibile. Chiedeva, quindi, che venisse dichiarato risolto il contratto fra loro intercorso e la società opposta condannata al risarcimento del danno e revocato comunque il decreto opposto in quanto non potevasi condannare al maggior danno ex art. 1224 cod. civ. in mancanza di prova scritta e al di fuori della previsione degli artt. 633 e segg. c. p. c.. Costituitasi in giudizio, la S. p. A. BURGASSI deduceva che la somma richiesta era pari a quanto effettivamente fornito; che la merce corrispondeva a quanto ordinato e comunque nessuna contestazione era avvenuta nei termini di legge; e che il maggior danno ex art. 1224, 2 comma cod. civ. era documentato in atti. Il tribunale, con sentenza del 9 aprile 1990, revocava il decreto opposto, dichiarava risolto il contratto intercorso fra le parti stanti e difetti lamentati dal PINNA ma respingeva, perché non provata, la domanda di risarcimento danni da questi proposta. Avverso tale sentenza proponeva appello la S. p. a. BURGASSI insistendo nelle proprie domande e per la conferma del decreto. Instauratosi il contraddittorio anche in tale grado del giudizio, si costituiva il PINNA, il quale si opponeva alle istanze dell'avversaria e, proponendo a sua volta appello incidentale, chiedeva che venisse accolta la domanda di risarcimento danni da liquidarsi in separato giudizio. Con sentenza del 26 luglio 1994, la Corte d'Appello di FIRENZE, in riforma della sentenza impugnata, condannava il PINNA a pagare alla BURGASSI la somma di lire 5. 905. 800 oltre interessi e rivalutazione. Compensava per 1-4 le spese del primo e del secondo grado condannando il PINNA alla rifusione dei rimanenti 3-4. Avverso tale sentenza propone, ora, il ricorso per Cassazione il PINNA con un unico complesso motivo contenente più censure, illustrate da memoria. La S. p. A. BURGASSI resiste con controricorso. Diritto Con il primo motivo di ricorso il PINNA si duole che la Corte d'Appello di FIRENZE abbia ritenuto non provato che la denunzia dei vizi del prodotto fornito dal venditore sia avvenuta nel termine fissato dall'art. 1495 cod. civ. e propone una diversa interpretazione delle prove assunte. Il rilievo è infondato. La valutazione delle risultanze di causa in riferimento alla prova testimoniale ed il giudizio sull'attendibilità dei testimoni e sulla maggiore credibilità di alcuni di essi rispetto ad altri, come la scelta, fra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto, riservati, come tali, al prudente criterio discrezionale del giudice del merito ed insindacabili in sede di legittimità , se correttamente e coerentemente motivati (Cfr. Cass. 24 febbraio 1982 n. 1143). Il PINNA, però, più che addebitare concreti vizi logici alla motivazione, sostiene che il risultato dell'esame delle testimonianze da lui fornite è stato considerato insufficiente ai fini di quanto intendeva dimostrare sol perché non è stato tenuto in conto che lo stoccafisso era destinato alla cittadina di CARLOFORTE nell'isola di S. PIETRO ove viene consumato nelle festività di fine ottobre. Il rilievo non ha però alcuna incidenza sia perché trattasi di mera affermazione non riscontrata, sia perché il PINNA avrebbe dovuto provare, incombendo a lui l'onere trattandosi di condizione necessaria per l'esercizio dell'azione, in quale momento i vizi sono stati da lui scoperti mentre nessuna precisa prova ha dato sul punto in quanto neppure i testi PINNA, COLOMBI e CANEPA hanno fornito - come precisa la Corte distrettuale - "alcuna specificazione in particolare circa il momento della denunzia dei vari acquirenti e quello della denunzia del PINNA alla BURGASSI". Nè ha pregio il rilievo secondo cui la Corte distrettuale, non avendo ritenuto di dover procedere alla rinnovazione parziale delle prove testimoniali, ex art. 356-1 c. p. c. , non poteva, immotivatamente, ritenere non esaurienti le deposizioni già rese dai testi in primo grado. Invero, l'esercizio del potere del giudice di appello di rinnovazione delle prove già escusse in primo grado appartiene alle sue facoltà discrezionali e non è sindacabile in cassazione. la sentenza impugnata, peraltro, come si è visto, ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto che non sia stata fornita la prova necessaria. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la violazione dell'art. 1495, 2 comma, cod. civ. e si adduce che il venditore aveva riconosciuto l'esistenza del vizio sicché non era necessario che vi fosse stata una tempestiva denunzia. Anche tale censura è infondata. La Corte, occupandosi espressamente di tale questione che, risolta favorevolmente al PINNA in primo grado, è stata oggetto di impugnazione da parte della BURGASSI S. P. A. , ha avuto modo di precisare come non sia sufficiente, al fine di ritenere non necessaria la denuncia, che, con la lettera del 19 novembre 1985, la società venditrice abbia in sostanza ammesso l'esistenza dei vizi dacché con la stessa ha contestato che i difetti della merce venduta potessero essere a lei addebitati essendo frutto di una non accurata conservazione da parte dell'acquirente. Si è così uniformata alla giurisprudenza costante di questa Corte, citandola espressamente, secondo cui non vi è riconoscimento quando il venditore ammetta sì l'esistenza del compratore, di terzi, o a caso fortuito, successivi alla vendita. Nè può sostenersi l'altra ipotesi, pur ventilata dal ricorrente, secondo cui avendo il legale rappresentante della BURGASSI dato mandato ad un suo rappresentante di verificare la situazione e di effettuare, unitamente al PINNA, opportuni controlli, debba riconoscersi che egli fosse ben conscio delle reali possibilità , del tutto occultate, di vizi del prodotto fornito. Non soltanto, infatti, la circostanza che il venditore abbia richiesto la verifica dei vizi prospettati non può avere il significato di un qualsiasi occultamento degli stessi, come si vorrebbe far ritenere; ma va altresì aggiunto che, perché si possa avere occultamento della esistenza del vizio, non basta che il venditore lo abbia taciuto (e nel caso ha addirittura segnalato l'inopportunità dell'acquisto trattandosi di merce che, essendo di vecchia produzione, necessitava di una particolare cura nella conservazione), ma è necessario che egli abbia compiuto interventi volti a renderne difficile la scoperta, essendo all'uopo necessaria un'attività diretta, con adeguati accorgimenti, a nascondere il vizio del bene venduto (Cfr. Cass. 21 aprile 1988 n. 3094). Alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso va interamente rigettato con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questa fase del giudizio. P. Q. M La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente PINNA al pagamento delle spese di questa fase del giudizio che liquida in favore della S. p. a. BURGASSI in lire 179. 900, oltre lire 1. 600. 000 per onorario. Roma, 21 marzo 1997.