Cassazione civile, SEZIONE II, 28 novembre 1996, n. 10611 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati: Dott. Aldo MARCONI Presidente " Franco PAOLELLA Consigliere " Rafaele CORONA " " Francesco CRISTARELLA ORESTANO Rel. " " Giovanni PAOLINI " ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 5068-94 R.G. proposto da LORETI ARMANDO e DI GIAMBATTISTA LUISA, elettivamente domiciliati in Roma, viale Carso n. 77, presso lo studio dell'Avv. Edoardo Pontecorvo che li difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso, Ricorrenti contro FARINA GIACINTO, elettivamente domiciliato in Roma, Via Campello sul Clitunno n. 20, presso lo studio dell'Avv. Riccardo Galdieri che lo difende in virtù di procura speciale in calce al controricorso, Controricorrente per la cassazione della sentenza 19 febbraio - 7 aprile 1993 n. 1143-93 della Corte d'appello di Roma. Udita la relazione della causa svolta, nella pubblica udienza del 19 giugno 1996, dal cons. Cristarella Orestano; È comparso l'Avv. Edoardo Pontecorvo per i ricorrenti che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; È comparso l'Avv. Riccardo Galdieri per i resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso; Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sost. Proc. Gen. dott. Ennio Attilio Sepe, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. Fatto Nel gennaio 1982 Armando Loreti e Luisa Di Giambattista convennero in giudizio, avanti il Tribunale di Roma, Giacinto Farina e - premesso che l'8.11.1977 avevano acquistato da Giuseppe Martini l'appartamento int. 4, con annesso giardino, del villino, lotto 52, del complesso edilizio di Lido Tor S. Lorenzo in Ardea e che il Farina, proprietario dell'appartamento int. 2 vendutogli da Michele Pazienza, aveva illegittimamente occupato parte del loro giardino e di un vialetto condominiale; impedendo agli altri condomini l'accesso ai posti macchina - chiesero accertarsi i loro diritti e condannarsi il convenuto al rilascio di quanto occupato, previa demolizione delle opere di recinzione poste in essere, e al risarcimento dei danni Con sentenza 6.11.1989 il Tribunale, nella resistenza del convenuto che deduceva di aver acquistato il proprio immobile nello stato di fatto lamentato dagli attori, accolse le domande previo espletamento di c. t. u.. Proposto gravame dal Farina, la Corte d'appello di Roma, però, con la sentenza precisata in epigrafe, nella resistenza degli appellati, ha riformato la decisione di prime cure, rigettando quelle domande, con totale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio, in base alle seguenti considerazioni. - In materia di rivendica, essendo tale azione diretta all'accertamento del diritto dell'attore e non ad escludere semplicemente quello del possessore convenuto, la prova della proprietà da parte del primo deve avere contenuto positivo ed essere rigorosa, nel senso che deve avere ad oggetto anche il diritto di proprietà dei danti causa del rivendicante fino ad un acquisto originario oppure entro il periodo occorrente per l'usucapione, salva un'attenuazione di tale rigore quando sia pacifico inter partes che il bene apparteneva in origine ad un unico proprietario; nè alla deficienza di una prova siffatta può supplire la carenza del diritto assunto dal convenuto il quale può ben limitarsi ad opporre il proprio possesso (Possideo quia possideo) senza doverne fornire giustificazione, sicché il fatto che questa sia stata allegata, ma non dimostrata, non implica una sua rinunzia alla posizione di vantaggio conseguente al possesso del bene e rimane integro, a carico dell'attore, l'onere probatorio, al cui mancato assolvimento, quindi, consegue il rigetto della domanda; - Nel caso di specie, pacifico che il complesso edilizio di Lido Tor S. Lorenzo in Ardea, di cui fanno parte gli immobili oggetto della controversia, era in origine di un unico proprietario, cioè della società cooperativa a r.l. "Il Mare Azzurro" la quale, con atti pubblici, rispettivamente del 12 e del 19 settembre 1972, aveva assegnato in proprietà a Giuseppe Martini, nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava, l'unità immobiliare oggi appartenente ai Loreti-Di Giambattista e a Michele Pazienza quella oggi appartenente al Farina, dall'esame del primo dei menzionati atti di trasferimento emergeva che, contrariamente a quanto affermato dai rivendicanti e ritenuto dal Tribunale, l'oggetto dell'assegnazione non era, nel comune intento delle parti, identificato nella porzione immobiliare riprodotta dalla scheda catastale 0886296, essendo carente in proposito il necessario collegamento tra l'indicazione di tale porzione, in particolare dell'area giardino, nell'atto del 12.9.1972 e la riproduzione contenuta in detta scheda sicché a questa andava attribuito il valore di semplice dato catastale dell'immobile trasferito; la successiva "vendita a corpo" della medesima porzione dal Martini ai Loreti-Di Giambattista, in data 8.11.1977, faceva espresso riferimento a quella assegnazione e alla planimetria (in realtà scheda catastale) allegata ma, in ogni caso, non poteva attribuirsi agli acquirenti un diritto dominicale oggettivamente (in estensione) diverso da quello acquistato dal loro dante causa; - Ad analoghe considerazioni induceva l'esame dell'atto di assegnazione dalla cooperativa al Pazienza, con l'allegata scheda catastale n. 886294, e dell'atto di vendita da quest'ultimo al Farina; - In conclusione, non essendosi rinvenuta negli atti di assegnazione del 1972 la comune volontà delle parti di conferire alle schede catastali la funzione di identificazione delle porzioni immobiliari trasferite ai n causa dei contendenti, non poteva ritenersi accertata in capo ai Loreti-Di Giambattista, come aveva fatto il primo giudice, la proprietà di parte dell'area giardino e la comproprietà, con gli altri condomini, di parte del vialetto di accesso ai posti macchina sulla scorta della comparazione, operata dal c. t. u., di quelle schede con le porzioni effettivamente occupate dal Farina. Ricorrono per cassazione Armando Loreti e Luisa Di Giambattista sulla base di due motivi ai quali Giacinto Farina replica con controricorso. Diritto Con il primo mezzo di ricorso vengono denunziate violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1366, 1367, 1470, 948, 1117 e 1118 cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa più punti decisivi della controversia prospettati dagli attuali ricorrenti. Si lamenta, cioè, in primo luogo, che la Corte di merito abbia affermato, senza supportare tale affermazione con una motivazione immune da errori giuridici e da vizi logici, che mancava il necessario collegamento tra l'indicazione degli immobili contenuta negli atti di assegnazione da parte della Cooperativa "il Mare Azzurro" e la riproduzione degli immobili stessi contenuta nelle "schede catastali", e ciò sebbene si trattasse, in realtà, di "planimetrie di accatastamento" redatte da un architetto in scala 1:200, firmate dai contraenti e dal notaio rogante e allegate ai titoli d'acquisto dei danti causa delle parti all'evidente, unico scopo di individuare, dimensionare e posizionare le porzioni immobiliari in discussione. Si rimprovera, quindi, al giudice d'appello di aver attribuito immotivatamente ed illogicamente a dette schede il valore di semplice dato catastale, in tal modo confondendo la "planimetria di accatastamento" - che, come è noto, serve proprio ad individuare fisicamente un immobile, cioè a precisarne superfici, posizioni e confini - con una semplice scheda o certificato catastale, confusione ancor più evidente ove si consideri che le planimetrie in questione non recavano alcuna indicazione del foglio di allibramento catastale e neppure della partita, della particella e dell'eventuale subalterno. Si lamenta, inoltre, che la Corte romana, violando i principi di diritto enunciati dalla Cassazione in materia di valutazione delle prove, abbia ignorato gli accertamenti fatti in loco dal c. t. u., sulla scorta dei dati fissati dalle planimetrie di accatastamento, delle violazioni perpetrate dal Farina in danno dei ricorrenti, abbia altresì ignorato l'art. 2 del contratto di compravendita tra il Martini e i Loreti-Di Giambattista dove si faceva espresso riferimento, ai fini dell'individuazione dell'immobile compravenduto, all'atto di assegnazione al Martini da parte della Cooperativa "Il Mare Azzurro" e alla planimetria a questo allegata e abbia completamente omesso di considerare l'univoco e determinante comportamento tenuto in epoca non sospetta dalle parti e dai loro danti causa. Si sostiene, infine, che la Corte d'appello, in parte stravolgendo l'essenza ed il contenuto dei documenti prodotti e in parte omettendo di considerare la documentazione acquisita, ha violato, gradatamente, le norme di cui agli artt. 1362, 1478, 948, 1117 e 1118 cod. civ., tanto da giungere ad affermare che l'obiezione secondo cui le cosiddette schede catastali costituivano l'unica rappresentazione grafica delle porzioni rispettivamente trasferite non conferiva ad esse, in assenza di una espressa volontà in proposito manifestata dagli stipulanti, il valore di identificazione da beni oggetto dei trasferimenti, così violando anche gli artt. 1366 e 1367 cod. civ. che impongono di interpretare il contratto secondo buona fede e, nel dubbio, in modo che esso o le sue singole clausole possano avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno. Le censure sono complessivamente fondate. La Corte di merito, invero, nel discostarsi dalle conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado, sembra essersi rifatta a quell'indirizzo giurisprudenziale che, in materia di revindica, assegna alle risultanze dei registri catastali un valore meramente indiziario, negando che da esse possa trarsi la prova decisiva della consistenza degli immobili e della loro appartenenza. Se non che - a parte la considerazione che detto indirizzo non contiene, in sè, una totale svalutazione dei dati emergenti dal catasto, ben potendo questi essere presi in considerazione come elementi indiziari e presuntivi e operare, se non contraddetti da altre emergenze di causa e, in particolare, dalle specifiche determinazioni negoziali delle parti, con influenza determinante nella formazione del convincimento del giudice (v. sent. 6.7.1972 n. 2245, 14.4.1976 n. 1314, 24.11.1979 n. 6163), ciò specialmente se ad essi si faccia espresso riferimento nell'atto di trasferimento come elemento indicativo dell'ampiezza e dei commi del fondo trasferito (v. sent. 9.7.1980 n. 4372) - manca nella sentenza impugnata il dovuto approfondimento in ordine alla reale natura delle "schede catastali" allegate agli atti di assegnazione in proprietà intercorsi nel settembre 1972 tra la Cooperativa "Il Mare Azzurro" da una parte e Giuseppe Martini e Michele Pazienza dall'altra e richiamate nei rogiti di vendita tra questi ultimi e gli attuali litiganti. Un siffatto approfondimento era tanto più necessario in quanto, come la stessa Corte dà atto a pag. 11 della sentenza nel riportare testualmente il contenuto dei rogiti di assegnazione del 1972, all'epoca di tali rogiti gli immobili rispettivamente assegnati al Martini e al Pazienza non erano ancora censiti ma erano in corso di accatastamento proprio mediante le summenzionate "schede" riproducenti planimetricamente gli appartamenti, con annessi giardini, assegnati, così da rendere evidente che tali "schede", tutt'altro che rappresentare dei semplici dati catastali, costituivano esse stesse fonte di tali dati in quanto dirette ad individuare e determinare la consistenza e l'estensione degli immobili assegnati da censire in catasto. Poco chiara, per altro, è l'affermazione, fatta con particolare riguardo all'atto di assegnazione tra la Cooperativa e Giuseppe Martini, dante causa degli attuali ricorrenti, secondo cui "l'oggetto dell'assegnanone in proprietà "non è nel comune intento delle parti identificato nella porzione immobiliare "riprodotta nella scheda catastale..... essendo carente in proposito il necessario "collegamento fra indicazione della porzione immobiliare, in particolare "dell'area giardino contenuta nei confini menzionati e pur assegnata ed "accettata nello stato di fatto in cui si trova, in un'estensione di mq 127 "circa,..... e la riproduzione fatta nella scheda catastale, alla quale pertanto va "attribuito il valore di semplice dato catastale.....", non essendo dato comprendere in che cosa si sarebbe dovuto estrinsecare detto collegamento oltre che nell'espresso richiamo alla scheda appositamente redatta e firmata da un tecnico, riproducente planimetricamente, ai fini dell'accatastamento, l'appartamento e l'annesso giardino. Alla stregua delle osservazioni che precedono si impone, in accoglimento del motivo in esame, la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio della causa, anche in ordine alle spese del presente procedimento, ad altra sezione della Corte d'appello di Roma che procederà a nuovo esame della vicenda alla luce dei criteri direttivi innanzi indicati e uniformandosi al seguente principio di diritto già enunciato in passato da questa Suprema Corte con riferimento ai tipi di frazionamento: "Le schede di accatastamento fatte "redigere appositamente da un tecnico e riproducenti planimetricamente in "scala, nella sua consistenza ed estensione, un immobile non ancora censito in "catasto, sono, di norma, dirette ad individuare il bene compravenduto o "assegnato e, pertanto, se assunte quali parti integranti dell'atto contrattuale "cui vengono allegate, sono da considerare, non come semplici dati catastali "con valore soltanto indiziario e sussidiario, ma come fonti dei dati medesimi, "come tali idonee a determinare l'oggetto materiale del negozio". Il secondo motivo, riguardante il regolamento delle spese, resta assorbito nell'accoglimento del primo. P.Q.M LA CORTE Accoglie il primo motivo dei ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche in ordine alle spese del procedimento di Cassazione, ad altra sezione della Corte d'appello di Roma. Così deciso in Roma il 19 giugno 1996.