Usucapione e prelazione agricola   Dal 1978 sono proprietaria di un appezzamento di terreno di circa 5.000 mq, donazione di una mia sorella, atto 245 di rep. Dott.ssa Luisa Costanza, notaio di Ferla. L’area è circoscritta con mura di cinta e cancelletto e dotata di una casetta rurale che nel tempo ho ristrutturato sostituendo il tetto in canne con soletta in calcestruzzo e il pavimento in cotto con piastrelle dotandola anche di servizi igienici. Di tutti questi lavori non ho ormai alcuna documentazione. Poiché non abito per circa otto mesi in zona, ma vi risiedo solo d’estate, ho affidato una copia delle chiavi di casa a un nipote, figlio del mio fratello maggiore. Nel corso degli anni, su mia richiesta verbale, il nipote ha provveduto a far piantare una parte degli alberi di ulivo ora esistenti, a far potare tutte le piante, a raccogliere i frutti, a far tagliare l’erba secca etc... Le spese sono state da me rimborsate annualmente “brevi manu” al nipote stesso. L’olio prodotto dalle olive, raccolte dal nipote su mia richiesta, è stato sempre diviso in parti uguali. Il 5 settembre scorso ho versato una quota associativa annuale, per il 2006/2007, al consorzio d’irrigazione del quale sono socia da decenni, ottenendo relative ricevute. Mi è stato detto che il nipote potrebbe vantare dei diritti... di che natura? Ho due figli, ai quali, naturalmente, è destinata la proprietà. Angela Pitruzzello     Il funzionario del consorzio potrebbe alludere al diritto di usucapione ventennale: se una persona si comporta da “padrone” per vent’anni senza contestazioni da parte del titolare, acquisisce la proprietà stessa e tale diritto può essere riconosciuto attraverso un atto notarile o una sentenza. Nel caso in questione, se le cose stanno come ci racconta, il nipote non avrebbe il diritto di usucapire anche se fossero passati vent’anni, innanzitutto perché Lei utilizza effettivamente per 4 mesi all’anno l’abitazione, inoltre perché l’occupazione di suo nipote deriva da un patto esistente tra di voi (cosa quest’ultima più difficile da dimostrare). Meglio comunque suggellare i vostri accordi su un foglio di carta, con una semplice scrittura e avere ricevute delle somme pagate. E’ possibile che, invece, alludesse al fatto che il nipote potrebbe far valere le sue prestazioni di bracciante agricolo ottenendo la regolarizzazione del suo rapporto di lavoro. Forse poi che alludeva alla cosiddetta “prelazione agricola”, cioè al diritto stabilito dall’articolo 8 della legge n. 590/1965 per il quale in caso di vendita del fondo concesso in affitto, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione a coltivatori diretti, essi hanno il diritto di prelazione all’acquisto. In tal caso occorrerebbe provare che il rapporto in essere è di questo tipo e non, per esempio, un contratto di comodato gratuito e che il nipote è coltivatore diretto che trae un reddito, per quanto secondario, da tale lavoro (Cassazione, 15 maggio 1991, n. 5456). E’ infine improbabile che volesse richiamare la cosiddetta “prelazione del confinante”. L’articolo 7 della legge 817 del 14 agosto 1971, riconosce infatti il diritto di prelazione al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con il fondo offerto in vendita. L’articolo 31 della legge 590 del 1965 stabilisce che, ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione, sono considerati coltivatori diretti coloro che direttamente e abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi, all’allevamento e al governo del bestiame a condizione che la forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore a un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo o per l’allevamento e il governo del bestiame.